“Quindi Mario è tornato in Italia?” “Solo per poco, per una mostra, con una spocchia che metà basterebbe alla nobiltà vera e falsa della città di Firenze, arrogante come non è mai stato, in compagnia di una sciacquetta senza personalità. A detta di Junior, una larva penosa dell’uomo che era.” “E Margie, come l’ha presa?” “Lo sai, lei è molto riflessiva. Intanto, in maniera quasi clandestina è riuscita a fare l’amore, in totale incognito, con il king Junior ; poi gli ha raccontato tutta la vicenda, si sono chiariti (e scoperti innamoratissimi), gli ha chiesto se desiderava incontrare il suo padre naturale; lui ha detto di si e sono andati.” “Come è finita?” “Margie e Junior che se ne sono andati saltellando come fidanzatini alla Peynet fino a una pizzeria a Trastevere; dopo, pare che siano finiti a letto e adesso si amano come la coppia più felice del mondo, con la benedizione di Nicola che finalmente non deve sopportare estranei nella sua vita e nel suo letto e può amare sua moglie anche attraverso il figlio che è soprattutto di Margie, ma, come noi sappiamo, è anche di Nicola che lo ama veramente.” “Sono felice che almeno questo si sia spianato. E Patrizia? Non avevi detto che aveva preso un’imbarcata per Junior?” “Si, e si è presa anche un po’ di assaggi. Ma poi ha scoperto che con Francesco lei non ha nessun legame di familiarità, che è un gran figo e che ama molto le donne. Insomma, da qualche tempo lo ha eletto amante ufficiale, coll’assoluta inesistenza del marito.” “Insomma, niente di nuovo, in fondo?”
“Eh, no! La novità c’è ed è la mostra che Mario, il nostro Mario, deve fare qui a Roma tra qualche settimana; e stiamo tutti discutendo se dobbiamo ignorarlo, se dobbiamo acclamarlo, se dobbiamo partecipare passivamente. Insomma dobbiamo decidere un atteggiamento comune e poi regolarci.” “Ok, se ti riesce, fatti dare un numero utile per parlargli a voce o in skype.” “Se si degnasse di darmi udienza, lo farò senz’altro. Ciao.” “Ciao; e riguardati …“ E’ alquanto strano, di questi tempi, parlare con mamma, per la prima volta in tutta la sua vita sganciata dal ruolo di chioccia che ha svolto da sempre; e forse è strano proprio perché, in fondo, non riesce comunque a rinunciare, almeno per un momento, per un accenno, al suo ruolo di sempre, di mamma affettuosa e protettiva. Eppure ne avrebbe bisogno, povera donna, di mandare tutti a quel paese e di ritagliarsi uno spazio solo suo, adesso che finalmente se lo potrebbe concedere, vista la particolarità del rapporto che ha costruito con un uomo assai ricco e assai innamorato che farebbe per lei qualunque cosa. Ma forse è proprio vero che siamo comunque legati ad un destino al quale è perfettamente inutile ribellarci. E quello di Anna (non ama sentirsi chiamare mamma o nonna, neanche alla sua veneranda età!) è decisamente un destino difficile e avverso.
Cominciò quando aveva sedici anni, al liceo, dove si innamorò del professore di letteratura, alla luce del sole innamorato di poesia e nella penombra ossessionato da qualunque gonnella e incapace di controllare i suoi istinti bestiali. Io fui il primo frutto avvelenato di un errore d’infanzia, il prodotto di un rapporto sessuale rapido, incerto e soprattutto non protetto. Il matrimonio che avrebbe dovuto “riparare” - come era nello stile dei tempi - segnò l’inizio di una via crucis interminabile e ben presto una ragazza di meno di vent’anni si trovò ad avere a che fare con un uomo col doppio dei suoi anni che, mentre recitava in pubblico Leopardi, la perseguitava in privato con rapporti non protetti e inevitabili aborti, spontanei e provocati, con figli in successione e, soprattutto, con corna a non finire, da rendere lei il cuore di tutti i pettegolezzi. Un unico gesto, stupido, di reazione, fu scoperto immediatamente (non poteva essere diversamente, con due ingenui protagonisti!) e seguito dalla morte prematura dell’unico giovane che l’aveva trattato da persona; la conseguenza fu, comunque , che la povera donna vittima dell’animalesca insensibilità del suo “rispettabile” marito si trovò ad essere additata al ludibrio generale come “pubblica peccatrice”. Venne poi il “biennio terribile” che avrebbe determinato definitivamente la sua vita e segnato il destino anche delle persone a lei care.
Cominciò la sua amatissima e ammiratissima prima figlia, Oriana (io, per la cronaca) che commise lo stesso errore di sua madre e non si protesse durante un rapporto col suo fidanzato: matrimonio d’urgenza, interruzione dei brillantissimi studi in architettura e relegazione forzata nella casa borghese di lui, esclusa da qualunque ipotesi di rapporto con la realtà; poi la notizia di una nuova gravidanza, che stavolta non si poteva e non si doveva interrompere, pena la morte; infine la morte naturale (finalmente? Chissà!?!?) del marito violento e animalesco. Di quel periodo so di avere diritto ad un ricordo incancellabile: i due figli nati dopo di me (i “milanesi” li avremmo chiamati) si dissolsero nelle nebbie del nord, per non assumere responsabilità; mamma si cercò tutti i lavori che poteva rabberciare per tirare da sola la carretta; io feci l’unica cosa che potevo, farmi carico della cura e dell’educazione dell’ultimo nato, Mario, che aveva meno di un anno più di mia figlia Patrizia. Lo adottai in tutti i sensi sin dai primi vagiti di Patrizia e li feci crescere insieme, con tanto affetto che alla fine io e Patrizia diventammo i suoi insostituibili grandi amori e lui fu per noi “il mito”. Il solo fatto che scegliesse la facoltà di Architettura, che io ero riuscita fortunatamente a concludere brillantemente, testimonia il feeling immenso che c’era tra noi. Sono certa che sono stati quelli gli anni più belli per me, per Patrizia, forse anche per Mario, ma soprattutto per mamma.
Difficile dire quando la bella favola si interruppe; o meglio, difficile è accettarlo; saperlo in fondo è semplice: tutto crollò a pochi mesi dalla laurea di Mario; e fu solo colpa mia. I due maledetti ragazzini avevano intrapreso strade divergenti ma egualmente pericolose, lui in un giro di escort in cui fu presto protagonista (mai dubitarne!) fino ad essere riconosciuto “the king”; Patrizia in un giro di discoteche in cui era famosa per essere arrivata a conquistare l’ultimo arrivato in soli dieci minuti. Fra di loro, io, monaca di clausura, incapace anche di vestire alla moda, e mamma, ancora sempre combattiva, spirito libero, mente lucida e decisionista quando serviva. Fu un concorso per un progetto architettonico, a cui partecipavo, a scatenare la valanga: volevo vincerlo, quel concorso, sapevo che potevo vincerlo e ci avevo puntato tutta la mia carriera professionale. Mario, molto più giovane ma assai più furbo e smaliziato di me, sapeva che dietro questi concorsi correvano altri valori inconfessabili: aveva già aiutato qualcuno a superare prove difficili e volle darmi una mano. Purtroppo, la mia lunga clausura, con un marito - padrone ma soprattutto ameba inutile, mi aveva resa incapace di affrontare quelle situazioni. Il mio fratellino (come suona ironico!) innanzitutto mi fece sapere (fu Patrizia a dirmelo, ma non so se per sua iniziativa o su suggerimento di lui) che da sempre amava me, tutta intera, e non filialmente ma da maschio, e che amava, in particolare, il mio fondo schiena, che fin da ragazzino aveva sognato nelle sue masturbazioni
Non saprei dire se il mio amore (vero, profondo, coltivato da anni) esplose autonomamente all’improvviso; se fu per effetto della situazione contingente; o se perché, per essere all’altezza del ruolo, ero disposta a tutto; fatto sta che cominciai col concedermi totalmente e senza riserve a mio fratello, trasgredendo tutte le leggi, le regole e le convinzioni che avevano dominato fin lì la mia vita; poi feci qualche “prova di libertà” per affrontare l’inganno del sesso nella prova di concorso. E vinsi, anche con merito, secondo l’opinione generale. Mamma in quella fase fu il mio unico, inamovibile, resistentissimo pilastro: mi guidò, mi suggerì, mi accompagnò, mi stette vicino e, in qualche modo, mi mise anche sull’avviso rispetto agli errori che potevo commettere e che effettivamente poi avrei commesso. In quella occasione, avevo visto Mario muoversi con estrema disinvoltura nell’esercizio delle sue capacità sessuali; mi ero trovata ad osservare che io, nonostante l’inesistente esperienza non ero stata da meno; infine, che le doti in mio possesso erano certamente non meno efficaci delle sue; decisi allora di non dipendere più da lui, che spesso montava in cattedra e predicava il bene e il male, e di muovermi per mio conto. “L’utero è mio e me lo gestisco io!” Lo slogan non l’avevo urlato in piazza (ero fuori da quella generazione) ma lo sentii mio, all’improvviso. Saltai, coscientemente, tutte le fasi della mia maturazione e arrivai all’arroganza: mi illusi che l’uso sconsiderato del corpo potesse essere la strada per il successo; e trascinai con me anche mia figlia che, altrettanto abbagliata, non esitò a seguirmi fino alla fine.
Combinammo infiniti, immani casini; e, più sbagliavo, più mi rifiutavo di ammetterlo soprattutto con chi, secondo me, era colpevole dei miei errori. Insomma, i rapporti con Mario si interruppero non solo per me ma anche per Patrizia e per Margie, l’amica di Patrizia e grande amore di Mario, che fu l’unica ad assumere un atteggiamento fermo; decise di sposare un collega meno affascinante ma che dava più garanzie di vita. Purtroppo, i casi strani della vita misero Nicola, il marito di Margie, in condizioni di non poter più esercitare i diritti (e i doveri) coniugali e giunsero ad un accordo per cui vivevano insieme, con grande amore, la loro storia bellissima; ma il sesso lei poteva prenderselo altrove, con la complicità, la perfetta coscienza e la partecipazione di lui. Io, mia figlia e nostra madre abbiamo per anni coltivato la speranza di ricucire un rapporto che sembrava spezzato per sempre. Per la mia povera mamma, quel periodo fu doloroso quanto il “biennio terribile”. Da un lato, cercava di sostenere ancora Mario che, tra le altre cose, aveva prospettato la possibilità di una convivenza, o del matrimonio, con Margie e un loro figlio, che a mamma appariva non solo come il vero “nipote” ma addirittura quasi un Salvatore; alla fine, si scoprì che il figlio Margie lo aveva fatto, ma, d’accordo con suo marito, utilizzando lo sperma di uno sconosciuto. Da un altro lato, Patrizia aveva intrapreso il percorso da psicologa che l’aveva portata ad essere di nuovo culo e camicia con Margie; ma, sul piano personale, non trovava ancora pace e non aveva il coraggio di farsi vedere dalla nonna, ritenendo di averla troppo delusa.
Io, poi, riuscivo a malapena a tenere con mia madre un dialogo convenzionale, ingabbiata com’ero nelle mie colpe e nell’impegno a tentare di recuperare una dignità professionale dopo il fallimento del grande progetto. L’impasse durò cinque anni, i più difficili e dolorosi non solo per me ma per gran parte di noi, escluso l’onnipotente Mario che continuava a svolazzare tra i suoi amori e i suoi (meritati,per carità, largamente meritati) successi professionali. Cinque anni fa, gli eventi dirimenti: dopo una rocambolesca vicenda di chiarificazione, Margie riuscì, d’accordo con suo marito, a farsi ingravidare da Mario che blaterò di “presenza paterna” per il figlio che doveva nascere, ma subito dopo - in occasione di una mostra negli Stati Uniti - scomparve portandosi dietro le colpe oggettive di tutto il garbuglio. Mamma fu molto presente nella vita di Margie e di Mario Junior, come avevano deciso di chiamarlo sua madre e Nicola, legalmente solo padre putativo - avendo riconosciuto la nascita del figlio fuori del matrimonio - ma, nei fatti, padre affettuosissimo e degnissimo di un ragazzo cresciuto bene rispetto alle vicende di cui era figlio: a diciotto anni, mi dicono che è affascinante come il padre, che ne ha tratti molto simili e che è dolcissimo da frequentare: io non lo conosco bene; e molto spesso mi trovo a pensare che, di tutto l’entourage, è l’unico che abbia il mio stesso cognome, Rossi, che è anche quello di mio fratello, il grande Maestro del design e radice di tutta la vicenda.
Mamma, quattro anni fa, dopo una vita quasi disperata alla ricerca di amore, di serenità, di stabilità, ha finalmente incontrato un uomo che ha sentito di avere bisogno di lei, della sua energia, della sua immensa vitalità, per dare ordine ad una sua vita sregolata e provvisoria, fatta di enormi successi e conquiste economiche ma privo di emozioni vere, di entusiasmo, di fiducia nel domani. Da quattro anni vivono insieme e si sono trasferiti ai Caraibi (non ha voluto dire dove; e quando mamma decide di star zitta, non la fa parlare neppure la santa inquisizione). Oggi però la sua telefonata ha smosso le acque e sento di non potermene stare ferma; forse è il momento di riportare al pettine tutti i nodi o quanto meno di cercare di capire a che punto siamo; l’occasione può essere la mostra di Mario a Roma; e forse potrei anche tentare di ricucire le fila di quel che è rimasto della mia famiglia, io, mia figlia Patrizia e il figlio di mio fratello, Mario Junior, che in qualche modo mi fa un po’ paura per la grande somiglianza con suo padre, di cui io continuo ad essere ancora innamorata come una liceale. Mi tocca assumere le mie responsabilità, fare alcune telefonate e, quasi certamente, prendere un treno per andare fino a Roma, sperando di trovare una situazione fluida che mi consenta di diagnosticare “Stanno tutti bene” come nel titolo di un famoso film (ma con trasparenza di significato, questa volta!)
Il primo contatto è con Patrizia. “Ciao bellissima, come stai?” “Bellissima lo dici a tua sorella, che non hai; io sono vecchia e bacucca!” “Se bellissima lo dice tua nonna a me, sono obbligata a dirlo a te. Fai conto che lo dice nonna!” “L’hai sentita? Come sta? Dove sta?” L’ho sentita,perché mi ha chiamato ma il numero non risulta per la privacy. Dichiara di stare in paradiso: deduco che sta molto bene. Dove sia, nessun lo sa: deve essere il titolo di un’aria musicale; per tua nonna è la verità; l’unica indicazione è: dalle parti delle Bahamas senza ulteriori definizioni. Poiché era in skype, posso dirti che aveva un bell’aspetto, a meno che non si fosse subito prima sottoposta a maquillage; e che lo sfondo è di quei paradisi dei Caraibi che tutti sognano.” “Chiami solo per la gioia di salutarci o c’è altro?” “Ti ho forse disturbato?” “Beh, ero nel pieno di un focoso amplesso col mio giovane amante …” “Francesco?” “Si, lui; credo che rinuncio a Junior: troppi ricordi non sempre belli e troppi rapporti che lasciano strascichi dolorosi per i ricordi che si portano dietro. Meglio l’amore convinto e gioioso, senza impegni.” “Beata te, che puoi scegliere. Qui ormai dominano le ragnatele!” “Perché non vai all’hotel …; anche se non sbavano più, ci sarà ancora almeno qualcuno che è un grande ammiratore della Divina. Fino a poco tempo fa li mandavi fuori di testa …” “Devo dirti chi è l’unico a cui concederei ancor il mio amore?” “Porca miseria: sei ancora a questo punto? Senti, vieni un po’ di giorni a Roma; potrei prepararti una sorpresa …”
“Non farneticare. Tu non sai quanto ho voglia di incontrare Junior; ma da questo a farci l’amore, ce ne passa: ho almeno il triplo dei suoi anni …” “Esattamente come il mio zione e la sua mamma; … eppure …” “Hai ragione; ma la storia era cominciata assai prima … Senti, parliamo sul serio. Mamma mi ha chiesto di Mario; io so che è a Roma per una mostra; qui mi hanno offerto dei biglietti, siccome sono la sorella, e stavo pensando di fare io la sorpresa a lui. Tu che ne pensi?” “Allora, cara la mia Divina … Innanzitutto fammi concludere questa sessione d’amore che si è affievolita; dammi il tempo per recuperare un po’ di energia e di pensiero logico; poi ti richiamo e ne riparliamo. Credo però che dovresti parlarne con Margie e Nico, ma soprattutto con Junior, perché sono i veri interessati. Ti ho già detto dello scontro tra Senior e Junior. A me non dispiacerebbe mettere una pietra sopra, almeno alle stupidaggini facilmente dimenticabili, senza andare a scavare cause e colpe. Insomma, sentiamoci dopo che avrai parlato con Margie e Junior. Ciao, mamma, ti voglio bene.“ “Ciao, amore mio, ti voglio bene anch’io.” In fondo, è andata meglio di quanto temevo; anch’io desidero molto trovare almeno una piccola base di dialogo con Mario; e provarci può fare solo bene. Prima di chiamare Margie, ho bisogno almeno di un caffè: non sarà facile affrontare il tema con Junior, ma sono convinta che è giusto e che anche a lui, forse, alleviare il passato può solo fare bene.
“Ciao Margie, sono Oriana.” “Oriana, che gioia sentirti! … Junior c’è Oriana al telefono!!!! … Ciao ziona come stai? “ “Margie, io dovrei parlare con te; ma visto che è lì, posso parlare con l’unico parente mio, a tutti gli effetti?” “Che vuol dire?” “Che proprio due minuti fa riflettevo che i parenti più vicini siamo io e Junior che siamo accomunati dal cognome: ormai, Rossi siamo io Junior e Senior.” “Diamine, zia, è vero, sei la persona più vicina, la persona più cara e non ti vedo quasi mai. Devo organizzarmi per venire a P… al più presto …” “Calma, se ci mettiamo d’accordo, io stasera sono a Roma …” “Davvero?!?!?! Oriana, in qualunque momento la mia casa è tua, lo sai.” “Prima di decidere, devo sapere una cosa. “Dimmi.” “Mi ha chiamato mamma.” “Oddio, come sta la nonna?” “Sta bene, ha chiesto di tutti e vorrebbe abbracciare tutti, ma ha chiesto soprattutto di uno e sapete chi.” “Parli della mostra di Mario a Roma?” “Si; so anche dell’impatto che Junior ha avuto con lui; so tutto; ma una volta una mia amatissima figlia adottiva disse, a mio vantaggio, che il sangue si mastica e non si sputa. Qui l’Albo degli Architetti mi ha messo a disposizione dei biglietti e credo che lo abbiano comunicato a Mario. Io penso di andare all’inaugurazione. A voi dà fastidio?” “Ne hai parlato con Patrizia?” “Si; però, per favore, evitatemi il giochetto dei rimandi; ognuno si esprima per sé in piena autonomia e coscienza.” “Oriana, vieni a Roma, io ci vengo all’inaugurazione. E’ sano e giusto che tu ci sia ed io sarò con te.”
“Grazie, Nico. Sei sempre di una umanità intensa e ricchissima.” “Aspetta, Oriana; la cosa ci spiazza un poco ed io almeno ho bisogno di pensarci. Facciamo così. Tu vieni a Roma e stai qui il tempo che vuoi. La sera dell’inaugurazione tu vai e, se proprio ti va male, avrai un cavaliere della classe di Nico. Se a tuo fratello va bene, la famiglia al completa gli renderà omaggio. Possiamo fare così?” “Perfetto. Io conto di essere a Termini alle 18,28. Da lì devo prendere un taxi o esistono mezzi pubblici utili?” “Quando arrivi, prova a guardare tra le folla in attesa e forse trovi una risposta.” “Grazie, Junior, non volevo che ti disturbassi così.” “Tu pensa a portare qui il tuo bellissimo deretano; poi a trasportarlo a casa ci pensa il tuo Mario.” “Ragazzino, non provocare il cane che dorme; da sveglio potrebbe mordere.” “E’ una minaccia o una promessa?” “Tutto suo padre, benedetto ragazzo! …” Il treno arriva in perfetto orario e il marciapiede è gremito di persone in attesa; esco dalla carrozza imponendomi con la mia struttura robusta, equilibrata, elegante nel semplice tailleur grigio che sottolinea le forme piene, giunoniche; so di essere ancora una donna molto bella ed ammirata, ma mi piace comunque stimolare l’attenzione dei maschietti. Lo individuo subito, anche se sono anni che non lo vedevo ed è senz’altro cambiato; vederlo ed avere un tuffo al cuore è lo stesso attimo, la stessa sensazione: è Mario, il mio Mario, quello che da piccolo si accoccolava a cucchiaio davanti a me, spesso nuda, perché diceva che così si sentiva protetto dai mostri ed era invece una scusa per mettere la testa fra i miei seni, sodi e abbondanti, o schiacciare la schiena contro il mio ventre morbido, budinoso, come gli piaceva dire.
Anche il sorriso, aperto, leale, è quello del mio fratellino, quello più tenero e affettuoso, quello che ricordo tanto volentieri. “Ciao, amore mio, come ti sei fatto bello!” Lo abbraccio con tanto affetto e lo stringo a me; ne approfitta per ricambiare la stretta e, nel movimento, passa una mano a sentire la consistenza delle tette e, quando mi stringe a sé, fa in modo che gli inguini coincidano e si struscino lussuriosamente. Mi bacia a tradimento, in piena bocca, insinuando la lingua tra le mie labbra: non so perché, non mi nego e ricambio con lussurioso ardore il bacio galeotto. Ce ne stiamo un bel po’, fermi sul marciapiede del binario, a dondolarci per stimolare i sessi e baciarci come ragazzini. Quando fa un piccolo break, ne approfitto per rimproverarlo. “Per caso mi hai scambiato per la tua morosa che torna da un lungo viaggio?” “No, so bene che sei la mia morosa che ritorna dal passato dove è rimasta ibernata per almeno venti anni; ed ho esattamente venti anni di baci arretrati.” “E non direi solo di baci, a giudicare da quel che mi preme sul basso ventre.” “Ziona, fatti spiegare da un esperto cosa succede quando l’amore parentale investe il sesso.” Non posso fare a meno di sorridere di gusto. “Chi te le ha spiegate questa cose?” “Una bellissima ragazza che si chiama Patrizia e che mi considera un suo grande amore.” “Spiegale che nonna Anna si riservava sempre il diritto di prelazione su tutti gli amori parentali dilatati al sesso; e aggiungile che io non sono da meno di sua nonna.”
Ci dirigiamo al parcheggio; impieghiamo più di mezz’ora per arrivare a casa; intanto riusciamo a dirci alcune cose personali: quella che mi colpisce è l’intenzione di scegliere gli studi di architettura. Serenamente e brutalmente gli chiedo quanto c’entri, in questa scelta, il rapporto col padre. “E quanto credi che c’entri il rapporto con mia zia?” “Non so e non saprò fino a quando non avremo un minimo di intimità.” “Ti va di dormire con me, stasera?” “Non credi di correre troppo?” “No. Se proprio hai problemi sulla dilatazione dell’affetto filiale, mi versi una somma, diciamo cinque euro, e dichiari che hai affittato un bull. Tutto diventa regolare.” “Hai proprio tanta voglia di fare l’amore con una vecchietta come me?” “Tu sai qual è stato il primo oggetto di desiderio sessuale di mio padre?” “Certo, il mio fondoschiena.” “Sai il perché?” “No, non credo si possano conoscere certi perché; esistono perché esistono … “ “E se volessi sperimentare per cercare di capire? E se qualcosa nei cromosomi mi inducesse ad amare quello che ha amato lui? E se semplicemente mi piacesse l’idea di fare l’amore con te?” “Frena e accosta!” Il tono è stato particolarmente duro. E’ impressionato e lo fa esitante; quando spegne il motore, mi giro ad abbracciarlo e lo bacio come non ho mai fatto in vita mia; mentre ancora stenta a riprendersi, lo avverto.
“Senti, ragazzino. Io sono una che sballa subito. Se m’innamoro, la mia testa evapora e non so più controllarmi; non stuzzicarmi molto, perché potremmo creare problemi a tutti. Stasera dormo con te e, come Siglinde diceva a Mario, tu mi farai tanto di quell’amore da lasciarmi o in paradiso o morta sul letto. Forse faremo l’amore anche qualche altra volta, finché sono a Roma, perché tu sei per me anche l’ipostasi di un sogno e voglio amarti come persona e come mito. Ma poi, ti prego, dimentichiamo e carichiamo tutto, anche questo bacio - incestuoso, vergognoso, colpevole ma, proprio per questo, meraviglioso - fra i ricordi più belli e lasciamolo là. Ok?” “Ok. Posso dirti almeno una sola volta che ti amo?” “E’ troppo tardi per proibirtelo!” Riprendiamo la strada e, grazie a dio, riusciamo a sbarcare a casa. L’entrata è da grande festa: abbracci e baci da sprecarsi,diecimila domande appese e centomila risposte rinviate. Insomma tutto il repertorio delle rimpatriate si spreca. Ci sono tutti, anche Patrizia e Francesco: ovviamente hanno discusso, ma il tema principale ancora non viene sfiorato. Per ora domina la gioia di ritrovarsi. Ma soprattutto si tocca con mano, nell’aria, un grande amore, il senso di una gioia comune e diffusa che deriva dal piacere di rivedersi dopo qualche tempo e di tornare ad essere, non solo a parole, una famiglia. Margie mi chiede come ho fatto a contattare mamma; le spiego che è stata lei a chiamarmi ma che non mi è riuscito di arrivare al numero del suo apparecchio.
Margie e Patrizia mi spiegano che, con i mezzi a loro disposizione, alcuni impiegati dell’ufficio sono in grado, se lo vogliamo, di ottenere quel numero e, se vogliamo possiamo provare a chiamarlo. Francesco, senza farsi notare, ha aperto il mio tablet e sta armeggiando su qualcosa. Mentre ancora discutiamo se violare o no la privacy di mamma, eccola apparire sul mio tablet “Ciao, chi sei bel ragazzo?” “Ciao, nonna, sono Francesco!” Mamma rimane letteralmente di sale.”Oh mio Dio, quanti anni sono passati? Sei un uomo, ormai, quanti anni hai?” Francesco fa ruotare il tablet verso ciascuno di noi e si vede nettamente mamma che piange come un vitello. “Nonna, perché vuoi nasconderti? Lo sai quanto ti vogliamo bene?” “Aspettate un po’. Fatemi riprendere. Chi è stato che ha scoperto il mio numero?” Francesco confessa. “Io, nonna; ma se avessi saputo che c’era bisogno lo avrei trovato già da mesi. E. ti prego, non cercare di cambiarlo: mi obbligheresti solo a cercarti, perché abbiamo tutti noi bisogno di parlarti, ogni tanto.” “Va bene, non scappo più. Come state?” “Come risposta unitaria, stiamo tutti bene. Io sono ormai laureato in ingegneria informatica e ho già firmato un contratto con una grande azienda; adesso ti faccio parlare con ciascuno e vi salutate. Un grosso abbraccio, nonna. E speriamo di vederci, prima o poi. Ricordati che sei sempre la mia nonna sprint. Ciao.”
Mamma è visibilmente emozionata e anche Francesco deve nascondere le lacrime. Tutti poi salutano la mamma, raccontano un poco di sé e ribadiscono un affetto di cui nessuno ha mai dubitato. Quando arriva il mio turno, il rimprovero è d’obbligo. “Perché non ti sei fatta gli affari tuoi?” “Semplicemente perché Francesco con i computer è un dio, mi ha semplicemente chiesto per un momento il mio tablet e senza che e ne accorgessi eri in linea. Ecco, perché.” “Sono veramente bravi questi ragazzi, tutti, da Patrizia a Junior da Francesco a Margie fino a Nicola.” “E’ vero; l’unica cretina che ti sta a sentire sono io!” “Ma che dici: anzi, tu adesso sei la più anziana, la capofamiglia.” Junior interferisce. “La più bella, la più affascinante, la più coraggiosa: questo non lo dici, nonna?” “Senti, ragazzino; non so da quanto tempo e quanto tu vuoi bene a Oriana; io l’ho voluta contro l’opinione di tutti, l’ho amata e l’amo a dispetto di qualunque giudizio. Non stare giudicare il mio amore perché vengo lì e ti sculaccio per tutte le volte che non l’ho fatto … e dire che ne meritavi. Senti, Oriana, sei a Roma per quel discorso?” Margie mi previene. “Si, Anna; Oriana ci ha detto del tuo desiderio di smussare e, se possibile, pacificare. Andremo all’inaugurazione e saremo famiglia, come sempre; spero che Mario Senior sia più disponibile, stavolta, e che qualcuno, ancora una volta, gli abbia suggerito che “il sangue si mastica ma non si sputa”. Se sarà così, saremo felici di telefonarti per raccontartelo. Se no, perdonami ma sai come la penso.” “Io mi fido ciecamente di te; hai sempre scelto l’atteggiamento giusto. Speriamo in bene. Un bacio a tutti; un grande abbraccio e a risentirci. Ciao.” Francesco interrompe la comunicazione.
E’ ora di pensare a mangiare qualcosa e la soluzione sono le pizze dal forno all’angolo da consumare sul tavolo di cucina. Io, mentre vanno a prendere le pizze, ne approfitto per fare una doccia veloce; poi indosso un accappatoio di Margie. “Sistema pure le tue cose nella camera dei ragazzi: credo che la potrai usare liberamente per un bel po’” Mi avverte Margie; guardo stupita. “Mio marito è in giro per l’ufficio e Francesco dorme con me.” Mi avverte Patrizia. “Ed io stasera dormo con te e le prossime sere deciderai tu.” Chiosa Junior; guardo perplessa Margie ma lei mi fa segno che tutto va benissimo. La cena scorre piacevole: la pizza è buona, il vinello fresco e il clima è mite; ma soprattutto c’è tanta serenità, tanta pace in quell’ambiente tanto anomalo che pare quasi di essere in uno spettacolo surreale. Quando, ad un tratto, nei discorsi cade l’accenno alla inaugurazione a cui partecipare, decidiamo che la cosa migliore è la conferma delle prenotazioni da P… per sei persone senza ulteriori precisazioni: se ne occuperà Margie dall’ufficio. Quando è evidente che stiamo per ritirarci a dormire e vedo Junior fremere dal desiderio di appartarsi con me, mi prende una strana ridarella che, come sempre, mi parte dagli occhi; Nico mi guarda con aria interrogativa. “Sai Nico, quasi diciotto anni fa, mi offrii di ospitarti nel mio letto, se ne avessi avuto bisogno. Stasera, a ruoli ribaltati potresti essere tu a ospitarmi, se non ci fosse tuo figlio a farmi pressione.” “Se doveste avere tempo, noi non vi manderemmo via.”
Guardo Margie e lei annuisce per dire che sarebbe anche d’accordo. “Lasciatemi assaporare questo succedaneo di mio fratello: mi incuriosisce troppo; poi, non è detto. Se non ricordo male, nonostante le mie spericolate arditezze, l’amore con voi due non l’ho mai fatto, né insieme né individualmente.” “Vero!” Conferma Margie; poi aggiunge. “Io ho già assaggiato Junior; e so che non ce ne sarà, dopo. Ma, per i prossimi giorni, non è da escludere. Buona notte; e, soprattutto, divertitevi.” Forse sarà perché abbiamo annesso al rapporto con Junior troppe valenze; forse perché il viaggio mi ha comunque stressato; forse per non saprei che cosa, sta di fatto che l’impatto con Junior non mi stravolge come mi attendevo, specialmente se nella mente scattano i ricordi e, con essi, il confronto inevitabile. E’ decisamente un gran bel ragazzo, fornito di una buona attrezzatura, che usa anche con una grande perizia; ma la stessa bravura tecnica finisce per costituire il limite. Se mi accoccolavo a cucchiaio davanti a Senior, quello che ne scaturiva era un senso di appartenenza, un languore sottile che faceva desiderare di essere una sola cosa; Junior, se si accostano le natiche al ventre, cerca immediatamente la penetrazione, dove che sia: non gli riesce assolutamente di intuire che cosa io desideri da lui in quel momento. Così per qualunque altra manifestazione di affetto, che si riduce sempre, assai rapidamente, ad esercizio di bravura sessuale.
Dopo che per quasi due ore mi è entrato in tutti i fori praticabili, mi ha preso da tutte le parti, in ogni posizione, con tutti i meccanismi e con moltissima esperienza, alla fine mi ritrovo ad avere bisogno di amore, di tanto amore, forse di tutto quello che, nella mia memoria almeno, Mario Senior mi sapeva dare quando facevamo l’amore. Mentre ci stiamo rilassando, udiamo dalla stanza a fianco chiari rumori di un amplesso intenso e partecipato; lo guardo meravigliata. “Papà sta usando qualche dildo.” È la sua spiegazione. Sono curiosa. Dovendo comunque andare in bagno per scaricare residui accumulati, pulirmi e rinfrescarmi, esco dalla camera dei ragazzi e, necessariamente, passo davanti alla porta spalancata: Margie è in estasi e quasi non vede, ma Nico mi fa segno di entrare; gli rispondo, a segni, che prima vado a lavarmi. Di ritorno dal bagno, entro nella loro camera, salgo sul letto e mi stendo a fianco a Nico che mi accoglie baciandomi con calore, al punto che mi sento scaldare profondamente e mi stringo a lui; risponde con altrettanto entusiasmo e mi stringe tutto il corpo fin quasi a farlo aderire del tutto; mi forza leggermente le gambe, si inserisce con una coscia fra le mie e con i muscoli della stessa coscia, va a stimolarmi la vulva. La mancanza di un membro capace di irrigidirsi e penetrare diventa un problema evidente; sto per invitarlo a desistere, anche per non patire la mancanza, quando mi sento penetrare, posteriormente, da qualcosa di duro e cedevole al tempo stesso.
E’ chiaro che non si tratta di un membro maschile ma solo di un giocattolo sessuale che Margie sta usando con il mio corpo: vibro di libidine soprattutto per la novità della situazione, mentre non mi accorgo che Nico, dall’altra parte, mi sta infilando un oggetto simile nella vagina. Un orgasmo improvviso mi assale, quando mi sento posseduta contemporaneamente davanti e dietro, mentre Nico mi comunica un affetto intenso abbracciandomi e baciandomi davanti e Margie si attacca al mio corpo come una sanguisuga cercando e donando amore, amore, amore. Sento che il mio cervello va in pappa, che il mio corpo si scioglie, che il mio bisogno d’amore trova finalmente materia concreta a cui appigliarsi: i gemiti e le frasi sensuali mi sgorgano dal profondo e segnalano tutta la mia partecipazione a quella straordinaria esperienza. A colmare la misura, sopraggiunge Junior che abbraccia da dietro sua madre e, fedele al suo istinto, la penetra quasi immediatamente: allungo una mano dietro di me, ma solo per accertarmi che, come pensavo, è un adoratore del lato B e che lì ha penetrato Margie, con sommo piacere di tutti e due. Non so cosa sia successo, poi, in quel letto. So solo che ci siamo svegliati poco oltre l’alba, io e Margie nel lettone abbracciate come da decenni non mi svegliavo, con mia madre o con mia figlia, e i due maschietti che si erano trasferiti nella camera coi lettini e si erano finalmente addormentati.
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Aggiunto: 5 anni fa
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Incesti