Per quanto mi sforzi di ricordare, nessun incontro, a memoria mia o di miei conoscenti, è stato così strano e laborioso come quello che mi mise in contatto con Giovanna, alcune decine di anni fa, Ricordo che io stavo ancora sanguinando mentre strisciavo nel groviglio impenetrabile dei problemi e dei cavilli che coprono il percorso intricato di una normale separazione legale; e, per la verità, a tutto pensavo fuorché a impelagarmi in una nuova avventura sentimentale dagli esiti incerti; tanto più con una che abitava a mille chilometri dal mio paesello e che aveva una sua storia particolare per me quasi intangibile. Lei invece aveva ben metabolizzato la sua separazione, peraltro molto conveniente visto che l’ex marito si era fatto carico dei figli e le aveva lasciato la gestione della libreria a cui avevano dato vita insieme; per l’alloggio, si appoggiava ad una sorta di comune femminista che l’accolse volentieri e la introdusse a quel mondo particolare (anche parecchio ambiguo e confuso) che erano le comuni femministe degli anni settanta. A metterci, indirettamente, in contatto, fu Pasquale, un amico con la smania della poesia e delle edizioni “di nicchia”. A furia di scartabellare tra gli annunci delle riviste specializzate, aveva scoperto che, in una cittadina del profondo nord - quella appunto dove abitava Giovanna - , una manifestazione di poesia ben si prestava alle sue doti; per un caso fortunato, aveva scoperto che in quella stessa cittadina abitava anche Luigi, un suo ex compagno di liceo che si offrì di ospitarlo e di guidarlo nel periodo in cui avesse voluto fermarsi per partecipare all’evento che accompagnava il certame letterario. Sul posto, aveva scoperto che quella di Giovanna era la libreria di riferimento e che risultava ben frequentata da intellettuali di ogni livello; in particolare, si era accorto che il pezzo più ammirato era proprio la libraia che, quando incontrava un “intellettuale” vero o presunto, non esitava a calare le mutande e farsi scopare con gioia.
Ovviamente, nei giorni che passò in quella città, fu ospitato ben volentieri nel letto e nella figa di Giovanna. Tornato al paesello, cantò mirabilia dell’avventura al nord e fece cenno a due eventi a cui il gruppo dei “poeti d’assalto” che avevamo costituito avrebbe potuto senz’altro partecipare, di cui uno nella stessa sede dove era stato ospite lui, che si sarebbe tenuto l’anno successivo, ed un altro in una città lì vicino, da realizzarsi a breve distanza di tempo. Ci consultammo e decidemmo di affrontare le due prove, per tentare di esportare i nostri lavori e, soprattutto, i nostri linguaggi. Organizzammo così la spedizione e andammo al primo appuntamento, in un’amena cittadina della Romagna dove ci recammo in treno in comitiva e dove convergevano, dall’altra cittadina, la bella libraia e Luigi, l’amico di Pasquale. La giornata di studi passò nella massima simpatia e non persi occasione per fare uno dei tanti brillanti interventi a cui mi ero abituato nel lavoro col gruppo. Quando a sera andammo a cena in un posto strano all’aperto, Giovanna era decisamente infatuata di me e, in un intervallo del pranzo, si lasciò abbracciare con tutta la voglia che poteva avere un trentacinquenne di recente separato e quindi a corto di figa. Come però era nei loro accordi, a tornare a casa sua, insieme a Luigi, fu Pasquale che la mattina seguente ci raggiunse in treno e proseguì con noi per il paesello. Appena tornato, mi salutò. “Sai che alla libraia sei andato proprio a genio!” “Beh, intanto te la sei scopata tu … e spero anche con gusto.” “Ci puoi giurare!”
Nei mesi che intercorsero tra i due eventi, anche per scaricare le tensioni che derivavano inevitabilmente dalla crisi matrimoniale in atto e dalla rottura in corso, cominciai a mantenere i contatti con la bella libraia. Sicché, quando si avvicinò il momento di organizzare la seconda partecipazione, approfittai del fatto che c’erano due eventi distinti, un convegno letterario che sarebbe andato avanti un po’ di giorni, ed il reading poetico vero e proprio che si sarebbe svolto in una sola sera, a fine convegno; ad a cui partecipavano tutti gli autori, decisi di iscrivermi da solo al convegno, per un verso per il gusto di parteciparvi; e per l’altro per approfittare dell’intimità stabilita con la libraia; insieme al gruppo avrei poi partecipato al reading. Contattai Giovanna e ci accordammo che mi avrebbe ospitato per il convegno e addirittura mi sarebbe venuta a prendere alla stazione. Furono cinque giorni di entusiastico amore e di sesso: scopammo come mandrilli, perché io ero in chiara crisi di astinenza per aver passato troppo tempo senza neanche l’ombra di una figa; e lei, invece, pur avendo ogni tanto occasioni per scaricarsi, non era mai abbastanza soddisfatta, vista anche la peculiarità della selezione che la portava a concupire solo intellettuali di un certo livello.
Inutile dire che, a quelle condizioni, trovammo quasi l’intesa perfetta. Aveva all’incirca la mia età ed era sicuramente molto ben fatta: tette abbondanti, appoggiate ma non cadenti; culo alto, sodo e saldo su gambe scolpite e solide; un leggero accenno di pancino che non disturbava ma dava una sensazione di “budino” che risultava alla fine di grande eccitazione. Il particolare più interessante era costituito dal fatto che aveva ancora il culo vergine (almeno, così dichiarò) e quella verginità me la offrì quasi immediatamente. A quell’età, non aspettavo altro che grandi occasioni di novità e di trasgressione su cui mi lanciavo a corpo morto ogni volta che ne avessi l’occasione; poter violare un culo vergine (l’unico precedente era stato quello di mia moglie) mi fece toccare il cielo con un dito, quando lo realizzammo; per questo, arrivavamo a scopare quattro - cinque volte al giorno nonostante gli impegni di libreria, per lei, e del convegno, per me. Con l’energia che ci veniva dall’età ancora giovane e con l’entusiasmo di aver trovato una sorta di “rinata fanciullezza”, percorremmo tutti i meandri del sesso più avanzato; Giovanna si rivelò una caldissima partner sessuale che non arretrava di fronte a nessuna idea nuova, sia che si trattasse di farsi forzare fino in fondo alla gola il cazzo che si rivelava sempre duro e difficile da ammosciare, sia che si trattasse di farsi scopare in figa da tutte le posizioni. Per parte mia, sperimentai tutte le possibilità che avevo fantasticato sin da adolescente al paesello e, in particolare, godevo molto a incularla o a farle ingoiare il cazzo in tutti i momenti, perfino mentre stava pisciando. Quando arrivarono gli altri per il reading, l’imbarazzo non fu leggero, al momento del mio incontro con Pasquale: il giudizio unanime che si diffuse fu di “cornuto” e di “puttana”; ma era largamente prevedibile, visto il territorio di provenienza. E ci passai sopra a testa alta e coda ritta. Anche per questo, forse, i rapporti con i poeti non furono più gli stessi, in seguito.
Dopo quell’evento, decidemmo di provare a passare insieme l’estate; nonostante i pochi o niente mezzi a disposizione, riuscimmo a “inventarci” alcuni strani soggiorni divertenti e particolari, conditi da un entusiasmo amoroso giovanile che colorava di rosa anche gli eventi più banali come una corsa in spiaggia o la visita a una poetessa che alloggiava in zona. A condire il tutto, il corollario inevitabile di grandi scopate in tutti i modi, in tutti i luoghi, nelle occasioni più disparate. E non mi sovviene occasione in cui uno dei due si sia arreso per eccesso di funzione: eravamo autentici mandrilli. L’estate all’insegna del “tutto sesso e rock and roll” fu tale che ci rimase impressa per un bel numero di anni successivi. A queste condizioni e con questi presupposti, decidere che mi trasferivo da lei e mettere casa insieme fu un passo quasi semplice. Intanto, continuavamo a scopare alla grande, sia insieme che separatamente, visto che lei si concesse qualche “digressione” con intellettuali coi quali venimmo a contatto. Ogni volta che lo faceva, però, si allontanava a scopare fuori della mia vista con la solita banale scusa che lei o il partner occasionale si vergognavano di farlo in mia presenza: ma in fondo non me ne preoccupavo, convinto che, dati i presupposti della conoscenza, non ci sarebbero state remore, prima o poi, a stabilire un rapporto di totale complicità e di apertura che ci consentisse di fare le cose alla luce del sole, alla presenza dell’altro, come peraltro avevo preso a fare io che non le nascondevo niente dei nuovi amorazzi cui mi dedicavo ed anzi le raccontavo puntualmente anche i risvolti più scabrosi dei nostri incontri. Giovanna invece sembrava proteggere con tutte le sue energie la privacy che aveva difeso nel corso degli anni prima di incontrarmi.
Una volta trasferitomi nella nuova sede di residenza e risolto alla meno peggio il problema di creare un alloggio (Giovanna era stata fino a quel momento nella “comune femminista” dove una mia prolungata presenza poteva essere solo un disagio), fui io che mi scatenai alla ricerca di figa da scopare; e fui fortunato in alcune occasioni, specialmente nell’ambito del territorio della cultura, dove tantissime ambizioni letterarie frustrate aprivano la strada a fantasiose storie di sesso. In particolare, per un periodo dovetti organizzare il mio tempo per accontentare contemporaneamente tre amanti.
Esclusa la mattinata dedita al lavoro, dopo pranzo, mentre lei era impegnata in libreria, mi incontravo con Elena, nel primissimo pomeriggio; poi andavo a trovare Linda, in prima serata e la sera dovevo fare fronte alle pretese più o meno legittime di Giovanna, la quale espresse sempre una estrema comprensione per le mie esigenze sessuali e, apparentemente, mi lasciava totalmente libero; in realtà, tendeva a rendere sempre più alta la mia dipendenza da lei e, contemporaneamente, imponeva le sue scelte con l’elegante persuasione di tutte le donne intelligenti che ti riducono a pupazzo mentre credi di impegnarti per la tua libertà. Mentre si informava minuziosamente su tutte le mie amicizie femminili, cercava, in ogni modo, di avvicinarle e rendersele amiche (favorita anche dal fatto che erano del giro delle libreria e quindi già in qualche modo legate a lei); in questo modo, le poteva neutralizzare con poche battute dette al momento giusto che segnavano il suo “doveroso” diritto a farmi da madre e da badante, sopportando i miei fanciulleschi capricci, anche amorosi; mentre, insomma, “marcava il territorio” e mi chiudeva in una gabbia d’amore, lei intanto disinvoltamente scopava in privato con “intellettuali di passaggio” senza darmene neppure notizia.
Per colmo di raffinatezza, quando accostava le mie amanti o aspiranti tali e ne diventava amica, se si trattava di personalità forti, il rapporto rimaneva al di qua di certi limiti e si consolidava fino a durare nel tempo; quando invece si trattava di personalità più deboli, o, addirittura, l’altra ci stava, intrecciava persino un rapporto lesbico: comunque le andasse, alla fine loro rimanevano certamente amiche ed io, prima o poi, venivo segnato nel libro nero dei “pericolosi” o quanto meno di quelli da tenere alla larga. E’ stato così per decenni e neppure oggi certe convinzioni sono state scardinate, perché si sono ben radicate su una solidarietà femminile per cui tutte le fandonie raccontate da Giovanna sulle mie fragilità, sul mio bisogno di assistenza al quale non facevo corrispondere altrettanto amore sono state accolte come verità ed ancora oggi aleggiano nei discorsi di alcune mie ex amanti.
Tornando ai miei pomeriggi di “massimo impegno sessuale”, Elena, che veniva per prima a trovarmi a casa mia con la scusa dei compiti da svolgere (aveva appena compiuto diciotto anni e frequentava l’ultimo anno del liceo), era una donna di eccezionale bellezza, disegnata perfettamente da un grande artista con gambe da scultura greca, alte e sode, sormontate da due fianchi altrettanto statuari, segnati da una vita sottile ed elegante; le natiche, dure e compatte, piantate solidamente in cima al culo, erano al tempo stesso morbide e carezzevoli, dolci da baciare e da leccare: nella piega perfettamente segnata al loro centro, l’ano delicato ma non piccolo era stato già oggetto di ampi trattamenti di un precedente fidanzato che, oltre ad insegnarle seghe, pompini, spagnole ed altro, aveva provveduto anche ad aprirle figa e culo: ma penetrarlo e montarlo era un gusto comunque inarrivabile, specialmente se la penetrazione era accompagnata dalla stretta delle tette bellissime e piene che si ergevano superbe dal petto e dallo strofinio dei capezzoli grossi e morbidi come fragoloni.
Linda, la professoressa, preferiva ospitarmi a casa sua, un piccolo appartamento in un edificio storico del centro, che metteva perfino soggezione per i decori e gli affreschi, ma anche per l’arredo che vi era stato coordinato e che faceva leva su un letto rotondo con lenzuola nere di seta e una coperta di pelle naturale anch’essa nera: Scoparmi una intellettuale autentica - colta e intelligente come lei era effettivamente - mi dava ancora più piacere del suo culo non piccolo, ma che accoglieva il mio ventre con un senso quasi materno che mi scioglieva ogni volta che la montavo a pecorina. Il seno era piccolo, ma delicato e soprattutto dotato di due capezzoli che erano un miracolo di perfezione, adatti a succhiare, mordere e leccare all’infinito, Per lei fu una sofferenza prenderlo nel culo, perché aveva un foro molto stretto ed emorroidi molto sensibili. Ma lo accettò con dolorosa gioia e ne fui felice.
A Giovanna la presenza delle due dava molto fastidio: e non lo nascondeva. Con Linda ebbe vita facile, perché, da brava intellettuale, era già una frequentatrice della libreria e spesso si scambiavano opinioni e battute: bastò che un paio di volte lasciasse trapelare che eravamo una coppia inossidabile e che le “avventurette” mie erano solo episodi che si dimenticavano, perché Linda chiarisse immediatamente che non aveva nessuna intenzione di stabilire un rapporto impegnativo e che le bastava qualche incontro di buona qualità. Tornarono ad essere grandi amiche ed anzi mi fecero spesso oggetto dei loro pettegolezzi, dai quali puntualmente Giovanna ci teneva a far risultare la mia fragilità, il mio bisogno di essere accudito come un bambino o come un malato terminale. Questa convinzione diramata in giro come verità assoluta, poneva lei sul piedistallo della santa che meritava tutto il bene per come pazientemente sopportava un bambino capriccioso e cresciuto male; e, al tempo stesso, mi additava come la disgrazia capitata addosso alla poveretta che se ne era fatta carico. Non ho mai cercato di obiettare: ed è stato un grandissimo errore. Con Elena non ci fu neanche bisogno di parlare: considerata la giovanissima età, bastò insistere un paio di volte sull’edipismo del rapporto per innescare la noia delle cose e, in pochi mesi, sparì dal mio orizzonte.
Il punto più alto della sottile ipocrisia che regolava i nostri rapporti lo toccammo in vacanza, due volte consecutive in campeggio naturisti in Dalmazia. Il primo anno la mia ineffabile compagna, sollecitata da me a stabilire contatti nuovi e trasgressivi, se ne andò a scopare con sconosciuti - col mio beneplacito - e mi riportò ampie notizie dell’esperienza “al buio” risoltasi con interessanti scopate en plein air tra eleganti incomprensioni linguistiche (lei non riusciva a spiccicare una parola straniera, tranne quando doveva correggere la mia pronuncia approssimativa, perché sapeva più di me ma non osava aprire bocca per timore di sbagliare, cosa che io facevo impudentemente!). L’anno seguente andò anche peggio. Avevamo legato con una coppia di cecoslovacchi (al tempo, le due Repubbliche non s’erano ancora divise) e avviato un piccolo progetto di scambio di coppia: purtroppo il lui straniero era tendenzialmente un beone mentre la lei era assai bella e disponibile. La sera dell’”impiccio” io e Luana avevamo combinato, e lei mi aveva portato nella sua tenda; lui invece si sbronzò e andò a cantare serenate in giro per il campo. Mentre stavo scopando bellamente con Luana, il marito di avvicinò alla tenda ed io tremai; lei serenamente mi rassicurò, tenne serrata la zip della tenda e il marito si allontanò bestemmiando; alla mia terrorizzata meraviglia, osservò che non sapevo niente del suo Paese. Ed era vero. Ma il peggio venne poco dopo, quando a sbraitare alla stessa tenda venne Giovanna, che urlò che due ore le parevano più che sufficienti per una sana scopata e che era il caso di tornare da lei. Mi sentii una merda e dovetti ritirarmi con le pive nel sacco. Neanche quella volta capii che stavo sbagliando tutto e che stavo consegnandomi mani e piedi alla sua arroganza.
L’aspetto più clamoroso (ma nessuno poteva accorgersene) era che, intanto, Giovanna continuava a favorire i suoi “innamoramenti letterari” e molti se li scopava anche nel salone, mentre io me ne stavo chiuso nello studio con l’impegno a non comparire per non creare disagio. Certo, non mi garbava affatto starmene nascosto, impossibilitato anche a vedere, perché non c’erano postazioni utili in quella direzione e lei non accettava neppure per ipotesi che io potessi in un qualsiasi modo tentare di intervenire Ufficialmente, accampava il riserbo di lei ad esibirsi anche davanti a me p la ritrosi dei partners a scopare davanti a testimoni; in realtà risultava fin troppo chiaro che considerata il rapporto sessuale un fatto così privato da escluderne chiunque altro. Per fortuna, si trattava quasi sempre di individui abbastanza mediocri, dei quali neppure lei stessa riportava una memoria interessante. Pertanto, anche in assenza di conoscenza diretta ed anche indiretta, perché puntualmente glissava quando per caso azzardavo a chiederle il racconto specifico delle cose fatte: accampando il solito pudore, faceva in modo da non raccontare niente ed io mi rifacevo andando a scoparmi le mie donne e raccontandole per filo e per segno le cose che facevamo, dal numero di volte che me le scopavo in figa a quelle in cui glielo mettevo in bocca per farmelo succhiare, per non parlare delle occasioni in cui trapanavo un culo disponibile.
In un solo caso ebbi la netta convinzione che si fosse trovata di fronte ad un cazzo da concorso, una mazza di oltre venti centimetri e larga quanto una lattina di coca cola: Giovanna quella volta, di fronte alle urla che avevo sentito restando al piano superiore mentre lei andava a scopare al pianoterra, fu costretta a confessare che, nonostante la sua esperienza, aveva dovuto faticare un poco, la prima volta, a prendersela tutta in figa. Poiché però si appassionò a quel cazzo e lo volle provare e riprovare ancora più e più volte, col tempo imparò a succhiarlo come si deve e ad assorbirlo con serenità in vagina; non arrivò a prenderlo nel culo solo perché lui dichiarò che la pratica non gli andava molto a genio e, d’altro canto, lei si spaventava un poco delle possibili conseguenze che una bestia così grossa potesse provocare nel suo culo non avvezzo a dimensioni così grosse. Un altro caso particolare fu quello del grande intellettuale (uno vero, però), che trovai nel mio letto tornando da un viaggio: Giovanna se n’era invaghita e, dopo una conferenza, se l’era portato a casa e a letto. Tornando all’alba, inaspettato, li trovai che si rotolavano nel nostro letto. Li lasciai proseguire in pace, disinvoltamente, e mi limitai a trasferirmi sul divano per riposare qualche ora. Giovanna, dell’episodio, non fece poi nessun cenno, quasi non fosse mai avvenuto.
Venne, per me, il periodo “spagnolo” quando conobbi una di Barcellona, che si occupava pure lei di organizzare manifestazioni letterarie ed alla quale andai subito a genio. Nel desiderio di trascinarmi dalla sua parte, provvide immediatamente ad organizzare alcune interessanti iniziative in Spagna, grazie anche a speciali rapporti di cui godeva attraverso l’associazione cui aveva dato vita; mi lasciai convincerla a raggiungerla ed in breve cominciai a frequentare la sua casa (e il suo letto) di Barcellona talvolta con maggiore frequenza del mio in Italia. Lorena era determinata a farmi trasferire in Spagna e avviare con me una storia che fosse di relazione sessuale, innanzitutto, ma anche di attività produttiva e culturale, per incentivare un progetto di vita comune. Stavo bene, con lei, che scopava instancabilmente, era aperta in tutti i buchi e non me ne lesinava nessuno, aveva alle spalle una lunga esperienza maturata in tuta Europa e passata attraverso diverse vicissitudini, tra cui un favorevole matrimonio di cui godeva alcuni privilegi anche dopo il divorzio, a cominciare da una grande casa in pieno centro dove svolgeva attività culturale, produttiva e scopereccia con grande agibilità. Ben presto, mi ritagliai uno spazio personale e culturale che mi poneva all’attenzione del suo non indifferente entourage, senza contare le infinite occasione di passare a letto anche intere giornate a scopare come scimmie senza neanche sapere come fuori fosse il clima o se davvero avessero messo una bomba al centro di Madrid (l’Eta picchiava duro, al tempo!)
Per un po’ fui anche solleticato dall’ipotesi di creare una nuova realtà in un territorio diverso; poi, un certo spirito “mammistico” che non mi ha mai abbandonato; e il saggio consiglio dei vecchi di non abbandonare il noto per l’ignoto mi suggerirono di restare in Italia e , al massimo di giocare in due staffe. Come era facilmente prevedibile, non durò a lungo e, alla prima occasione, la rottura fu netta e definitiva. Ma Giovanna ebbe il tempo, anche in questo caso e anche a questa distanza, di conoscere Lorena, di frequentarla per qualche breve incontro e di stabilire il diritto di priorità (mai scritto da nessuna parte) di “Rebecca, la prima moglie”.
L’autentica “tragedia” esplose qualche anno dopo, quando la testa la persi sul serio e meditai molto seriamente di dare un’autentica svolta alla mia vita. Licia non era una bellezza eccezionale, tranne forse per la limpidezza del viso dai tratti rinascimentali purissimi ed eleganti; il corpo non era di quelli che si fanno ammirare, con le tette appese, il culo grosso e qualche etto in più in giro. Ma era (ed è) una persona straordinaria sul piano culturale, sociale e civile; una con cui si può parlare di foresta amazzonica mentre si sta scopando: l’entusiasmo è tale che non si perde né il piacere di scopare né quello di dialogare; altro elemento di grande fascino, le piaceva (spesso preferiva) scopare nel culo e lo sapeva fare in maniera da dare grandissime soddisfazioni al cazzo che la penetrava; dolcissima nei preliminari e nelle coccole, baciava con potente goduria e, quindi, era straordinaria a fare pompini, salvo rifiutare l’ingoio. Per giunta, amava atteggiarsi a bambina ed essere corrisposta allo stesso modo: abbiamo fatto, in pochi mesi, stupidaggini che ricorderemo per tutta la vita, dall’acquisto di paletta e secchiello per scavare buche sulla battigia a scrivere i nomi nelle conchiglie per poi nasconderle nella pineta.
Insomma, mi piacque e me ne innamorai anche. Giovanna avvertì, quasi a pelle, la pericolosità del mio nuovo amore e se ne turbò moltissimo: Per moltissimo tempo, tentò di mettere i bastoni fra le ruote e seminare quanta più zizzania le fosse possibile, per impedire che la pianticella di quell’amore si rafforzasse eccessivamente. Inutile spiegarle che non l’avrei lasciata in nome di quanto fatto insieme in oltre vent’anni. Il terrore era tale che arrivò a costruirsi un percorso alternativo alla nostra vita. Utilizzando alcuni fondi avuti da una eredità, acquistò un casale al mare e cominciò a passarci lunghi mesi, quelli in cui poteva affidare ad altre persone la libreria, senza provocare danni. Cercai di convincerla a fare il gran passo insieme, alienando quel poco che avevamo messo insieme e trasferendo la libreria nella nuova sede del casale; per tutta risposta, strinse una relazione con uno del posto, un intellettuale naturalmente.
Inizialmente, presi la cosa con filosofia, classificando il nuovo acquisto come una delle tante occasioni in cui Giovanna si era concessa di scoparsi un intellettuale, quasi che con la sborra assorbisse anche la qualità intellettuale del maschio scopato; forse anche per questo, ci scopò varie volte, ma me lo fece sapere a strappi e a tratti solo molto tempo dopo; cosa alquanto più impegnativa, però, gli organizzò nella libreria una conferenza (sul cui valore ebbi molte riserve, espresse apertamente e tacciate per questo di scenata di gelosia!) e lo invitò a partecipare a un convegno lì vicino. Particolare ancora più rilevante, mentre lui era in città, io ero invitato a farmi ospitare da Licia (Giovanna era ed è capace anche di questo) mentre lei e il suo ganzo prendevano possesso dei nostri spazi e li utilizzavano a piacere. Forse accecato d’amore, cedevo su tutto. Licia non smetteva di darmi del cretino e di farmi osservare come mi facessi manipolare in nome di un amore che ormai neanche più esisteva. Ma io testardamente continuavo a credere possibile un rinsavimento.
Che ci fu, ma non del tipo che speravo io: semplicemente, lui si stufò e scomparve, come amante; rimase come amico e ancora sono legati da un rapporto strano e non definito. Giovanna tornò a casa, dopo che per due anni aveva avuto persino la residenza altrove, e tornò ad essere “Rebecca, la prima moglie” o la “Principessa di Salina” che tutto decide. Intanto, però, io mi sono seriamente ammalato e il mio fisico è andato decadendo sempre più fino a ridurmi a una larva che cammina per inerzia ed è tanto spesso in depressione che non è capace neppure di pensare più. Licia si è arresa alla mia proterva imbecillità, si è cercata un nuovo rapporto e l’ha realizzato; le ultime notizie mi dicono che, tra alti e bassi, funziona ancora, dopo oltre dieci anni. Io ho mollato del tutto la mia attività letteraria ed anche il contributo che davo alle iniziative della libreria è finito: sto a guardare quel che fanno gli altri. Il pallino è tornato a Giovanna che, anche per effetto dell’età che l’ha piegata (ma non l’ha né spezzata né abbattuta, anzi ne ha rinvigorito l’autostima fino alla presunzione), ha rinunciato a qualunque impegno, specialmente a favore degli intellettuali e “vive di rendita” su glorie passate, stantie e forse anche discutibili, alla luce degli eventi nuovi
E’ rimasta in piedi la prigione che mi sono costruito intorno, fatta di un affetto indiscutibile ma che è quello autoritario ed oppressivo della badante per il malato terminale. E, a renderla forse meno ingrata, una massa di ricordi infinita, dalla quale attingere per momenti di stupida nostalgia.
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