Naturalmente, le conclusioni sono scientifiche e propongono le varie ipotesi di lettura dei fatti e delle reazioni. A me, però, di quel volume, interessa solo sapere che Margie è tornata nella realtà, dal limbo dove si era segregata; e non riesco a nascondermi una forte emozione all’idea di tornare a parlarle o, chissà, a vederla. Faccio il numero; mi risponde una voce femminile, ma non la sua, ne sono certo “Qui Istituto … sono Francesca: in cosa posso aiutarla?” Impostare un discorso non è facile; ci provo. “Senta, io ho ricevuto un volume forse dalla vostra direttrice Margherita … Potrei parlare con la signora?” “In questo momento è impegnata. Se mi dice il nome e mi lascia un recapito, certamente sarà richiamato.” Non mi va di farle sapere i cazzi miei. “Dica che Margimario ha avuto il messaggio e vuole parlare con Marimargie.” “Ma che razza …?” “Lasci stare, Francesca, ho ben capito e va tutto bene.” Stavolta la voce la riconosco ed è la sua. “Ciao, Margie, finalmente!” “Ricordi ancora i nomi degli androgini?” “Io ricordo tutto nei minimi particolari. E ho letto che anche tu non hai dimenticato niente. Solo agli androgini non potevi fare riferimento. Sei a Roma?” “Si, chi te l’ha detto?” “Il numero di telefono che hai lasciato, con prefisso da Roma. Come stai? Possiamo parlarci ? Possiamo vederci?” “Mario, quasi non riesco a parlare in questo momento; sono troppo emozionata. Posso, voglio e devo vederti; ne ho quasi un bisogno fisico. Ma devo prima riprendermi da questo choc. Credevo che mi avessi dimenticato, dopo più di un anno di assoluto silenzio. Questa telefonata mi ha sconvolto.”
“Vuoi che ci sentiamo in un altro momento?” “Domani ti va bene?” “Non prima delle dieci perché fino ad allora non connetto.” “Va bene. Ti chiamerò alle otto quando prendo servizio; e peggio per il tuo sonno. Ciao.” “A domani. Ciao.” Margie non promette invano; ma io alle sette e mezzo sono ben sveglio, accanto al telefono,per non perdere un attimo (di che cosa non si sa; ma la tensione fa di questi scherzi); rispondo al primo squillo ed è una telefonata - fiume in cui ci raccontiamo intero il nostro ultimo anno di vita. Mi dice che da Bolzano è stata finalmente trasferita a Roma, dove è arrivata la settimana scorsa; che si sta ambientando e non ha ancora una cerchia di persone di riferimento; soprattutto, mi assicura che non c’è nessuno nella sua vita e che nessuno c’è stato. “Come può un individuo normale combattere con il fantasma di un amore così intenso e così tragico, così breve e così decisivo come quello che abbiamo vissuto noi nel giro di due giorni?” “Non lo chiedere a me che sono specialista. Dimmi soltanto che c’è ancora una crepa nelle tue difese e ti costringo a vivere con me il resto dei tuoi giorni.” “Sei il solito sognatore pazzo ma delizioso!” Poi mi parla del libro; mi dice che è nato da colloqui con altri esperti e dalla convinzione che certe testimonianze possono essere utili; è un’opera di nicchia, mi dice, e non aspira certo a premi o a grandi vendite, ma viene presentato comunque in ambienti giusti un poco in tutta Italia; anzi proprio a fine settimana sarà presentato a Roma in una qualificata libreria del centro. “A Roma? A fine settimana? Fammi dare un’occhiata.”
La testa rischia di scoppiarmi; guardo i miei appunti ed ho la conferma. “Yuuuuuu” urlo a squarciagola. “Che ti prende?” “Scusa, ti spiego subito.” Le parlo allora della mia laurea e del lavoro di designer che già mi consente una buona sopravvivenza. Lei ricorda alcuni disegni, visti nello studio; infine, le parlo della mostra, delle sedi espositive e dei maledetti viaggi per accompagnare le esposizioni. “Alla fine della prossima settimana io presento la mia mostra, guarda caso, proprio a Roma, dove dovrò soggiornare per i giorni della preparazione e dell’allestimento. Adesso, cara, non dire che non c’è un destino segnato nelle cose, anche se la tua cultura professionale ti impedisce di credere ai miracoli.“ “Quindi, tu a fine settimana sei a Roma? … con una tua mostra di design? … dove ?… quando si inaugura? …” “Margie, frena le domande, ho tutto segnato ma gli appunti sono da un’altra parte. Se vuoi, te li comunico dopo; ma questo significa che devi parlarmi ancora.” “Stupido, io voglio ancora parlarti, voglio ancora vederti e voglio fare l’amore con te. Ti pare strano? Quindi tu fammi sapere quando arrivi e come; se ti va, posso ospitarti da me, anche se sono un po’ accampata. Quando sapremo date e dati, faremo in modo che le due iniziative non si accavallino. Io verrò sicuramente alla inaugurazione della tua mostra e tu, se ti va, potrai venire alla presentazione del libro e decidere se tenerti in disparte senza rivelarti oppure, addirittura, portare una tua testimonianza diretta su una vicenda di cui sei stato protagonista.” “Bada che io, anche se sembravi dissolta nei ghiacciai delle Alpi, non ho mai smesso di pensare a te, come ti avevo promesso; e, appena tu hai solo accennato a un contatto, sono qui a sciogliermi nel miele per te; se è necessario, il viaggio a Roma lo faccio anche a piedi, con o senza mostra.
A questo punto, stai attenta che se, anche solo per pochi giorni, entriamo ognuno nella vita dell’altro, io poi non sono più disposto ad uscirne. Riesci a immaginarti cosa prova il solito sognatore pazzo ma delizioso - così mi hai definito, no? - all’idea di dormire con l’oggetto principale dei suoi pazzi, deliziosi sogni? Per la presentazione del libro, vedremo sul posto. Io posso testimoniare fatti comuni ma forse mi può frenare sapere che dovrei farlo di fronte a specialisti strizzacervelli; e di fare una figurina da collezione non mi va. Se l’ambiente mi ispira e se tu lo riterrai opportuno, non mi tirerò indietro. Adesso mi consenti di dirti che ti amo? Finalmente l’ho detto!” Scambiarci i dati e fissare un incontro in un punto facilmente rintracciabile ci impegna per un giorno intero; ma solo perché la possibilità di tornare a sentirci per telefono scatena la voglia di parlarci e lo facciamo a lungo, di ogni sciocchezza, quasi che parlare a un microfono fosse fare l’amore a distanza; alla fine, non resta che contare le ore (anzi, i minuti) che ci separano dall’incontro e finalmente, fissate tutte le competenze con galleria sponsor ecc. posso partire per Roma, verso il mio amore. La individuo immediatamente: forse è il cuore a trovarla, prima che gli occhi. Non è cambiata in niente, è sempre bellissima e mi ritrovo ancora più innamorato. Non oso baciarla né abbracciarla in una piazza sovraffollata; mi fa segno che va bene così; mi guida fino alla sua casa che è là vicino, riesco anche a parcheggiare con una certa facilità e andiamo verso l’edificio dove abita: vorrei per lo meno accarezzarla: ma solo dall’abbigliamento castigato emerge già quanto sia difficile il suo ruolo; le sfioro con le dita il dorso di una mano e mi sento vibrare tutto: le caldane mi montano alla testa e mi chiedo come sia possibile, con la mia esperienza, agitarmi tanto per un tocco di mano.
L’ascensore è di quelli al centro della tromba delle scale, tutto finestrato e aperto: neanche pensare di baciarla; al massimo, posso cercare la sua mano e accarezzarla. Quando finalmente l’uscio si chiude dietro di noi, è lei, la mia Margie, ad imprigionarmi in un abbraccio ferino e a baciarmi con un impeto che non ricordavo. Per almeno cinque minuti ce ne stiamo avvinghiati, in piedi, dietro l’uscio, a scambiarci ormoni, saliva e piacere, a percorrerci con metodo e insistenza le bocche con le lingue, a mangiarci letteralmente le labbra senza sosta, a spingerci gli inguini fino a sentir male, col mio cazzo che è di acciaio contro il suo ventre e la sua figa che, probabilmente, cola come una fontana di piacere rinviato per un anno. “Adesso dobbiamo proprio darci una calmata!” la mia battuta è stupida e lo so; ma non so proprio come porre un freno alla voglia infinita che ci sta assalendo; naturalmente, la risposta è secca. “Se vuoi, tu calmati pure; io ho voglia di mangiarti, di divorarti, di leccarti, di morderti, di amarti tutto. E’ da un anno che aspetto questo momento e non c’è niente che mi possa calmare.” Difficile muovere obiezioni. Allora la prendo in braccio e la porto nella camera, sul letto, che per fortuna è di quelli a una piazza e mezzo e ci consente di starci in due. Stesa sul letto, Margie mi appare ancora più bella e invitante; le monto sopra e mi strofino sul suo corpo, quasi a volerla penetrare, con tutti i miei pori, in tutti i suoi pori, mentre le nostre bocche riprendono a divorarsi, a possedersi, a dissetarsi d’amore e di umori; sento il cazzo che freme tra le sue cosce ed avverto che la figa pulsa e mi cerca. “E’ quasi ora di pranzo; dopo devo rientrare in ufficio.” Stavolta è lei a gettare acqua sull’entusiasmo.
“Vuoi che smettiamo e facciamo i bravi ragazzi?” “Neanche per idea! Ti voglio almeno sentire dentro; ma non c’è tempo per coccole e carezze.” Il senso è chiaro e devo solo infilare una mano fra noi due: sollevo fino alla vita la gonna, che per fortuna, è abbastanza ampia; sposto il filino del tanga e infilo un dito nella sua figa bollente e già grondante; ha un guizzo di piacere seguito da un lungo, intenso brivido; prendo il cazzo fra le dita e la penetro dolcemente: mentre avanzo, sento che mi morde la bocca quasi a sangue, agita il ventre per sollevarlo e farsi penetrare più a fondo e cola piacere. Ho toccato la cervice, con la cappella; sono completamente dentro di lei; la stringo con forza e mi blocco così; fermo dentro, muovo il cazzo in maniera quasi impercettibile; lei mette in azione i muscoli vaginali, risucchia dentro l’asta e, con lei, la vita e l’anima. Ci stacchiamo per un attimo; la guardo negli occhi e, prima che io ponga la domanda, “vieni pure dentro; non ci sono problemi” mi anticipa lei. La bacio ancora, profondamente e mi lascio andare ad una sborrata meravigliosa “Vengoooooo” non so chi due lo abbia detto per primo; ma abbiamo urlato insieme; e insieme siamo caduti prostrati sul letto: per non pesarle,mi rotolo sul fianco, insieme a lei, senza staccarci per un attimo. Quando riusciamo a riprenderci, Margie si precipita nel bagno lì vicino per riemergerne dopo pochi minuti rinfrescata e perfettamente in forma. “Mario, mi dispiace; non si riprende una storia così importante con una sveltina. Ma oggi la mia vita è questa e il lavoro ha un peso enorme per me.”
La rassicuro e le chiedo solo qualche ragguaglio su come muovermi per arrivare alla galleria. Mi dice che un suo impiegato mi accompagnerà e, se necessario, mi verrà a riprendere dopo le 19; passiamo poi da un fast food per mangiare in fretta qualcosa e lei si precipita nel suo ufficio. Effettivamente un impiegato in motocicletta - è più consigliabile di altri mezzi, mi assicura - con alcune rapide evoluzioni mi scarica davanti alla galleria. Prima di lasciarmi, ci scambiamo i numeri di telefono per il rientro. La galleria è bella, ben condotta e particolarmente efficiente; trovo lì anche i miei sponsor che mi rassicurano che tutto è arrivato in ordine, che dall’indomani mattina, mercoledì, e per tre giorni avremo tempo per allestire la mostra e che si prevede una inaugurazione “col botto”: è garantita la presenza di un alto numero di estimatori, esperti e giornalisti. La cosa non mi entusiasma come invece fa a loro e mi do da fare per cominciare a montare l’impianto scenico. A fine giornata, un altro motociclista mi riaccompagna all’ufficio di Margie e, dopo qualche minuto, possiamo rientrare a casa. Lungo il percorso, Margie mi chiede se voglio azzardare qualcosa preparato in fretta da lei o se preferisco una trattoria: ce n’è una lì a pochi passi che sarebbe peccato trascurare. La invito a cena e rientriamo verso le nove dopo aver ben cenato ed anche bevuto un bicchiere di troppo. “Lo sai che l’alcool è nocivo per le funzioni sessuali?” Scherza Margie. “Se tocchi il mio pantalone avrai l’immediata contestazione della norma.” “Una dirigente seria e conosciuta nel quartiere certe cose non le fa.” Mi blocca e devo limitarmi a tenerla per mano; ma anche quel gesto infantile riesce a sconvolgermi l’inguine.
Rientrati nell’appartamento, prendiamo coscienza con una certa ansia che, in fondo, siamo dei perfetti sconosciuti, ignari completamente dei gusti e delle abitudini dell’altro. Scopriamo così che ambedue siamo abituati a dormire completamente nudi (e ne siamo felici), che io abbandono gli indumenti sul pavimento dove capita (questo non lo accetta bene) e che lei invece li ripone piegati con calma e in ordine sulla sedia accanto al letto (e nessuno ne avrebbe mai dubitato), che dormiamo di fianco, ma su lati opposti (il che favorisce guardarsi in viso e toccarsi, tranne quando lei si accoccola a cucchiaio davanti a me e, se sono eccitato, si fa prendere delicatamente da dietro), che io sono rapidissimo nello svolgere tutte le funzioni in bagno e che a lei invece piace prendersela comoda nello struccarsi e organizzarsi per la notte, con la conseguenza che resto ad aspettarla per una decina di minuti, sfogliando la posta sul telefonino, comodamente sdraiato sul letto, dove lei mi raggiunge. Nessuno dei due russa, grazie a dio, e l’ampiezza del letto è più che sufficiente per noi, costretti a stare appiccicati per occupare meno spazio possibile. “Il tuo accampamento è una meraviglia. Ci si vive benissimo.” Le dico mentre la accarezzo e la attiro a me per baciarla. Comincia così una notte di sesso sfrenato, nel corso della quale mi rendo conto che la perfetta funzionaria in tailleur grigio è un’amante straordinaria, capace di evoluzioni quasi assurde ed appassionata del cazzo in tutti i posti possibili del corpo: probabilmente, qualche indizio lo aveva fornito, nei nostri primi incontri; ma qui sembra esprimersi al massimo delle possibilità: non so se sia per l’entusiasmo dell’amore ritrovato o per la sua natura calda, ma di fatto cominciamo da una classica scopata alla missionaria e attraversiamo tutto il kamasutra dei poveri per arrivare quasi ad esaurirci.
La sveglia è prevista alle sette: quindi, alle due impone l’alt e tutti a dormire, lei attaccata a cucchiaio contro il mio ventre, mentre io le carezzo il culo bellissimo e respingo ogni tentativo di eccitazione. I due giorni successivi si svolgono con lo stesso copione; usciamo presto, lei va in ufficio, io vado a zonzo qualche ora e sulle dieci vado in galleria a seguire i lavori di allestimento; ogni tanto, si affaccia nei locali qualche interessato con tempo da perdere e si apre quasi subito un piccolo cenacolo provvisorio che discute di Arte e della mostra. Mi trovo ad osservare che queste cose sono da grande città e non si sognano neppure in una cittadina di provincia come la mia; ma in complesso preferisco la nostra quiete alla frenesia urbana. Allo stesso modo, mi trovo a riflettere che il ritmo di vita di Margie mi sarebbe improponibile: otto ore inchiodata in ufficio e dalle sette di sera alle sette di mattina a casa, con tutto quello che compete. No grazie, non fa per me. Ma amaramente mi ritrovo a considerare che il sogno di convivenza in pratica è già sfumato, con mio enorme rammarico perché a sistemare la mia vita un poco ci avevo pensato e con Margie mi sembrava possibile, se non ci fosse il suo lavoro. Comunque, si arriva rapidamente a venerdì sera. Per obbligo di presenza, devo indossare il vestito che ho portato in macchina, ben preparato da mamma e chiuso nella sua bella busta di plastica. Margie mi prende un po’ in giro e io minaccio, se non la smette, di baciarla con passione quando ha appena finito di truccarsi.
All’inaugurazione c’è veramente tutto il Gotha dell’Arte e, soprattutto, del Design; la serata è quindi per me un tormento di convenevoli, di interviste, di commenti, di adulazione. In un momento di quiete, il più anziano dei miei sponsor ci prende da parte - Margie non si è mossa dal mio fianco per tutta la serata e sembra aver colto tutto e registrato tutto - e mi accenna a problemi con la mostra successiva, quella in Germania. “Sarà bene che tu torni presto in studio per risolvere i problemi.” Per il momento non mi dice altro, ma insinua chiaro il sospetto che Oriana intenda approfittare della mostra per realizzare invece una monumentale presentazione del suo progetto. Lo rassicuro che il lunedì sarei rientrato e avrei preso in mano la situazione. In compenso, mi annuncia trionfalmente che sono nella rosa degli aspiranti al Compasso d’oro. Faccio spallucce perché davvero non riesco a dare peso a queste cose. Margie chiede delucidazioni e Clemente spiega che si tratta del premio più importante per un designer: lei mi sfiora la guancia con un soffio per non attaccarmi con le labbra il vivace rossetto; le dico che quell’ambiente non è quello del quartiere o del suo ufficio e la bacio con passione. “Tanto, qualche pasticcino lo mangerai e un po’ di prosecco lo berrai.” Mi giustifico; lei rafforza il bacio e mi accarezza il viso. Tra gli ospiti, si distingue un giornalista tedesco, Hans Schmidt, che sembra particolarmente interessato alla mostra, almeno quanto lo è a Margie che non si stanca di squadrare e spogliare con gli occhi. Chiacchieriamo un poco e mi racconta che è di Dusseldorf, che ha visto che l’itinerario della mostra va proprio nella sua città e ci diffondiamo a parlare del Museo, del suo direttore e della possibilità di ritrovarci quando la mostra andrà nella sua città. Mi dà la sensazione di una persona di qualità e mi appunto i suoi recapiti.
Glissiamo la cena che hanno proposto a fine cerimonia con la scusa di una emicrania (tutti chiaramente pensano che abbiamo fretta di andare a scopare: e non hanno tutti i torti.) e ci avviamo in macchina a casa. “Che ti è sembrato?” chiedo “Bellissima serata, mostra meravigliosa, compagno perfetto e compagnia gradevole. … Ehi, non ti illudere che domani sarà la stessa atmosfera. Preparati a barbe lunghe e discorsi seriosi.” “Farò come ho visto fare alla mia compagna: osservare, tacere, imparare e registrare.” “Cos’era quel discorso sulla mostra in Germania?” “E’ un po’ lungo. Ma domenica possiamo parlarne, perché ho anche bisogno di fare chiarezza.” “Accennami almeno. Per esempio che è Oriana?“ “E’ mia sorella, la mamma di Patrizia, fa l’architetto e ha un progetto faraonico di edilizia speculativa. Quando vinse quel concorso, io le diedi una grossa mano seducendo una signora della commissione.” “Il vizietto dell’escort che riemerge.” “Anche; ma soprattutto aiutavo una sorella che amavo alla follia.” “Questo lo sapevo da Patrizia; ma perché usi l’imperfetto amavo?” “Perché, dopo quell’evento, Oriana in pratica non mi ha neppure mai salutato, presa com’è dal ruolo di archistar. Con la signora tedesca e con Oriana concordai di proporre che insieme alla mostra ci fosse la presentazione del progetto: ai tedeschi non pare vero di farlo al museo del disegno. Ma evidentemente, stando almeno a quel poco che mi hanno detto, Oriana vorrebbe far diventare la sua presentazione evento principale tale da offuscare o annientare la mostra.” “Ah, che pensi di fare?” “Te l’ho detto: ne riparliamo un poco domenica. Stasera mi godo la mia inaugurazione e domani celebriamo la tua presentazione.” Devo accostare e fermarmi perché il bacio che mi scocca in bocca rischia di mandarmi fuori strada.
Prima di rientrare, ceniamo con pizza e birra sotto casa e Margie solleva molto interesse per la sua bellezza ma anche per la mise da sera, seduta a un tavolo di legnaccio con tovaglie di carta. Poi, finalmente, la fuga verso casa. Mentre ci spogliamo ciascuno con i suoi ritmi, lei mi spara una domanda che mi inchioda. “Se ti proponessi di fare un figlio, che mi risponderesti?” Resto interdetto, fermo a sfilarmi un calzino; scoppia in una risata argentina “Calmati, sciocco, non ho detto che voglio proportelo, ma che potrei farlo. Lo so che sono tre giorni che rifletti che non è proponibile la nostra convivenza, per via dei miei ritmi di lavoro che secondo te sono incompatibili anche con l’amore. Non ti parlavo né di convivenza, né di fidanzamento né di matrimonio. Se io decidessi di fare un figlio, tu lo faresti con me? Dopo potresti anche dimenticartene, me la vedrei io; ma un figlio prima o poi lo voglio fare; e averlo da te mi piacerebbe molto.” “Amore, cerchiamo di procedere per gradi. Se io accetto di fare un figlio con te, dopo, sposati o no, non lo lascio solo a te, me ne occupo anch’io, da padre. Non dimenticare che di padri abbiamo esperienze diverse, ma terribili e non sopporterei che nostro figlio avesse una simile esperienza con suo padre. Anzi, proprio per fare meglio, ti sposo e in culo i problemi di lavoro. Ma il quesito è ancora più a monte e chiarisce il seguito. Ti puoi permettere, con questi ritmi di vita, di fare un figlio e allevarlo? Se tu pensi di poter fare questo, allora sei autorizzata da me personalmente a progettare il nostro matrimonio, perché evidentemente riusciresti anche a gestire la convivenza.” “Quindi ci staresti?” “Si, senza un attimo di esitazione.” “Ascolta, nelle grandi città il lavoro è massacrante, ma in quelle piccole , come ho sperimentato a Bolzano, è assai più leggero. Stanno organizzando una sede importante a P….…”
“A P……!?!?!? A casa, cioè?” “Si, è l’Istituto ….” “Cavoli, ma la ristrutturazione la sta curando proprio Oriana.” “Non lo so e non mi interessa l’architettura. Mi interessa che sono la prima in graduatoria per andare a dirigere quel centro.” “Cazzo … pardon dottoressa, mi è scappato. Quindi tu dici, vengo a P…… e sbatto anche in faccia a tutti il mio successo, passo ad un lavoro meno impegnativo e mi faccio anche il figlio col mio amore … è così?” “L’apertura è prevista fra un anno o poco più. Che ne dici?” “Se ci aggiungi che vai a convivere col tuo amore e, nel caso, lo sposi, io firmo il contratto qui stesso!” “E allora che aspettiamo a fare l’amore e ad esercitarci per fare questo figlio, tra un paio d’anni? Certe cose richiedono conoscenza ed esperienza” “Hai ragione.” Facciamo l’amore come non ci è mai capitato e come forse non ci capiterà mai più. So di avere azzardato molto impegnandomi a convivere o a sposarmi; ma gli azzardi si fanno da giovani, se si vuole crederci. E io credo a Margie, credo al suo amore, credo al nuovo progetto di vita e voglio costruirmelo, un futuro degno di essere vissuto. La amo con passione, senza rinunciare a cercare quelle pieghe del piacere che lo fanno più intenso; ma mettendoci soprattutto tanta voglia di fondermi, di essere una sola cosa (l’androgino famoso) mettendoci insomma tutto l’amore del mondo. E credo proprio che Margie lo senta anche fisicamente, quell’amore, perché ricambia con altrettanto fervore e sento il piacere vibrare in tutte le fibre come sta vibrando in me. “Sono felice che tu sia qui.” Mi sussurra lei. “Ed io sono felice che abbiamo deciso che, in qualche modo, tra qualche tempo, saremo sempre insieme.” Il sonno ci sorprende abbracciati.
Sabato è quasi sempre una giornata imoportante, per Margie; ma questo sabato è fortemente speciale: presenta il suo libro, lavoro di un anno di ricerca, in una città difficile come Roma, dove è appena arrivata a dirigere un Istituto importante, in una sede prestigiosa come la Libreria …, con presenze di altissimo significato. Mi meraviglio che riesca ad avere tanto controllo, considerata anche l’età giovanissima. Mentre l’accompagno alla conferenza, le accarezzo la mano quasi a darle coraggio e lei mi sorride quasi a ringraziare. Stiamo ancora discutendo se conviene farmi intervenire, quando, appena entrati in libreria, il giornalista, che era presente all’inaugurazione ieri, mi riconosce, ci saluta festoso e comunica a tutti che è presente il designer candidato al compasso (per molti è arabo, ma va bene lo stesso). Margie è contrariata “Addio alla tutela della privacy. Addio intervento. Mi spiace, ma dovrai startene nell’angolo a guardare.” “Vuol dire che guarderò te e sarò felice.” “No, guarderai me e mi infonderai coraggio.” “Come hai fatto tu all’inaugurazione?” “Esatto.” “Ti amo.” “Intanto puoi cominciare a pensare al nome.” “ Al nome? Di chi?” “Del bambino che faremo fra un paio d’anni.” Tutto mi aspettavo, tranne la battuta di spirito proprio al momento di affrontare microfono e pubblico. Va avanti per un bel po’, la presentazione, e poi si aprono gli interventi. Per mia fortuna accanto a me si è piazzata Francesca che mi suggerisce titoli e qualità di chi interviene; mi sorprendo ad annoverare viceministri, direttori e tutto l’apparato dello Stato, tutti a pendere dalle labbra del mio amore e a tesserne gli elogi per il lavoro svolto. Mi sento quasi inorgoglito e mi accorgo di amarla anche di più.
Una provvidenziale emicrania del suo accompagnatore (il giornalista tedesco è l’unico a sottolineare che è la copia esatta dell’emicrania di ieri sera; ma qui la gente è meno disposta ad apprezzare la smania di correre a scopare) costringe la relatrice ad abbandonare il campo appena conclusi i lavori; e posso prendere il mio piccolo grande amore e rapirlo verso il nostro nido. Per cena, pizza e birra allo stesso posto; ma, stasera, Margie indossa la solita divisa (tailleur tendente al grigio) e non suscita entusiasmi. Peccato: mi piace sentire che anche gli altri la trovano bella. In casa, solito rituale di spoliazione. Inesorabilmente e perfidamente, mi viene di pensare che siamo ormai una vecchia coppia abitudinaria. Devo aver fatto uno strano sorriso, perché l’esperta di psicologia mi ammonisce. “Quando saremo nel letto, questa fisima ti passerà!” “Quale fisima?” Faccio lo gnorri ma mi ha colpito la capacità di intuizione. “Quella che ti prende ogni volta che facciamo qualcosa di scontato o ripetitivo.” “Anche quando ti salto addosso e ti prendo brutalmente? … Anche quando ti scopo nel culo come piace a me? … Anche quando mi succhi fino a slogarti le mascelle?” E’ bello anche giocare, con questa donna e lei comincia a picchiarmi sul torace, ma sta solo accarezzandomi. Siamo tutti e due in ginocchio sul letto; le blocco le braccia, la abbraccio e la spingo riversa supina. “Ti voglio dentro.” Il suo sguardo implorante mi scioglie il cuore; mi accosto sopra di lei, la bacio intensamente, dirigo il cazzo alla vulva e la penetro con dolcezza, fino in fondo; spinge col bacino da sotto alla ricerca di un contatto più intimo e si calma solo quando il cazzo è all’utero. Si rilassa e mi tira con forza su di sé: i capezzoli mi pungono il torace, tanto sono ritti; ventre e stomaco aderiscono a me alla perfezione, la sua bocca esplora il mio viso e stiamo fermi col bacino muovendo solo la muscolatura interna.
Poi Margie allarga le gambe e solleva i piedi dietro la mia schiena: più di così non posso entrare ma lei continua a volerne. “Montami” mi suggerisce ed io la sbatto con foga, quasi con violenza; so che le sto facendo male, che si troverà poi il pube pieno di lividi; ma non mi dà requie. Per un attimo mi sfiora il sospetto che stia facendosi mettere incinta e mi blocco; se ne accorge e mi urla “Non sono fertile … vieni dentro di me … fammi sborrare e sborrami dentro … ti amooo … ti amooo … vengooooooo.” Appena si riprende la prendo ancora in giro “Ancora una volta in contemporanea? Qui rischiamo la monotonia!” Ridiamo ambedue di gusto. “Se la monotonia è fatta di orgasmi simultanei, venga pure. Poi domani è domenica e stasera non abbiamo il coprifuoco alle due …” “Ah, giusto … il famoso sabato del bancario con scopata obbligatoria della moglie che in settimana si è fatta sbattere da bei palestrati!” “Stronzo!” Non poteva esserci altro commento. Ci fermiamo e per qualche minuto ci limitiamo a carezze tenere e sdolcinate smancerie da innamorati. Poi ricominciamo e per tutta la notte non facciamo altro che scopare, sborrare, riposarci e ricominciare. Margie è proprio un pozzo di sorprese: intanto, è praticamente instancabile; in secondo luogo non rifiuta nessuna ipotesi di novità, ma cerca lei stessa di rinnovare il repertorio; poi, pur essendo un’insaziabile divoratrice del cazzo in tutti i buchi, riesce a godere moltissimo di tutte le stimolazioni, dalla lingua alle mani fino al semplice contatto epidermico; per forza, devo pensare di dedicarmi a lei per tutta la vita e di amarla al di sopra di ogni cosa.
Prendiamo sonno verso l’alba e dormiamo, necessariamente, fino a che il sole è alto; l’ipotesi di uscire in giro per la città diventa pura illusione. Ci prepariamo a uscire solo per il pranzo: non mi va che si metta a spignattare l’unico giorno che può essere tutto per noi; andiamo in un ristorantino simpatico in uno dei vicoli della città e poi, quasi calamitati dal letto dove sappiamo di avere solo poche ore, torniamo in casa, ci spogliamo e ci mettiamo a letto. Ma non facciamo subito l’amore: a Margie è rimasto sospeso il discorso della mostra in Germania, me lo fa capire e, mentre ci sbaciucchiamo nel letto, mi ascolta mentre le racconto tutto. All’inizio non mi riesce agevole narrare, perché mi frena l’idea di parlare a Margie del mio rapporto incestuoso con mia sorella; lei però mi smonta immediatamente. Ci eravamo incontrati perché con Patrizia non si nascondevano niente: questo comportamento era durato anche per alcuni mesi quando era a Bolzano e, quotidianamente, si intrattenevano al telefono anche per ore, comunicandosi i particolari anche più intimi e scabrosi; sicché, potevo dare per scontato che sapeva assolutamente tutto e non farmi problemi di sorta. Potei allora raccontarle della complicità con mia sorella fino all’acquisizione dell’appalto per i lavori del ponte e, successivamente, dell’inspiegabile cortina di silenzio caduta tra noi. La dissi anche che nell’accordo coi tedeschi mi ero lasciato trascinare a promettere che avrei chiesto al Museo di ospitare nella mia mostra una presentazione del progetto, in termini di corretta non - invadenza; e che adesso, dopo che la sua notorietà era decollata, Oriana stava tentando di stravolgere i rapporti mettendo in ombra la mostra per far emergere la presentazione.
A riprova, le mostrai sul telefonino le due proposte a confronto per la pubblicità, la mia e quella avanzata a mia insaputa da Oriana, in cui chiaramente era la sua iniziativa a giganteggiare. Mentre raccontavo, anche il tono della voce si faceva più cattivo. Margie ascoltò in silenzio, poi cominciò a sorridere e quasi rideva; mi risentii. “No, aspetta. Lo vedi, prendi cappello immediatamente, quando parli di questa cosa.” Mi spiegò poi che la mia reazione era evidentemente quella di un innamorato disilluso dalla donna amata e non di un professionista derubato del lavoro; aggiunse anche che non riuscivo a vedere che mia sorella, dopo essersi emancipata, voleva eliminare anche e soprattutto chi l’aveva aiutata, per non dovere riconoscere a se stessa di non essersi liberata da sola. Quella reazione era più che naturale e, in certo modo, anche legittima. Infine, mi ricordò che stavamo parlando di mia sorella: secondo un detto popolare, “il sangue si mastica ma non si sputa” per intendere che, tra fratelli, anche gli scontri più violenti e sanguinosi trovano poi un composizione che nasce da una radice cromosomica. “Nel tuo caso, c’è l’aggravante che hai amato tua sorella, e non solo platonicamente, e che forse ne sei ancora, più o meno consciamente, innamorato. In questa vertenza, la cosa migliore è cercare soluzioni, non inventarsi ulteriori motivi di scontro.” In quel momento, sentivo di adorarla quella donna, capace di scoparti anche nella mente con la sua perspicacia; un poco mi rodeva dover ammettere che era mio dovere comporre la vertenza; ma anche per questo amavo Margie che mi aveva aperto gli occhi.
Il tempo passa in fretta, quando ti diverti; e il pomeriggio era volato, nelle amene conversazioni. Ci accorgemmo che ci restava poco tempo da trascorrere insieme e, inesorabilmente, un velo di tristezza cadde, dentro e fuori di noi; Margie lo materializzò accoccolandosi sul mio petto, quasi a piangere sulla spalla. Ma non piangeva e dava la sensazione che raramente si lasciasse andare a manifestazioni eccesive; la domanda peggiore era però nell’aria. “Domattina parti quando io vado in ufficio. … Quando pensi che ci potremo rivedere?” “Fra due settimane!” Il mio tono è deciso perché ho già rivoltato in me la domanda un milione di volte e una soluzione credo di averla raggiunta. Margie mi guarda con aria interrogativa. “Da P… a Roma ci sono al massimo due ore di macchina; io non ho orari da rispettare, salvo il caso di impegni particolari. Un fine settimana ci concede 3 notti di sesso sfrenato (venerdì, sabato e domenica) e un giorno intero di amore tenero e affettuoso (la domenica); io vengo qui il venerdì pomeriggio e riparto il lunedì mattina: questo non incide affatto sul mio lavoro e neanche sul tuo. Fare ogni settimana il blitz, è troppo impegnativo per molti versi; ma ogni due settimane lo faccio con tutto il cuore. Quindi, da oggi a quando ti trasferirai a P…., io ogni quindici giorni voglio essere qui con te per un week end. Se si frappongono viaggi, mostre o altro, dovremo rinunciare qualche volta. Ma ti assicuro che verrò, anche a piedi, se necessario!” Mi abbraccia con foga e mi bacia con intensità. Vorrei fare l’amore, ma mi fa osservare che dobbiamo almeno mangiare qualcosa per cena e che in casa non c’è quasi niente. Andiamo a mangiare la solita pizza e ci basta guardarci negli occhi per metterci a ridere come matti, di fronte al’ennesima “abitudine” che in pochi giorni abbiamo già sedimentato.
Quando rientriamo, ci scateniamo in quella che sembra “l’ultima volta”. Margie non mi dà il tempo di spogliarmi che mi sta letteralmente divorando il corpo di baci e di succhiate; quando affonda la bocca sul cazzo, sembra quasi voglia farlo sprofondare fino al ventre o soffocarsi. Sono decisamente sconvolto dalla carica emotiva che c’è in quel pompino; la afferro per i fianchi e la costringo a salirmi con la figa sul viso: voglio anch’io bermela tutta fino soffocarmi; affondo il viso tra le cosce e lecco, succhio, bacio, mordo alla cieca; tutta la vulva è come la ciotola del gatto, leccata fino alla fine e anche oltre, alla ricerca di quella briciola di piacere che c’è lì in fondo; la mia lingua sprofonda sempre più e trasmette al cervello elettriche scosse di libidine che mi infiammano, mi esaltano e mi fanno impazzire. Sento che lei mi esplode in bocca un orgasmo violento, ricco di umori, entusiasmante e, per l’eccitazione, scarico nella sua bocca una sborrata infinita, che mi svuota completamente. Restiamo per alcuni minuti fermi così, cazzo e figa in bocca, ad assaporarci e interiorizzare i sapori, gli odori, il gusto dei nostri corpi e del nostro amore quasi per fissarli nella memoria e ricordarli per i prossimi quindici giorni, almeno. “Mi dispiace essere venuto così presto; ora non so se riuscirò a salutarti come avrei voluto, con una scopata storica in figa.” “Fino a domattina ce la puoi fare a recuperare. Se no, ti resterà la voglia di tornare prestissimo a ricostituire il nostro androgino privato.” “Ti amo … alla follia!!!!” “Il solito esagerato; anch’io ti amo, ma non voglio impazzire; anzi, ogni momento voglio essere presente a me stessa e godermelo, questo amore, come la cosa più bella che la vita potesse darmi.”
Continuiamo ad amarci a coccolarci e, di tanto in tanto, a fare sesso … fino alle due, quando, sorridendo sull’ennesimo rito abitudinario, Margie mi ricorda che l’indomani lei deve lavorare ed io fare un viaggio non pesante ma neanche leggerissimo. Ci svegliamo alle sei e riusciamo a pomiciare un poco mentre ci prepariamo. Alle sette, puntuali come la morte, siamo in strada, vicino alla mia macchina già caricata e pronta alla partenza. Il magone è forte, per tutti e due, e le ombre del dubbio oscurano i volti. Ma ci facciamo forza. Non posso neppure baciarla, perché ha l’abito del ruolo. “Considerati baciata dove sai che a me piace.” Le sussurro; lei sorride d’amore. “Telefona, ogni tanto. Fammi sapere come vanno i tuoi progetti.” “Sognami e ricordati che ti amo, infinitamente.” Ci facciamo ciao con la manina mentre lei si allontana e io, avviato il motore, parto per tornare a casa.
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Aggiunto: 5 anni fa
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Incesti