Quello che si registrava tra gli ombrelloni di un qualunque lido della immensa costiera italiana, ancora qualche decennio fa, era una sorta di “quartiere trasferito dalla città” con tutti i suoi vezzi, i suoi problemi e, soprattutto, i suoi pettegolezzi. Al riparo protettivo degli ombrelloni, si raccontava tutto di tutti, si commentava ogni piccola modifica, si vedeva evolversi il costume e la società, spesso neanche rendendosi conto delle grandi trasformazioni. Tutti erano a conoscenza degli sguardi infuocati tra la zitella dell’ombrellone 18 e il marito irrequieto del 16, dei problemi scolastici del figlio della signora del 15 o del numero di costumi che aveva sfoggiato la ragazzina del 10, assai meno numerosi dei ragazzini che la corteggiavano; si registrava, spesso con raccapriccio, la riduzione dei costumi e la sempre più spudorata esposizione al sole delle parti intime; insomma, il taglia e cuci funzionava alla perfezione.
All’inizio della mia esperienza, io mi ero sempre fermata incantata a seguire quei discorsi, cercando di capirci il possibile, visto la mia ingenua fanciullezza (otto - dieci anni al massimo); mi allontanavo quando i discorsi scivolavano, e si impantanavano, sulle ricette di cucina, sui prezzi al mercato o sulle altre amenità che condiscono il cicaleccio delle signore. In quei casi, cercavo di entrare in una delle cerchie di ragazzini che popolavano l’arenile; ma l’operazione era assai difficile per la rigorosa selezione che veniva operata verso i nuovi adepti (sei troppo grande; sei troppo piccolo; qui siamo tutti già tutti abbronzati e così via); si finiva allora per giocare a palla scatenando le ire di tutti.
Qualche anno più tardi, cominciarono i “cenacoli dei ragazzi”, quelle conventicole ipersegrete dove si confessavano i grandi e piccoli peccati commessi, le colpe di cui ci si era caricati; e si chiedeva il consenso, la delucidazione, la spiegazione, la chiosa, il commento. Non ero molto a mio agio, neppure in quelle situazioni, perché mi rifiutavo di accettare la logica del “perché sono grande”; del “perché lo fanno tutte”; o, peggio, del “perché non voglio passare per bacchettona”. E in effetti chi non accettava il principio, era immediatamente out, classificata come bacchettona e quasi esclusa dai “segreti” che circondavano i discorsi tra ragazze. Ma, alla fine, si sapeva sempre che tizia aveva dato il bacio con la lingua, che caia aveva toccato, da sopra il costume e solo per un attimo, il sesso del ragazzino di dodici anni dell’ombrellone a fianco, che sempronia aveva addirittura consentito al suo filarino di metterle la mano sopra al costume, fra le gambe.
Trovavo quei comportamenti assai deprimenti, dettati dalla smania di essere in linea con la tendenza del momento e, in fondo, stupidi e sterili. Per converso, mi era stata affibbiata l’etichetta di musona e asociale e quasi mai venivo invitata alle improvvisate feste che ogni sera si inventavano in spiaggia. Ero comunque obbligata ad esserci, perché non potevo lasciare sola mia sorella Lucia, perché il patto era categorico, per uscire la sera con la combriccola: o tutte e due o niente. In realtà, avevo anch’io il mio bel filarino (peraltro, da molti punti di vista, assolutamente invidiabile); solo che era altrettanto musone, altrettanto snob e altrettanto da evitare; per cui passavamo lunghe serate staccati dagli altri, soli tra noi, a parlare dei massimi sistemi passeggiando sul lungomare, seduti su una qualche panchina o sdraiati dietro le barche arenate. Forti di questa “diversità”, ci divertivamo a commentare gli eventi a cui assistevamo e spesso ne approfittavamo anche per fare qualche discorso più serio.
Roberto aveva almeno due anni più di me: a quell’età (fra i tredici e i quindici anni) due anni possono essere un gap enorme, specialmente tra un uomo e una donna; ma eravamo così in sintonia che riuscivamo a ricondurre alla nostra dimensione anche le grandi rivoluzioni a cui assistevamo. Quando si sparse la voce che ormai tutte le tredicenni avevano dato il primo vero bacio (e qualcuna anche di più), Roberto, con molto garbo, mi chiese se a me fosse capitato di farlo. Lo guardai quasi piccata: “Tu sei l’unico ragazzo che frequento; se fosse successo, lo sapresti! E tu?” Forse arrossì un poco ma non me ne accorsi, alla scarsa luce della sera. “Io si; ma non è stata una cosa seria e non l’ho trovata molto bella.” “Quando deciderò di darti il mio primo bacio, voglio che sia una cosa bellissima!” Gli spiegai allora che per me dargli un bacio vero significava che da quel momento sarei stata la sua ragazza e che lui doveva considerarsi il mio ragazzo; mi passò un braccio dietro la schiena, prese il mio braccio opposto a mi strinse contro la sua spalla. Provai un brivido intenso, ma non glielo dissi.
In quel periodo si ponevano i primi grandi problemi anche di abbigliamento. Esporre in spiaggia i due brufoletti sul petto non mi riusciva più possibile e pretesi il costume intero o, meglio, il bikini. Mia madre, sorridendo, mi fece osservare che il costume intero mi avrebbe privato dell’abbronzatura su gran parte del corpo e che il reggiseno del bikini di taglia così piccola non si sarebbe mai trovato, a meno di cercarne uno imbottito che non le risultava esistesse. Rimediò la vicina di ombrellone, sarta per diletto, che me ne confezionò uno ad hoc e potei sfoggiarlo il giorno dopo con orgoglio. Per fortuna, a quell’età, le evoluzioni sono rapide e in poche settimane i brufoli assunsero un colore marroncino che ne giustificava l’esistenza e sotto di loro si delinearono due piccole dune che con tanta buona volontà qualcuno (mio padre, nello specifico; ma solo per orgoglio) riuscì finanche a battezzare “tettine”. Comunque il problema costume rimase risolto; non quello delle invidie, perché la maggior parte delle mie “compagne di spiaggia” ostentavano già dotazioni notevoli ed io soffrivo molto.
Ne parlai a Roberto, naturalmente; e lui fu pronto a consolarmi dicendomi che nel giro di qualche mese avrei sfoggiato il decolleté più spettacolare del mondo; gli picchiai scherzosamente i pugni sul petto; nel tentativo di fermarmi, mi bloccò le braccia e mi trovai stretta a lui in un abbraccio che non avevo mai provato; mi fermai di colpo, ma non irrigidita come temevo; ero invece stranamente languida e le sue braccia intorno al corpo mi apparvero dolci, carezzevoli, protettive; mi appoggiai a lui, con la testa sul petto e istintivamente accostai al suo il mio corpo intero. Roberto mi strinse con la destra e con la sinistra mi prese il mento, mi sollevò il viso e me lo trovai a pochi centimetri dal naso; chiusi gli occhi per l’emozione e sentii d’un tratto la sua bocca appoggiarsi sulla mia: cedetti di colpo e mi abbandonai al suo bacio; quando con la lingua premette sulle mie labbra, le socchiusi leggermente e lasciai che lui penetrasse.
La testa mi turbinava, girandole di fuochi d’artificio mi scoppiavano nella testa e spirali di colori inimmaginati mi ruotavano dentro gli occhi; persi il senso del dove, del quando, del come, del perché; lo abbracciai con forza; spinsi istintivamente il ventre contro il suo e sentii uno strano turgore gonfiarsi improvvisamente contro il mio pancino. Non so quanto durò; so che mi ero persa in quel turbinio di fuochi e di luci che mi esplodevano da tutte le parti e quasi non volevo più staccarmi da quel bacio, da quell’abbraccio, da quel paradiso. Roberto si rilassò, allentò la stretta e staccò la bocca dalla mia. Improvvisamente mi sentii priva di qualcosa e affondai la testa tra il collo e la spalla di lui, quasi a nascondermi. “Scusami, forse non volevi … “ Si giustificò. “Non è vero; l’ho voluto e lo voglio; voglio essere la tua ragazza, fino in fondo. Io … io … io ti voglio bene, ecco!” “Errore, Anna. Io ti amo: e ti assicuro che non è la stessa cosa.” “Perché non è la stessa cosa?” “Pensa a quante persone vuoi bene; anzi, pensa di quante persone tu vuoi il bene: la scuola, i professori, gli amici, la compagnia, tutti i parenti, tutto il vicinato: e pensa invece a quanto sono importanti le persone che ami, poche in realtà, come tua mamma, tuo padre, tua sorella, forse poche altre …” “… e Roberto, adesso!” “Appunto; per questo io dico che ti amo; è chiaro che ti voglio anche bene; ma, al di sopra di quello, ti amo veramente.” “Adesso basta. Mi baci ancora una volta?” “Da oggi ti bacerò sempre, tutte le volte che lo vorrò io e tutte quelle che lo vorrai tu e anche quando non lo vorrà nessuno dei due, io ti bacerò comunque.”
Quel mese di agosto fu questo: un’infinità di baci che ci scambiavamo in ogni momento della giornata, in ogni posto dove fossimo celati agli altri, in tutti i modi possibili. Roberto era veramente un ragazzo meraviglioso. Guidata da lui, riuscii a cogliere tute le motivazione e le conseguenze di un bacio dato con amore e con coscienza; mi spiegò soprattutto il coinvolgimento del sesso nel semplice bacio e imparai a baciarlo e a farmi baciare perfino strofinando l’inguine fino a raggiungere l’orgasmo. Quella sera ero uscita con un salvaslip per problemi postmestruali e stavamo camminando come al solito prima sul lungomare poi lungo l’arenile; quando fummo in un angolo particolarmente buio, Roberto mi strinse con foga e mi baciò con passione: sentii che il turgore che avevo imparato a sentirmi crescere contro il ventre aveva stavolta una forma più nitida, di grosso cilindro, e riuscii a focalizzare che doveva trattarsi del suo sesso, ben diverso dalle illustrazioni del libro di scienze, specialmente nelle dimensioni. Per un attimo ne fui spaventata, poi mi rilassai , perché si trattava di Roberto.
Sentii che manovrava il mio corpo e il suo per spostare quel turgore verso il mio pube: cercava di fare incontrare i nostri sessi; lo guardai negli occhi, lo baciai io, stavolta, e feci scivolare la mano fino al suo inguine; presi tra due dita il suo turgore e lo appoggiai fra le mie cosce, immediatamente sotto le mutandine; lui spinse in avanti il ventre e io sentii che il suo sesso scivolava fra le mie cosce. Una violenta scossa elettrica mi colse non appena il membro si strofinò contro la mia passera e in un attimo la stessa sarabanda di luci, di colori, di suoni angelici, mi esplose nel cervello e nella testa; cominciai a gemere come soffrissi, ma godevo; Roberto mi chiese preoccupato. ”Anna, stai male?” “Nooo, sto in paradiso; continua finché mi raggiungi anche tu!” Il bacio che mi diede in quel momento non credo di averlo ricevuto mai più in tutta la vita. Mi abbracciò quasi con violenza, strinse il suo corpo al mio e lo spinse avanti e indietro facendo scivolare il sesso sul mio che ad ogni passaggio riceveva una nuova e violenta scossa. “Vengo, vengo.” Lo sentii urlarmi nell’orecchio; e qualcosa mi esplose nel basso ventre, qualcosa che sconvolse il mio organismo e mi fece scaricare dalla passera non saprò mai che cosa. Fortunatamente, avevo il salvaslip.
A Roberto, invece, non andò così bene; quando si staccò dall’abbraccio, notai che aveva il pantaloncino tutto chiazzato davanti. Presi dalla borsetta un fazzolettino per pulirlo, ma mi fermò. “Aspetta, Anna, aspetta; lascia che prima ti spieghi.” Non capivo cosa ci fosse da spiegare. “Stasera è successo tra noi un altro fatto importante. Tutti e due abbiamo avuto il nostro primo orgasmo. Sai di cosa si tratta?” “Si: è la funzione con cui il corpo scarica le energie della sessualità con l’emissione di liquido seminale che, nella femmina, è neutro e, nel maschio, contiene gli spermatozoi.” “Brava; la lezioncina è perfetta. La realtà e che quel che vedi sul mio pantalone è quel famoso liquido seminale altrimenti detto sperma con tanti milioni di spermatozoi; a te non so cosa sia capitato, ma, visto che godevi come me, dovresti avere per lo meno le mutandine nelle stesse condizioni.” “Ho capito. Fortunatamente, avevo un salvaslip e, se mi fai il favore di girarti, me lo cambio qui stesso perché, è vero, è zuppo del mio liquido seminale. Ma tu come puoi fare?” “Io posso solo aspettare che si asciughi tutto e cercare di infilare il pantaloncino in lavatrice prima che mamma capisca tutto.” “Oddio, potrebbe capire che abbiamo fatto sesso?”
“Amore, non abbiamo fatto sesso; non almeno nel senso completo del termine. Abbiamo giocato col sesso. Quando faremo sesso, il mio sperma entrerà nella tua passera e i tuoi liquidi seminali rimarranno anch’essi lì perché il mio membro ne impedirà l’uscita. Possiamo rimandare ad altra occasione la spiegazione meccanica del rapporto sessuale?” “Si, se mi spieghi che cosa abbiamo fatto stasera!” “Anna, abbiamo fatto semplicemente l’Amore, quello con la maiuscola: io ho voglia di te, del tuo corpo, del tuo sesso, di tutta quanta te; ma non posso prendermi tutto e mi prendo le briciole. Diciamo che ho leccato tutto intorno a una torta immensa e meravigliosa che è il tuo sesso. E adesso, come capita in questi casi, muoio dalla voglia di avere la torta intera.” “Allora io dovrei dire che ho visto passare sulla mia tavola un cannolo dolcissimo e che ho sbavato per ore nel desiderio di prenderlo tutto e che adesso sto ancora desiderando tutto il tuo dolce per me!” “Alquanto triviale, ma efficace. Di fatto, ora ti amo assai più di prima. Ora sei veramente il mio amore o, come preferisci tu, la mia ragazza.” “Allora mi costringi a dirti che non sei solo il mio ragazzo, ma il mio Amore, il mio uomo e che ti vorrò sempre tutto per me.”
Purtroppo, quell’agosto durò ancora solo pochi giorni: da quel che seppi poi, in quel mese quasi tutte le mie amiche d’infanzia avevano sacrificato la verginità sull’altare del piacere; alla soglia della maggiore età, era sembrato indispensabile a tutte, tranne che a me che non ero riuscita ad andare oltre quello strusciamento dei sessi che mi aveva portato al primo orgasmo. Ma l’avvicinarsi del nuovo anno scolastico con l’impegno fondamentale (almeno per me) dell’esame di maturità e l’inizio di un nuova fase, quella dell’Università (o del lavoro, a seconda dei casi), ci poneva di fronte a nuove realtà. Non appena rientrati al paese, dovetti affrontare l’inevitabile necessità della partenza di Roberto per la città sede dell’Università, dove si sarebbe fermato, per nove mesi, dal lunedì al sabato a mezzogiorno, rientrando a casa solo la domenica per il cambio della biancheria e l’approvvigionamento. La sola idea di dover passare tanti giorni senza alcuna possibilità di abbracciarsi, di baciarsi, di sentire il suo corpo tra le mani, di sentire il suo sesso eccitare il mio, anche solo da sopra i vestiti, mi mandava ai matti. Mia madre lo avvertì immediatamente ed era seriamente preoccupata; alla fine decise di parlarne con me; e di certo non era un discorso facile.
“Anna, vuoi dirmi cosa ti angustia? Ritieni giusto che dobbiamo stare a guardarti soffrire senza sapere per cosa, per chi? Vuoi darmi la possibilità di cercare di aiutarti in qualche modo?” Scoppiai a piangere come un vitello. “Non ce la farò … Non ce la farò … Non posso resistere a una condanna così dura!!!!” “Quale condanna?” “Ma ti rendi conto? Cinque giorni su sette senza poterci vedere; e gli altri due con mille impegni: non potremo scambiarci neppure un bacio, una carezza, un po’ d’amore .. “ “Ah! E questa sarebbe la condanna?!?! Beh, senza scomodare le povere mogli dei soldati nei fronti di guerra, le mogli dei marinai in giro per il mondo sei mesi all’anno, le donne degli ergastolani, credo proprio che due giorni alla settimana siano finanche troppi, specialmente se hai il buonsenso: 1) di impiegare gli altri 5 a fare il tuo dovere, studiare; così come lui; 2) se impari ad utilizzare il tempo da passare insieme nella maniera più bella e intensa che conosci; 3) di usare il telefono per tenere sempre accesa la fiammella dell’amore. Se a fare questi discorsi fosse tua sorella Lucia, mi limiterei a darle della cretina con tutta l’anima e sarei soddisfatta. Visto, però, che purtroppo sei tu ad affogare nelle paure preventive, sono costretta a dichiarare formalmente, a norma di legge, che mia figlia Anna è la quintessenza dell’imbecillità travestita da donna intelligente. Io, al tuo posto, ogni giorno tempesterei di telefonate il mio amore e gli farei il resoconto delle mie attività e ascolterei il suo riassunto della giornata per essere partecipi ognuno della vita del’altro ed anche della certezza che state lavorando per andare a stare insieme, l’anno prossimo, all’Università. A proposito, se il tuo problema è un certo prurito dalle parti basse, il sabato pomeriggio, dopo avere scaricato a casa i bagagli, io il mio amore me lo porterei in camera mia per farmi illustrare i principi delle fisica …. o dell’amore, alla faccia di mamma che sta in cucina …” Resto basita “Maaaaammaaaaaa … ma cosa diamine dici?” “Io? Detto qualcosa? Ci deve essere un’eco strana ….”
E invece ancora una volta scoprii in mia madre una grande capacità di intuire i tempi,i modi e di organizzarsi per il meglio. L’anno accademico che avevo temuto tanto fu il periodo più bello che potessi vivere. La settimana cominciava praticamente la domenica sera con abbracci lunghi e infiniti alla stazione degli autobus, dove quasi non mi riuscivo a staccare dal “mio” Roberto e lui doveva a viva forza spingermi via per prendere posto sull’autobus. Proseguiva per cinque lunghi giorni con telefonate chilometriche che scatenavano interminabili borbottii di mio padre (ma quanto mi costi di telefono, benedetta ragazza?) ma ci consentivano di vivere le nostre giornate quasi in tempi reali, a cominciare da cosa avevamo mangiato a colazione fino a quante pagine avevamo letto quel giorno; il tutto, naturalmente, infarcito di moine coccole, frasi stupide e meravigliose, baci telematici a non finire, che non poche volte innescavano la presa in giro di mia sorella Lucia, quando le capitava di essere nei pressi e di ascoltare. Farmi il verso con tono piagnucoloso era il minimo.
Il sabato pomeriggio, poi, ero alla stazione dell’autobus almeno una mezz’oretta prima dell’ora prevista per l’arrivo: e da quel momento era tutta una frenesia di carezze, di baci, di abbracci, di amore esplosivo in tutte le forme. Poi, solo il tempo di andare a casa di lui, a depositare le valige con la biancheria sporca; e via a casa mia, a salutare di corsa mamma e a chiuderci immediatamente nella mia cameretta (che era per la verità in comune con Lucia; ma, a lei, era mamma a suggerire di andarsene a spasso per qualche ora). Lì si scatenava la nostra vera voglia d’amore, quella di cui le telefonate della settimana e le carezze alla stazione erano solo la punta dell’iceberg: Volevo sesso, da Roberto, ne volevo tanto e ne volevo in tutte le declinazioni: credo che per l’intero anno si sia sentito messo alle corde ogni volta che ci trovavamo da soli, faccia a faccia, sul mio lettino; ogni volta doveva partire da dove si era interrotto nell’incontro precedente e portare l’asticella un po’ più in alto; Dopo l’intenso strofinamento di fine agosto, fui io a prendere l’iniziativa e, la prima volta che ci trovammo a rotolarci sul mio lettino, mentre ci baciavamo con la voglia di due cannibali di divorare l’altro per assimilarlo in se, ardii allungare una mano al suo basso ventre e presi decisamente tra le dita il suo sesso.
I fulmini che mi si scatenarono in testa provenivano direttamente dalle mani di Giove, che di certe pratiche era esperto, ed io fui travolta da uno tsunami di piacere che mi sconvolse il ventre, la testa e il cuore; Roberto, sentendosi quasi autorizzato a procedere, infilò anche lui una mano, portò giù la zip e guidò le mie dita fin dentro gli slip: il contatto della pelle delle mani con quella serica e delicata del membro mi bruciò letteralmente il pensiero e le emozioni. All’improvviso, mi sentii viva solo nel punto dove le mie dita incontravano il suo sesso; infilai tutta la mano, presi la verga a palmo aperto e cominciai a carezzarla, strizzarla, muoverla a casaccio; Roberto mi frenò delicatamente, mi prese il polso e mi guidò nella prima masturbazione della mia vita; sciolse la cintura, abbassò pantaloni e slip e mi pose in faccia, per la prima volta, un membro maschile in tutta la sua possanza; lo guardai ammirata, quasi golosa; desiderai per un attimo baciarlo, ma mi trattenni; cominciai a muovere la mano come mi aveva indicato il mio amore e lo sentii vibrare e tendersi in tutto il corpo; da quel momento posi attenzione alle sue reazioni a mano a mano che muovevo le mano sul suo batacchio. Lo accarezzai in tutti i modi, sulla punta, lungo l’asta, lungo tutti i coglioni che con profonda lussuria sentivo gonfi tra le mie mani; cominciai un intenso su e giù della pelle a scoprire e ricoprire il glande, finché lo sentii irrigidirsi, fremere con violenza e infine esplodere con un urlo liberatorio: dalla punta sgorgarono spruzzi di una crema bianca che lui cercò di contenere con le mani a coppa; ma non riuscì a parare tutto e qualche goccia finì sul lenzuolo.
Contemporaneamente, sentivo il mio ventre agitato da un terremoto di emozioni di cui non riuscivo a capire la ragione, ma che mi scuotevano tutta; Roberto si pulì le mani con delle salviette che avevo sul comodino e mi chiese del bagno; glielo indicai ed andò a lavarsi le mani. Quando tornò, aveva un’aria contrita e confusa; ed ancora una volta mi trovai a non capire perché. Con molta calma, mi spiegò che quella che avevo praticato era una masturbazione maschile culminata nell’eiaculazione a cui avevo assistito e che si sentiva in colpa perché aveva lasciato che facessi tutto io senza occuparsi anche di me, perché non era stato troppo previdente e aveva sporcato il letto, con possibili conseguenze, ma soprattutto perché non era riuscito a fare con me un passo così importante, in armonia di volontà e di iniziativa. Gli dissi di non preoccuparsi perché comunque io avevo provato un intenso piacere, perché ero felice di aver fatto una nuova esperienza;per quel che riguardava il letto, avrei parlato con mamma che sicuramente avrebbe capito. Ma le mie spiegazioni servirono solo in parte a calmare Roberto. Baciandomi dolcemente sul viso, mi spinse supina sul lettino; sollevò delicatamente la gonna, a partire dalle ginocchia fino a far apparire le mutandine; mi accarezzò delicatamente il monte di venere che si protendeva voglioso e mi sussurrò. ”Adesso tocca a me masturbarti e farti godere come meriti.”
Mentre mi baciava sulla bocca, la sua mano destra scivolò sul mio stomaco nudo e si mosse verso il basso, infilandosi sotto le mutandine; sentii l sue dita giocare tra i peli del pube e cominciai ad eccitarmi come non avevo mai fatto. Avevo un sacro terrore che mi sverginasse e glielo comunicai con gli occhi, più che con le parole. Mi rassicurò a gesti e poi a parole. “Credimi, non devi aver pura, ti farò godere come meriti, ma non toccherò il tuo imene. Anche io ti voglio conservare vergine finché decideremo di stare insieme per sempre.” Lo baciai, per ringraziarlo, e mi abbandonai alle sue carezze lasciandomi avvolgere dal miele che scaturiva da quelle dita che sollecitavano la mia intimità. Sentii un dito farsi largo tra i peli del pube e incontrare il punto dove culminava la fessura del mio sesso; di lì scese immediatamente dentro il profondo intimo e stuzzicò un bottoncino che spesso avevo stimolato anche io. Il piacere che mi esplose nella testa fu indicibile: godevo, urlavo, mi agitavo. Roberto manovrava sapientemente il dito nella mia vulva ed io mi contorcevo dal piacere inenarrabile; lui fermava il movimento e prendeva a piena mano tutta la mia natura, dal monte di venere all’ano, ed io mi godevo il gorgo di miele che mi avvolgeva e mi faceva sprofondare nel piacere. “Basta! Fermati: non ce la faccio più!” Dovetti dirgli ad un tratto: non era proprio vero, avevo ancora tanta voglia, ma mi sentivo veramente stanca. Ci fermammo, ci ricomponemmo e aprimmo finalmente la porta.
Roberto salutò e andò via; io dovevo affrontare mia madre ma non ero minimamente preoccupata. “Senti, mamma, forse oggi siamo andati un po’ oltre e bisogna cambiare il letto!” “Oh, mio dio, cosa avete fatto?!?!?!” Aveva l’aria veramente preoccupata. “No, mamma, non stare a pensare male: sono e resterò ancora vergine!” “Ah, beh, sono contenta. Tesoro, non è che voglio ancorarmi ad un mito arcaico; ma da te mi aspetto più lucidità … “ “Mamma, ho semplicemente imparato la masturbazione e non siamo riusciti a controllare l’eiaculazione!” “Ah, vuoi dire che gli hai fatto una sega e che un po’ di sperma è caduta sul letto?” “Si, mamma.” “Ok, cambio subito le lenzuola: lo sperma in giro dove ci sono due ragazze giovani e fertili non è prudente.” “Quindi, dovrò starci attenta?” “Sempre, amore mio, sempre. A proposito, non per essere invadente o intrigante, ma avete pensato a quando deciderete di fare il grande passo?”
“Si, mamma; io l’anno prossimo farò l’Università e penso che sarebbe il caso di decidere di andare a vivere con Roberto … “ “… A spese dei genitori, naturalmente … “ “Finché non troviamo lavoro, inevitabile.” “Quindi?” “Quindi, il passo decisivo potremmo farlo all’apertura dei corsi l’anno prossimo.” Vedo che fa una strana smorfia. “Non ti convince?” “Si, con una mentalità da ragionieri, va benissimo. Ma se volessi metterci un po’ di poesia?” “Giuro che non capisco!” “Scusa, prima dell’Università c’è il solito mese al mare …” “Tu dici che potrebbe essere l’occasione? Ma al mare non potremmo stare così vicini come in città per l’Università, dove saremmo soli e liberi.” “Certo! Però, io, se avessi ancora una verginità da offrire ad un grande amore, preferirei dargliela in una notte stellata d’agosto, sopra un arenile; piuttosto che in una camera d’affitto in città, qualche mese dopo. Non ti pare?” “Mi pare, si, mi pare! Notte di Ferragosto?” “E non è più poetico, la notte di san Lorenzo, con lo sciame di stelle cadenti che da tanti anni guardiamo e che, finalmente, acquisterebbe un significato importante!” “Mamma, sei tremenda: per questo non posso fare a meno di amarti alla follia. Deciso, il 10 agosto sarà il mio grande giorno.” Ci abbracciamo con gioia.
Il mio “svezzamento al sesso” subì quell’inverno una enorme accelerazione: superato l’imbarazzo di spogliarci, arrivammo rapidamente a giacere nudi sul mio lettino e a usare le mani e la bocca su tutto il corpo per stimolarci e per eccitarci, per godere e far godere; venne presto il momento del coito orale ed io rimasi sconvolta dal piacere che mi dava tanto sentire la mia passera leccata a lungo, meticolosamente e profondamente dal mio Roberto, quanto, per converso, sentire il suo sesso gonfiarsi nella mia bocca ed assumere dimensioni che non credevo possibili; e, nonostante questo, ero pronta a slogarmi le mascelle per prenderlo in gola, fino in fondo. Percorrendo tutta la casistica dei possibili rapporti sessuali, mi trovai a scoprire anche la “spagnola” nella quale il decolleté - che effettivamente (come Roberto aveva pronosticato) mi era esploso in petto - esercitava un ruolo fondamentale, insieme alla mia raggiunta abilità nel coito orale, che abbinavo alla spagnola. Gli ultimi tabù restavano i “fori sacri” del culetto e della passera; ma per il sesso totale avevamo già deciso il momento del connubio e restavamo fermi a quella determinazione. Per il lato B, le mie riserve erano forti, perché molte leggende metropolitane mi avevano riferito di possibili danni conseguenti e ne ero terrorizzata.
Come al solito, a dire l’ultima parola fu mia madre che mi fece presente che la pratica era diffusa sostanzialmente a tutte le latitudini ed anzi presso alcuni popoli che tenevano in grande considerazione la verginità, era l’unico percorso per preservarla fino al matrimonio. Tra i nostri giovani, mi disse, il coito anale era praticato come una sorta di anticoncezionale per evitare maternità impreviste, inopportune o indesiderate. Dichiarò di averlo praticato con gioia da molto prima del matrimonio e che mia sorella Lucia, a quel che lei sapeva, era dall’età di 13 anni che lo praticava. Anche l’obiezione della dolosità fu smontata con l’indicazione del lubrificate e anestetizzante più opportuno, di cui lei era fornita perché non aveva dismesso quella pratica. Alla fine, mi convinsi e accettai con amore di farmi penetrare analmente da Roberto che riuscì a prepararmi con cura ed intelligenza, leccandomi il forellino e penetrandolo con le dita tante volte fino a che si rese conto che fosse pronto; solo allora, accostò la cappella all’ano e premette con forza. Lo sentii penetrare, quasi millimetro per millimetro, e , dopo che per un paio di volte si era fermato perché mi doleva, lo sentii finalmente affondarmi nelle viscere con un’esplosione di piacere che non avevo neppure immaginato. Dopo quella prima esperienza, effettivamente diventò per noi prassi abituale.
Superai l’esame di maturità con il massimo dei voti; anche Roberto quell’anno ebbe un notevole successo nei suoi studi, Arrivò quindi l’estate che noi avevamo indicato come cruciale per i nostri rapporti. Sin da quando prendemmo possesso delle postazioni competenti, risultò chiaro che i regnanti del “territorio degli ombrelloni” eravamo noi, i due giovani innamorati il cui sentimento sfidava le leggi dell’attualità e sembrava consolidarsi contro tutte le avversità; eravamo guardati con celata invidia e con dichiarata ammirazione; ma noi ce ne fregavamo e il nostro interesse era puntato ad un solo momento, la notte delle stelle cadenti, il 10 di agosto, che avrebbe segnato l’apoteosi del nostro desiderio. Le prese in giro e gli sberleffi, però, non si contavano, specialmente tra i giovani delle ultime generazioni, che giudicavano eccessivo e retorico l’interesse che annettevamo a un avvenimento che tutti loro avevano vissuto nella massima disinvoltura, come un fatto di cui a malapena ricordarsi. Ma, come era avvenuto sempre per i giudizi di bigottismo, di conservatorismo, di snobismo, di tutti gli ismi di cui ci avevano accusato, io e Roberto non ci curavamo per niente e continuavamo a cullare il nostro sogno,
Che arrivò, finalmente, riempiendomi il corpo di elettricità e di desiderio quasi smodato, insieme all’ansia e ad un qualche timore che si affacciava qua e là. Passammo la giornata riempiendo le ore, i minuti, con tutte le stupidaggini più classiche della villeggiatura, bagno e sole, passeggiate sulla battigia e chiacchiere vuote con tutti i conoscenti che incontravamo. Stessa storia dopo pranzo, e dopo un breve riposino sotto l’ombrellone, fin quasi al tramonto del sole, quando ritornammo ciascuno al proprio alloggio, albergo o casa in affitto che fosse. Dopo la solita cena in famiglia, uscimmo, io e Lucia, e ci dirigemmo al ritrovo comune; quando da lontano vedemmo che già Roberto era arrivato, Lucia mi fermò un attimo, mi abbracciò con un affetto che da molto tempo non riusciva più a dimostrare e mi bacò a lungo su una guancia: quello che sentii sul suo viso non era sudore. “Ti voglio bene, Anna, più di quanto riesco a dimostrarti; sono orgogliosa delle tue scelte e sono felice per te, Adesso va, ho già pianto troppo.” E mi spinse verso Roberto con uno scapaccione.
Eravamo molto tesi, tutti e due, mentre percorrevamo il tragitto per noi abituale da tanti anni e specialmente negli ultimi: lungomare, fino all’ultima gelateria, poi dentro verso l’arenile sempre più deserto, sempre più buio. Vicino a un pattino arenato, Roberto stese un telo da spiaggia, mi fece sedere, si sedette accanto a me, si girò a baciarmi: era un gesto ormai abituale, ma in quel momento divenne forte come non mai; mi spinse supina sulla sabbia e mi cadde addosso coprendomi col suo corpo assai più possente del mio. Le mani divennero tentacoli e cominciai a sentirmele dappertutto che mi frugavano il seno, l’inguine, i fianchi, il culo, le cosce. Mi baciava con vorace desiderio e mi succhiava tutto, dagli occhi alle labbra, dai capezzoli alla gola. Poi scese verso il ventre,sciolse il pareo che avevo usato per coprirmi e mi sfilò lo slip del costume. Allungai anch’io le mani e mi impossessai della sua verga che era diventata praticamente enorme: per un attimo ebbi paura che, entrandomi nel ventre, mi squarciasse; poi sorrisi delle mie fisime.
Roberto si sfilò il costume e i nostri sessi si trovarono nudi e accostati; passò per un momento un dito nella vulva, quasi a liberarla dei peli del pube e accostò la cappella; mi baciò delicatamente mentre si tratteneva dal penetrarmi; sollevai le gambe intorno ai suoi fianchi, le portai dietro la sua schiena, spinsi col bacino verso l’alto e sentii il mostro entrare in me; Roberto a sua volta diede una spinta dall’alto in basso e mi fu tutto dentro. Una fitta di dolore, quasi un’inezia, segnalò che il mio imene era saltato; aprii gli occhi, vidi una stella attraversare il cielo e mi augurai una felicità eterna, Poi lui cominciò a cavalcarmi; ed io non riuscii più a connettere. Sentivo solo il piacere infinito che dal ventre si irradiava a tutto il corpo; sentivo il mio desiderio di possederlo che si riempiva e si soddisfaceva di quel bastone di carne che mi trivellava il ventre; sentii esplodermi negli occhi, nel cuore, nella mente, nella fantasia tutti i fuochi d’artificio del mondo, Mi sembrò di esplodere io in mille pezzi di fuoco colorato; poi lui mi scaricò nel corpo il suo orgasmo ed io lo sentii tutto, spruzzo per spruzzo, goccia per goccia. E capii finalmente la differenza tra tutto quanto avevo vissuto e questo momento di sublime, infinita dolcezza che mi dava il sentore vero del paradiso, Risposi con altrettanti orgasmi, tutti violenti, tutti dolcissimi, tutti accompagnati da urla d’amore.
Alla fine dell’estate, mi trasferii in città e, approfittando del fatto che il suo coinquilino, dopo la laurea, aveva lasciato il posto - letto, ne presi possesso e, da quel momento, cominciammo a vivere come una coppia di fatto. Furono due anni di pura gioia, di convivenza piena, intensa, tutta moine e coccole, insieme ad uno studio matto e determinato per arrivare al più presto alla laurea e arrivarci al meglio. Roberto ce la fece; non solo ottenne il massimo dei voti, ma subito dopo gli arrivò dalla Germania un’offerta da una multinazionale, che accettò senza esitazioni. Partì dalla stazione ferroviaria della città un mattino di lunedì; io ero al treno a salutarlo. Ci demmo un bacio che fu l’ultima cosa di lui che conservai. Poi, più niente. Soffrii le pene dell’inferno e per qualche settimana non uscii dalla mia depressione. Poi la solita mamma, piangendo con me, mi fece presente che l’unica medicina possibile era il lavoro; mi mancava un solo anno alla laurea.
Mi misi sotto e ce la feci; nei tempi previsti dall’Università, mi laureai con lode e partecipai a un concorso per l’insegnamento. Vinsi una cattedra nel mio territorio e cominciai il mio percorso lavorativo. Nicola era un normalissimo professore di liceo, soprattutto bonario e riflessivo, un uomo degno di fiducia. Non me ne innamorai, non come avevo amato Roberto: ma ebbi la certezza di avere un pilastro a cui ancorarmi; ci sposammo ed avemmo due bambini. Quando ritenevo di aver voltato completamente le spalle al passato, mi trovai per caso a fare visita ai miei: uscendo dall’auto nel parcheggio in piazza, incrociai la mamma di Roberto che si bloccò quasi avesse visto un fantasma, si voltò e scappò via. A casa, raccontai la cosa a mamma. “Anna, stammi a sentire. Le cose seppellite nei ricordi, conservano intatta la bellezza che avevano al loro tempo; se le vai a confrontare con la realtà successiva, il minimo che ti possa capitare è di incontrare un corpo in putrefazione. Roberto è anche lui in paese con la moglie tedesca: se vuoi un consiglio, evita di guardare lo sfacelo di quel che ricordi meraviglioso.”
“Che vuoi dire? Quella è una storia passata, ormai solo un bel ricordo!” “Appunto. Allora evita di incrociare, e di dover forse anche salutare, un pancione tedesco calvo con una balena che lo comanda a bacchetta e due obesi ragazzini, anche scostumati, sempre tra i piedi; al confronto, Nicola è Apollo delfico; e tienitelo stretto.” “Grazie, mia sempre saggia mammina!”
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