Mi risveglio con una fortissima eccitazione: non so se per il grande entusiasmo del rapporto con Roberta e l’equivoco finale; se per il tepore del sonno gustato abbarbicato ad Oriana o semplicemente per una naturale sollecitazione mattutina, ma sta di fatto che mi ritrovo con un cazzo duro da fare male ed un desiderio smodato di sfogarmi. Patrizia e Oriana sono già belle e vestite. “Roberta è in bagno.” Mi avverte Patrizia. Busso leggermente e, senza attendere risposta, apro ben sapendo che non usa chiudere a chiave. “Ciao, amore.” “Che diavolo fai; aspetta il turno.” “Quale turno?” E l’abbraccio con foga inattesa, piantandole subito il cazzo tra le cosce, in tutta la sua durezza. E’ disorientata e quasi balbetta “Ma … di là … le due …” “Quelle non mi interessano. Io voglio fare l’amore con te, qui, nudi, nel cesso.” “Tu sei proprio matto!” Ma sorride e si illanguidisce mentre la bacio. Passo le mani sulla pelle di tutto il corpo, dalle spalle giù fino al culo, dalla gola fino alla figa; la bacio continuamente, le infilo la lingua in gola e me la lascio succhiare con amore. Le premo sulle spalle per farla abbassare; capisce l’intento e prende in mano il cazzo che si è fatto d’acciaio. “E’ questo che vuoi?” Mi chiede e si piega per prenderlo in bocca. “Si. Ieri sera mi hai instillato una voglia terribile e mi sono svegliato con quel desiderio: voglio sentirmi nella tua bocca e scaricarvi tutto il mio amore.” Sappiamo ambedue che non abbiamo tempo e che ci sono due persone che potrebbero sentirci; ci mette tutto l’impegno e scopro che usa la bocca deliziosamente, accarezza il cazzo con amore lo fa vibrare ad ogni tocco della lingua, anche se non lo spinge forte in gola; la lascio fare anche quando mi è chiaro che sta facendo in modo da farmi sborrare subito.
Non posso rammaricarmene: deve essere puntuale ed io invece potevo capire di più la sera prima. Mi lascio andare ad un sborrata lunga e dolce, mentre vedo che con le dita si martella il clitoride: viene soffocando sul cazzo i suoi urli. La sollevo per le braccia e la bacio sulla bocca con violenza. “Ti ho bevuto tutto.” Mi sussurra alla fine, Poi si riprende e fa per spingermi via. “Adesso devo fare pipì.” “Aspetta!” La spingo delicatamente verso il box doccia, la faccio entrare e mi ficco anche io. Mi guarda stranita. Il cazzo mi è tornato duro, lo appoggio fra le cosce, accosto la punta alla vulva e spingo verso l’alto finché non sento che è dentro. “Adesso la pipì la farai, ma sul mio cazzo. So che all’inizio non ti sarà facile, ma comincerò io e tu mi seguirai.” Mi guarda con sorpresa “L’ho già fatto, con Margie la prima volta che ci siamo incontrati; non abbiamo più dimenticato e voglio che con te sia la stessa cosa.” Mentre parlo, sono riuscito a spingere il primo spruzzo; quando lo sente picchiare sull’utero, si lascia scappare un urlo, che soffoco immediatamente con un bacio. E sono costretto a soffocarne molti altri mentre le scarico la vescica in vagina e lei, subito dopo il primo spruzzo, ha cominciato a far scorrere su di me i suoi liquidi tra cui non si potrebbero distinguere gli umori vaginali e il piscio. Quando mi sembra che ci siamo svuotati, mi stacco dalle sue labbra e le chiedo con dolcezza. “Ti ha dato fastidio?” “No, è stato enorme, immenso, definitivo. Mi sembrava che tu mi versassi nell’utero sborra senza interruzione e ho cominciato a versare altrettanta sborra pure io; ho avuto un orgasmo ininterrotto e ancora non mi riprendo.”
Apro l’acqua e dirigo il getto sul basso ventre e sulle cosce per pulire ambedue dal piscio e dalla sborra. Noto che è quasi rattristata. “Cosa c’è? Ti sei già pentita?” “C’è che sei uno stronzo e mi stai facendo innamorare di te. Mi sai dire adesso io come faccio quando, domattina, tu te ne vai? Dove trovo uno che mi sconvolge con l’amore, come stai facendo tu in poche ore?” “E’ vero: perdonami, non dovevo aprire certe esperienze, ma non ho saputo resistere.” “Vuol dire che dovrò contare i minuti fino al tuo ritorno con l’ansia si scoprire quante cose ancora mi farai provare con te.” Raccoglie le sue cose ed esce raccomandandomi di non attardarmi. “Io devo andare in ufficio. Tu alle undici devi essere al Museo per l’incontro. Mi raccomando: qui apprezzano la puntualità.” Le faccio cenno di non preoccuparsi e porto la mano sul cuore come giurassi; mi sorride ed esce. Mentre faccio le mie cose, sento che Patrizia le chiede se può andare con lei; avutane conferma, escono e sento la porta che si chiude. Subito dopo, la porta del bagno si apre ed entra Oriana che è rimasta con me in casa. “Tu lo sai che domani dobbiamo tornare a casa e che questa ragazza forse non la vedrai mai più. Perché fai di tutto perché si attacchi a te? Per farla soffrire quando te ne andrai?” “Oriana, io ti voglio bene, ma tu ogni volta cerchi la lite. Adesso mi vieni a fare la predica su qualcosa di cui posso dire che non hai grande competenza. Con Roberta avevo già fatto l’amore quando venni a proporre la mostra; anche allora abbiamo dormito qui insieme senza andare in albergo, dove mi avrebbe ospitato il Museo. Stavolta era una ripresa e Roberta ha dimostrato di saper controllare la sua vita. Insegnamenti da te, scusami, non ne prendiamo.”
“Mi giudichi un’imbecille o ti fa schifo il mio comportamento?” “Io non giudico nessuno. Tu, che hai paura dei giudizi, pensi che io ti stia sempre a giudicare, anche quando ti assicuro che non lo faccio. Il tuo tenore di vita degli ultimi mesi non mi può trovare concorde e non te lo nascondo. Da qui a giudicarti un’imbecille, ce ne passa. Mi piacerebbe che, abbassando l’orgoglio, tu e tua figlia riusciste a prendere coscienza di certi fatti e vi poneste rimedio appena possibile. Per quel che riguarda il mio distribuire amore a tutto spiano, proprio tu dovresti sapere che lo do a piene mani, a tutte; poi ciascuna ne fa l’uso che crede. Roberta può conservarlo tra i ricordi e viverlo talvolta con nostalgia, ma lo può anche buttare nel cesso e darsi da fare in altra direzione: questo lo sai per esperienza. E non è colpa del mio amore se qualcuna poi finisce sul marciapiede, ma solo dell’assurda incapacità di alcune persone, di gestirsi la vita.” “Continuerai a considerarmi il tuo primo vero amore?” “Tu e tua figlia avete la pericolosa tendenza a pretendere ad ogni costo di essere le prime dell’elenco: per ottenerlo fate cose inenarrabili e devo avere tanta pazienza per accettarvi. Per rispondere alla tua domanda, io, della mia sorellona che anche stanotte mi ha tenuto abbracciato, nudi sul letto, beh, io di quella sarò sempre innamorato, Quella che si presenta col ventre e il culo coperto di lividi, beh quella la guardo e cerco di non piangere di dolore. Ti basta come risposta?” “All’Oriana tata daresti un bacio?” “No; primo, perché Oriana tata mi consentiva al massimo di succhiarle i capezzoli ma non di baciarla in bocca; secondo, perché baciare l’Oriana che ha nascosto la mia tata mi farebbe temere di baciare una fogna o un orinatoio.”
“Fino a questo punto?!?!” “Sorellina, hai mai provato a contare quanti cazzi hai preso in bocca e nel ventre, da tutti i lati? Io non riesco a fare l’amore con la tua storia. Quando e se ti sarai lavata i residui di questa vita, possiamo riparlarne; prima, sarei grato a te e a tua figlia se vi teneste abbastanza lontano da me e, soprattutto, dal mio cazzo.” “Non riusciresti ad amarci senza sesso?” “Cosa sto facendo i questo momento? Io credo che stiamo comunicandoci amore intatto e puro. O credi che siamo a una trattativa di lavoro? O, peggio ancora, metti questo nostro confessarci sullo steso piano delle chiacchiere che precedevano le scopate multiple che facevi coi tuoi ganzi?” “Ma allora stanotte davvero dormivi?” “Si, ricordo che ci siamo abbracciati e che ci siamo toccati, poi però sono crollato addormentato. Perché ti meravigli?” ”No, niente; credevo che fossi sveglio mentre ti succhiavo il cazzo e tu mi dicevi infinite dolcezze. Guarda che ho ancora la tua sborra secca qui.” E mi mostra sul seno le tracce evidenti di una sborrata. “E’ chiaro che il ricordo mi ha spinto a vivere situazioni di molti anni fa. Ti ho amato come se fossi il bambino che ti spiava allora. Non ne ho un ricordo chiaro, ma guardo i fatti e riconosco che non può venire da nessun’altra parte la sborra che hai lì e che ieri sera non c’era. Ti ho amato come da sempre e ho anche fatto l’amore con la tua bocca. Questo ti dice che ti amo davvero; ma non esclude che tu debba cambiare tante cose, se vogliamo azzerare tutto e ripartire.” “Giusto, giustissimo, tutto vero, tutto corretto. Ma io volevo sapere solo se stanotte mi hai fatto fare l’amore con te e se te ne eri pentito.”
“Non sono pentito di niente, neanche di averti portato a scopare con Zacharias scatenando tutto quello ch’è stato. Quella volta ho sbagliato a stimare le tue capacità di controllo più alte di quel che si sono rivelate; ma c’era in ballo il tuo lavoro, la tua crescita, la tua liberazione. Non sapevo e non potevo prevedere che quella scopata ti avrebbe liberato da una schiavitù per sbatterti in un’altra assai peggiore; lo confesso: ho avuto troppa fiducia, quella volta; stavolta potrei sbagliare a non avere fiducia, mentre anche il mio corpo, evidentemente, crede in te, ti ama e ti desidera come il bambino che ero. Ma al momento riesco solo a volerti bene come immagine, come memoria, come desiderio; assai meno come corpo fisico. Prendiamoci tempo e usciamo dalle sabbie mobili; poi si vedrà.” “Però io sono anche corpo, sangue, voglia, sesso. Non posso accettare di essere un’idea, meno ancora un santino. Una, cento, mille sborrate ingoiate e poi espulse non cambiano le persone; eppure, una sola sborratina, da un individuo che quasi dorme, può cambiare i rapporti. Non ti chiederò più di scopare o di farmi fare l’amore; ma non cercare di farmi credere che non senti voglia di fare sesso, perché il tuo amore diventerebbe una boccata da un bel cannone.” “Touchè, toccato, mi hai preso in castagna. Ma stanotte non ero in grado di accorgermi, come è successo con Patrizia, che ormai il mio cazzo, sempre stimato una bella verga, oggi non vi fa neppure il solletico, né in figa, né in culo, né in bocca. E’ questo che può rendermi impotente, all’improvviso. Nel dormiveglia mi lascio scopare come l’adolescente di un tempo; da sveglio, i mostri mi assalgono e la paura mi uccide.”
All’improvviso, Oriana mi abbraccia con forza, si stringe a me con tutto il corpo, prende in mano il cazzo che da un bel po’ è tornato rigido, se lo appoggia fra le cosce, direttamente sulla figa, e comincia a dimenarsi con il bacino. Istintivamente chiudo gli occhi, abbasso le mani sul culo e lo stringo con tenera violenza: mi assale il languore che provai tanti anni prima, quando Orietta mi consentì di appoggiarglielo fra le cosce e, mentre la scopavo così, mi balzò in mente il sogno del culo di Oriana e sborrai come una fontana. Anche adesso la sborrata mi coglie di sorpresa e sento il ventre di Oriana contrarsi, esattamente fece allora Orietta, che mi sussurrò felice “Sento che sei venuto. Sono venuta anch’io. E’ meraviglioso!” Mi sentii un po’ in colpa perché avevo pensato di sborrare sul culo di Oriana mentre mi strusciavo fra le cosce di Orietta. Ma adesso è proprio fra le cosce di Oriana che si è scaricata la mia sborra. E ne sono contento. “Sei pentito?” Mi chiede Oriana, quasi ansiosa. “Neanche per sogno e se avessi più tempo ti direi anche quante cose mi ha ricordato questo contatto. Ma adesso devo andare perché sono quasi in ritardo. Tu cosa fai?” “Credi che sia corretto se mi faccio vedere anch’io?” “Non lo sarebbe perché sei fuori gioco, ormai: ma sei ancora e sempre mia sorella e vieni con me, piaccia o non piaccia gli altri.” “Mi vesto.” Usciamo e andiamo insieme ad affrontare l’ultimo capitolo di questa strana vicenda. Ci muoviamo quasi più leggeri e siamo allegri come ragazzini mentre percorriamo i pochi metri che ci separano dal Museo.
Nell’atrio del Museo incontriamo Patrizia che sembra soddisfatta di vederci arrivare mano nella mano; noto un cenno di intesa tra le due. “Ah … quindi … qualcuno ha parlato di avventure in aeroporto.” “Ti spiace?” Patrizia è sempre aspra. Oriana è più ritrosa ancora “Ti immagini, alla mia età, dipendere dai consigli di mia figlia per recuperare l’amore di mio fratello che fino a qualche mese fa era il mio primo ed unico amante?” “Immagino, vedo e sono felice che almeno un poco di chiarezza si sia fatta con tutte e due.” Patrizia è categorica “Io, però, ad una scopata vera con te, in figa e a pelle, non rinuncio.” “Fai il tuo dovere fino in fondo e ne parliamo concretamente.” Arriva Roberta “Oh, siete qui. Gli ospiti sono già nel mio studio.” Vengo presentato ad Helmut, l’architetto, l’unico che non conosco, e saluto Hans e il Presidente. Poi presento Oriana e Patrizia e Hans non si risparmia la battuta goliardica. “Tu non potevi occuparti che di Bellezza.” Roberta provvede a tradurre per gli altri due. “Perché?” “A Roma ti sei esibito in forma smagliante avendo a fianco una sventola da copertina; l’altra sera ti sei fatto ammirare non per te ma per la bellezza greca che avevi a fianco.” Roberta arrossisce e abbassa gli occhi: i due tedeschi annuiscono ammirati. “Adesso mi fai scoprire che tua sorella e tua nipote sono veramente due sirene capaci di ammaliare solo con la loro presenza. E’ chiaro che la Bellezza è il tuo mondo.” “Se ci aggiungi un amico giornalista che si esercita a fare il lumacone (sai cosa significa? Annuisce) con tutte le donne meravigliose che gli presento, il quadro e completo!” Ridono tutti; poi Helmut chiede in tedesco a Roberta se Oriana è la progettista del ponte discusso. Ricevuta conferma, si sbraca in complimenti che non comprendiamo ma che Roberta e, in parte, Hans ci traducono; poi chiede delle differenze di visione tra i loro stili, il suo più estetizzante e quello di Oriana più concreto e “edilizio”; Oriana parla con Hans e spiega che si avvale della competenza di un forte staff di ingegneri.
Oriana ha un’ultima curiosità: cosa sarà del progetto del ponte. Hans spiega che è decaduto e sarà forse riproposto più avanti, ma in termini assai diversi perché alcune iniziative avviate sul territorio ne chiedono la totale trasformazione. Il Presidente a quel punto comunica che di estetica avranno modo di parlare al convegno previsto dal progetto e chiede invece di parlare, appunto, di quello, tra mostra e presentazione. Helmut tira fuori una cartellona e sciorina il progetto di un monumento molto elegante da organizzare in una vasta piazza, accompagnando l’immagine centrale con tutto l’apparato grafico. Intorno al progetto centrale, c’è una vasta seri di decori che devono far convergere l’interesse sul monumento e dare spazio all’intrattenimento delle persone. Mi guarda con aria interrogativa; io prendo un foglio dalla pila che ha Roberta e, con una matita, traccio alcuni segni abbozzati. “Ecco, Roby, spiegagli che innanzitutto la pavimentazione dovrebbe essere con mattonelle di questo disegno che, in fuga convergente, vanno verso il monumento.” Prendo un nuovo foglio e abbozzo alcuni oggetti. “Ecco, qui vedrei delle panchine con questi disegni, qui delle interruzioni di passaggio sempre con disegni del genere, per costruire un percorso obbligato dal riposo al monumento.” Roberta traduce. Il tedesco si alza in piedi, viene verso di me con un’aria che non so definire, spalanca le braccia e mi travolge con la sua massa urlando qualcosa. Traduce Hans “Dice che questo è quello che mancava, che lui aveva la coscienza che l’opera non fosse conclusa, ma che solo ora capisce perché.”L’architetto tedesco chiede se può prendere i disegni: li può far elaborare e definire dal suo studio. Dico che può prenderli, ma che se facciamo insieme l’operazione, io preparerò i definitivi per la mostra e per il dibattito.
Interviene Patrizia. “E finalmente sarai costretto a lavorare come un mulo!” La guardiamo con ferocia, io Oriana e Roberta. Hans è l’unico che ha capito e getta acqua. “La signorina non ha molta fiducia nell’operosità dello zio.” “Già; ma è meglio che non si sappia.” Annoto. Hans mi fa segno che tutto va bene. Le due ore successive si consumano a fissare i particolari di una grande mostra che, risorgendo da ceneri calde, riprende vita e consistenza. Si affidano le competenze e il peso maggiore si scarica sul Museo che deve coordinare le attività, anche con Clemente che è stato informato della modifica ed è entusiasta; per quello che mi riguarda, devo solo elaborare i nuovi disegni sul progetto di Helmut e mi impegno con Roberta a farli pervenire almeno un mese prima dell’apertura della mostra. E’ l’ora di pranzo; i tedeschi si accommiatano e noi quattro ci dirigiamo a casa di Roberta. Mentre consumiamo un veloce spuntino, come è costume da quelle parti, torniamo inevitabilmente sulla sortita di Patrizia. Naturalmente, è difficile spiegarle che certe uscite deve imparare a risparmiarsele: la sua tendenza a mettersi in luce ed a sfruttare la luce del riflettore, in questa come in altre occasioni, la domina e le impedisce di essere lucida. Appena Roberta è uscita di nuovo per tornare in ufficio, Patrizia mi trascina con sé verso il letto, su cui precipita spingendo anche me; si lancia immediatamente sul pantalone e tenta di aprire la cintura. Vedo rosso. La prendo per i polsi e la scuoto violentemente.
“Senti, piccola deficiente: adesso basta; adesso cresci, se ci riesci; o vai a rompere i coglioni a qualcun altro. Sono stufo di vedere una scimmietta ninfomane che fa i capricci come una bestiolina e, quando è il momento di rendere conto, si fa avanti esibendo la fighetta convinta che gli altri se la sbatteranno e tutto passerà in cavalleria. La vita è fatta di cose assai più serie e diverse. Lasciami in pace e non mi toccare nemmeno se sto morendo e devi prestarmi soccorso!” “Mamma, lo vedi tuo fratello come ti tratta male?” “Ti ho trattata peggio quando ti ho lasciato fare e ti ho permesso di diventare una puttanella che la da a tutti, senza pensarci, proprio come le bestie. Forse dovevo assai prima insegnarti il rispetto dei limiti e dei doveri.” Patrizia minaccia. “Quando saremo a casa, lo dirò a nonna e vedrai che ti combina.” “Ha parlato la mongoloide; lo zio, in prima istanza; la mamma, se va male con lo zio e infine la nonna se va male con tutti e due. Credo che chiederò il ricovero coatto in un Centro di Igiene Mentale per evidente stato di immaturità irreversibile.” “Ma come ti permetti? Immatura a chi?!?! Voi e le vostre arie supponenti. Io faccio a meno di voi e di tutti quelli come voi. Adesso me ne vado e che s’è visto s’è visto!” “Se batti qualche marciapiede buono, forse raccatti anche i soldi per tornare a casa!” So che la frase è insopportabilmente cattiva, ma non la reggo più, Scoppia in lacrime e si rifugia sul sacco a pelo, in un angolo; ci resta fino a che Roberta rientra dal lavoro. In tutto il tempo, non ha spiccicato una parola. Ma anche noi siamo stati in religioso silenzio, a coccolarci la profonda tristezza che ci ha pervaso. Roberta, entrando, era giuliva perché le pareva giusto celebrare il successo del mattino; in un attimo, si è resa conto della maretta e ha taciuto.
La cena si svolge nel più angosciante silenzio. Poi Roberta mi prende per mano e mi porta a sedere sul letto: dobbiamo parlare, non c’è più tempo. Mi chiede come ci terremo in contatto e se penso di poter venire ancora una volta, nei mesi prima dell’apertura. Le dico serenamente che un altro viaggio non potrebbe essere calendarizzato, ma che potrei anche fare salti mortali per realizzarlo, ma solo per stare ancora qualche giorno con lei. “No, stupido, non dire cose strampalate. La nostra storia si apre e si chiude ogni volta; ed ogni volta è per sempre. Tu lo sai e non puoi farci niente; io lo so e posso solo seppellire nei ricordi i giorni straordinari passati, tra scazzi, casini, violente aggressioni, dialoghi ma soprattutto tanto, tanto amore.” Per le comunicazioni, mi invita a migliorare il mio rapporto col computer e con skype che consente di parlarsi guardandosi in faccia, sia per le comunicazioni ufficiali che per quelle private e intime. Per il resto, la macchina burocratica funziona perfettamente e sarà quella a determinare gli sviluppi. Naturalmente, mi chiede di Patrizia che vede tutta raccolta in sé e lontana; le dico che, come al solito, ha cercato di superare l’incidente offrendosi per farsi scopare e questo mi ha fatto inferocire; le ho detto cose terribili ma so anche che non serviranno a niente perché ci riproverà: non conosce altri percorsi per comporre dei dissidi ed è ormai convinta che tutto il mondo usa il sesso per comporre le vertenze. Le chiedo come fare l’indomani per andare in aeroporto, visto che lei sarà al lavoro. Mi dice che qualche ora di ritardo, essendo la direttrice, se la può permettere. Ci accompagnerà lei.
Restiamo per un po’ in silenzio; poi lei mi si accoccola al petto ed io la accarezzo teneramente sul viso e sulla testa; poi mi lascio lentamente scivolare supino sul letto, la porto su di me e l’abbraccio con forza. Quando vado a baciarle gli occhi, avverto che sta piangendo silenziosamente e che ha il viso inondato di lacrime. La bacio su tutte le lacrime e gliele asciugo con amore. “Sono proprio una stupida!” Mi sussurra. “Mai nessuno nella Storia si è permesso di dire che amore e stupidità coincidono. Vuoi essere la prima?” “Scemo!” Mi dice e mi bacia con grande foga. Le passo le mani sulla schiena e scendo accarezzando sui lombi, agguanto le natiche. “Però … devo dire che hai proprio un bellissimo culetto.” “Stasera voglio che fai l’amore nel mio culo.” “No!” “E perché?” “Cosa mi potrebbe poi attirare qui da te? L’idea di farti il culo mi spingerà sempre più a sperare di tornare da te e sforzarmi di farlo. Se invece consumiamo tutto adesso, la voglia potrebbe venire meno.” “Guarda che non ho mica detto che sia vergine!” “E io forse ti ho dato l’impressione di sperare di essere il primo a violarlo? O speri per caso che il tuo sia il primo culo che assaggio? Noi non l’abbiamo mai fatto e quando lo faremo sarà una prima volta, non per integrità della parte, ma perché saremo vergini noi, a quell’esperienza. Io ho un concetto quasi sacro per certe cose.” “Stronzo, ti amo alla follia e peggio per me perché so che domani ti vedrò andar via, forse per sempre.” “Che dici? Facciamo l’amore e poi cerchiamo di dormire un po’?” “Mario, per favore; fammi fare tanto amore, ma tanto!”
Incurante che nella camera ci sono le due che forse ci guardano, comincio a sbottonare con garbo la camicetta, mentre le percorro il viso con i baci e mi vado a fermare sulla bocca con la quale ingaggio una vera lotta per possederci a vicenda, succhiandoci e mordendoci, come a volerci incorporare l’una nell’altro; quando la camicetta scivola dietro la schiena e cade sul letto, parto a morderle le orecchie, prima l’una poi l’altra, e scendo baciando verso il collo che percorro da un capo all’altro. Mentre bacio il petto, le stringo con forza le natiche, appoggio con una mano il cazzo sulla sua figa, senza neppure spostare né i suoi né i miei vestiti, e agito il suo inguine sul mio, con insistenza persino dolorosa, finché sento che vibra e si tende tutta, inarca la schiena e urla come un animale al macello, grida il suo godimento, la sua gioia, il suo orgasmo, la sua felicità; poi si adagia su di me e mi subissa di baci: sento che percorre tutto il viso, sento che la lingua umida mi passa in tutte le pieghe e mi eccito da morire; sgancio la gonna e la tiro giù; si dimena con tutto il corpo per consentire alla gonna di scendere fino ai piedi. Infilo le palme negli slip e stringo le natiche, le palpo, le massaggio, me ne riempio le mani; poi faccio scivolare il medio giù, verso l’inguine, e incontro la fessura: la esploro un poco e catturo il clitoride. Titillo il tutto, percorro in circolo il bottoncino e penetro in figa con il dito; la bacio con amore e insisto sul clitoride che sento gonfiarsi; la massaggio con insistenza e alla fine il suo orgasmo esplode ancora con un urlo disumano e stavolta anche con un leggero spruzzo di umori della figa e un po’ di piscio. “Questa è già la seconda volta. Cerca di non ammazzarmi.” Mi sussurra e si deposita delicatamente su di me.
Con un colpo di reni, ribalto la posizione e la porto distesa sotto di me, le sgancio il reggiseno, lo sfilo e lo mando a raggiungere la camicetta; mi sollevo in ginocchio sul letto, le tolgo completamente la gonna e le sfilo gli slip. Me ne sto a guardare le sue forme, le sue fattezze, tutta la sua bellezza: e sento che non mi stancherei mai di ammirarla, di starla a guardare, di parlarle d’amore, anche senza toccarla. Ma non è, Roberta, donna da accontentarsi di belle frasi e sguardi; il languore del viso, che in realtà tradisce quello di tutto il corpo, è da orgasmo soddisfatto, ma anche da desiderio di sesso, ancora e ancora: me l’aveva detto; vuole ancora tanto e tanto amore. Mi sposto da sopra di lei per spogliarmi e noto che sta guardando con intensità Patrizia, che senza tanti pudori né dubbi si è bevuta tutta la scena e si sta masturbando alla grande: pochi cenni e la nipotina è sopra di lei, che le succhia un capezzolo. Quasi per una maledizione, Oriana si è accostata dall’altro lato e le ha preso l’altra tetta che sta leccando amorosamente. Guardo Roberta con l’aria di chiedere che succede. “Non vuoi accettare che queste due tue amanti vogliono tutto quello che è tuo; non sono mai sazie di te: figuriamoci adesso che non ti azzardi a scoparle; sono in autentica crisi di astinenza. Per loro i miei orgasmi sono i loro orgasmi mancanti e sono tuoi, non miei; e non te li vogliono lasciare solo a te, vogliono esserci anche loro.” “Bellissima spiegazione scientifica! Però, di fatto, le aiuti a rimanere pervicacemente sulle loro posizioni, senza che facciano alcunché per correggersi. Tra poco Patrizia tornerà alla carica con la scopata a pelle e io mi incazzerò ancora una volta.”
“No, non ti chiederò di scoparmi finché non sarò sicura io e non sarai sicuro tu che possiamo farlo senza pericolo. Ho fatto un’altra stronzata, oggi; e me ne sono pentita un attimo dopo. Come sempre, non ho avuto il coraggio di confessartelo perché quegli errori mi impediscono di apparirti perfetta come vorrei e mi procurano il tuo fastidio e la tua rabbia, esattamene quello che non voglio. Lo so che fra un niente ripeterò lo stesso errore perché, in fondo, in questo senso, sono veramente stupida; ma spero sempre che tu me lo faccia rilevare con delicatezza, con tenerezza, con amore e non con il rigore dell’insegnante che ti controlla. Voglio imparare ad amarti come ti ama Roberta: solo due giorni ed è esattamente la donna che piace a te; io, venti anni, e ti scateno solo rabbia. E vorrei che anche tu imparassi ad amarmi come ami lei, con dolcezza, con calore, con entusiasmo, anche con lucidità e severità (vi ho sentiti, sai) ma profondamente, intensamente.” Roberta le da man forte. “Almeno una volta, per provare, cerca di accettare un suo errore con la gioia con cui accetti gli errori di altri. Forse ne guadagnerà il vostro amore, filiale e sessuale.”Non posso negare né che il ragionamento sia giusto né che il mio rigore è stato parte delle cause di dissapore. Devo convenirne. ”Hai ragione: anch’io mi devo dare una calmata.” Intanto, madre e figlia hanno cambiato obiettivo ed hanno cominciato a limonare tra di loro, anche con grande piacere, da quanto posso vedere. Faccio cenno a Roberta di lasciare loro il letto e di trasferirci sul materassino; ci spostiamo rapidamente e ricominciamo a fare l’amore.
La stendo supina, mi piazzo fra le sue gambe e le divarico leggermente; scivolo lentamente sulle gambe, finché la mia testa raggiunge il suo inguine. Prendo a leccare tutto intorno la linea di peli che decora la figa; con le mani, apro al massimo le grandi labbra e metto a nudo il clitoride quasi infantile; lo lecco con la punta della lingua e ne gusto il spore acidulo; poi la lingua si insinua nella vulva e sento il sapore mescolato dei suoi umori vaginali e di un remoto gusto di piscio. Mi eccito da pazzi e comincio a picchiare con la lingua, con le dita, con le labbra a ventosa che succhiano tutto quello che entra in bocca. Comincia a gemere dolcemente, soffocando gli urli che ogni tanto le scoppiano in gola; poi comincia a lamentarsi apertamente con frasi sconnesse e parole in libertà di cui solo “Mario” e “amore” sembrano avere senso; quasi vaneggiasse, Roberta si lascia andare al piacere e chiede ancora di più. Rinunciando improvvisamente a leccarla, mi stacco dalla figa e la bacio nella bocca: è quasi più eccitante,la lotta tra le nostre lingue per stimolarci. “Prendimi nel culo, per favore: non voglio che te ne vai e non mi hai fatto veramente tua!” “Cosa dici?” “Patrizia. E’ stata Patrizia, a dirmi che scopi nel culo in maniera indimenticabile. Fallo anche con me!” “Dove trovo il gel?” “Nel cassetto della specchiera.” “La prossima volta che vengo a fare l’amore con te, dovremo trovare ancora qualcosa di nostro, da segnare nei ricordi più belli.” Prendo il tubetto del gel e torno da lei: accenna a girarsi, ma io la fermo. “Non crederai che io ammiri la tua schiena mentre ti amo così definitivamente. Io voglio guardarti nel viso, mentre violento la tua intimità; e voglio ricordarla a lungo, l’immagine del viso mentre mi concedi tutto il tuo amore, fino in fondo.”
“Forse me l’aveva accennato, ma io non avevo capito.” Le prendo le caviglie e me le porto al viso, la faccio scosciare tutta davanti al cazzo; prelevo del gel dal tubetto e glielo spalmo in abbondanza dentro il buco, sull’ano ed anche un po’ intorno; ne spalmo un poco anche intorno al mio cazzo. Poi comincio la penetrazione, lenta, saporosa, amorevole: vedo i muscoli del ventre contrarsi ad ogni spinta, anche la più piccola, e vedo i capezzoli accennare ad irrigidirsi, le prendo una mano e gliela porto sulla figa. “Toccati.” Lo fa. Sposto l’altra mano verso il seno e le faccio stringere fra le dita il capezzolo. “Godi.” Le suggerisco; mi accorgo che davvero sta godendo, e molto; il buco del culo si contrae violentemente sul cazzo che la penetra. Spingo con forza e guardo la mazza scomparire nel ventre, finché, con un’ultima spinta decisa, sono tutto dentro, con i coglioni che picchiano sulle natiche. Mi fermo a gustarmi il piacere del cazzo stretto dal suo budello: non ha grande esperienza e non riesce a risucchiarmelo coi muscoli interni; allora comincio a muovermi avanti e indietro. Non devo scoparla a lungo “Dio come ti sento … dio non ho mai provato niente di simile … Mario, io ti amo, stupidamente ti amo. … Godo … goooodoooo …. Sto sborrando anche dal culo … vengo, vengo … vengo dal cuuuuuuulo!!!!” E’ veramente straordinario, quell’orgasmo. “Mario, sono venuta anche dal culo, capisci?” “Si capisco: succede; non frequentemente, ma succede, se si fa l’amore con tanta passione!” “E io l‘ho fatto? Ma tu sei venuto?” “Nel battito di ciglio in cui tu aprivi la tua diga, il mio tubo ha scaricato nel tuo corpo un flusso d’amore. Anche questo può succedere; si chiama orgasmo simultaneo; non è frequente ma può succedere.” “Ed è successo proprio a noi?” “Pare di si.”
“Mario, come farò senza di te?” Imparerai a masturbarti, spesso e a lungo. O, meglio ancora, troverai un uomo straordinario che ti innamorerà, lo sposerai e sarai felice.” “Ci credi davvero?” “Sei troppo intelligente per non capire che può succedere, specialmente se saprai scegliere bene. Non voglio essere la causa della tua infelicità.” “Sei stato la causa della mia gioia in questi giorni e ringrazio il cielo di avere avuto questo. Il futuro è ancora tutto aperto.” “Pensi sia il caso di dormire?” “Restiamo qui o riprendiamo le posizioni?” Interviene Oriana che quasi non avevamo notato. “No, venite nel vostro letto. Io e Patrizia ci sistemiamo lì.” Patrizia vorrebbe quasi fare resistenza; ma Oriana è rigorosa, una volta tanto. “E’ l’ultima notte per due innamorati. Abbi il buonsenso di farti da parte!” Ci scambiamo di posto e Roberta si accuccia davanti a me, rannicchiata col culo contro il mio ventre. “Forse è il caso che vai a scaricare gli umori in eccesso.” Suggerisco; sembra emergere da un sogno, mentre va in bagno. Patrizia tenta un’ultima provocazione. “A me neanche un bacetto?” Glielo mando da lontano, con un soffio. “Adesso dormi; domani sarà una lunga giornata.”
Arriviamo all’aeroporto con largo anticipo, perché Roberta si è mossa molto per tempo per accompagnarci. Alla fermata del parcheggio, il momento si rivela più straziante di quanto avessimo mai potuto pensare: Roberta è profondamente lacerata, per non potermi trattenere, da un lato, e per essersi lasciata andare all’emozione, dall’altro. Anch’io mi sento profondamente colpevole per aver portato le cose sino a quel limite. Oriana capisce il senso generale delle cose, ne partecipa e spinge la figlia ad allontanarsi per lasciare spazio al nostro dolore. Patrizia, incosciente o falsamente cinica come sempre, gira tutto in barzelletta e non capisce perché per qualche capriola a letto facciamo tanta scena. Alla fine, Roberta è costretta a ricacciare dentro il magone e scappa via in fretta. Io resto inebetito in balia di sentimenti confusi e contrastanti. Mentre ci giriamo per le sale di attesa, noto un giornale con grossi titoli e la fotografia di una evidente orgia, in cui mi pare di intravedere Oriana, “Di che si tratta?” Chiede lei. “Non riesco proprio a capire niente.” Un tale che passa ci sente e commenta “Le solite porcherie dei tedeschi. Adesso, dopo la bancarotta, saltano fuori anche i balletti di tutti i colori.” Oriana è sbiancata e il mio sospetto si fa realtà. “Ma che dice esattamente?” Chiedo. “Dice che tra i dirigenti di quell’azienda che è fallita erano diffuse le escort o le signore con grandi pruriti, che scorreva a fiumi la droga e che molti sono già in cura per l’Aids.” Adesso ho veramente paura. Prendo il giornale vorrei cercare di tradurre qualcosa; ma è fatica improba. Telefono a Roberta. “Hai visto le notizie sul …?” “Si, le sto sfogliando proprio adesso. E’ una situazione proprio grave e spero che Oriana non sia coinvolta, anche se dalla foto pare al centro della serata.” “Già; è quello che temevo. Spero che l’aereo decolli presto e che a P… le due decidano per il meglio. Se no, sono dolori per tutti.”
Non c’è spazio per parole e aspettiamo in silenzio l’annuncio della partenza, che arriva alla fine. Il volo si risolve in poco più di un’ora e, all’uscita, troviamo la navetta che porta a casa. “Cosa facciamo adesso?” mi chiede Oriana. “Se davvero vuoi buttarti dietro le spalle il recente passato, vieni da mamma e organizzati con lei per andare al centro di Prevenzione per le analisi e la cura. Se invece preferisci ancora una volta chiudere gli occhi sull’evidenza dei fatti, adesso perfino giornalistica, vattene da quella larva inutile di tuo marito, vagli a raccontare le scemenze che gli hai rifilato in questi mesi e continua con la tua incoscienza. In questo caso, non mi contattare mai più e, se incontri mamma, non ti aspettare dolcezze.” Interviene Patrizia. “Mamma, io non credo alle esagerazioni della stampa. Il pericolo dell’aids è un’invenzione. Noi non abbiamo fatto niente di male. Adesso ci riposiamo un poco e poi tu vedrai cosa fare per procurarti un nuovo incarico di prestigio.”Siamo arrivati, Oriana; la scelta è tua, anche stavolta. Fai come vuoi e, in ogni caso, buona fortuna.”
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Categorie: Incesti