Quartetto
Ormai erano dieci anni di matrimonio (più i cinque di fidanzamento) e Nunzia non poteva dire che bene del rapporto con me, Elio, con il quale aveva percorso praticamente tutto il terreno praticabile del sesso, sia nella variante face to face che in quella più complessa degli incontri “altri” e, per certi versi, trasgressivi. Avevamo cominciato a scopare sin da quando ci eravamo conosciuti: Nunzia ricordava ancora quasi minuto per minuto la serata al mare in cui, a passeggio per il corso, eravamo stati presentati da un amico comune e ci eravamo piaciuti al primo colpo. Il grande pompino che mi aveva fatto subito dopo, al riparo di alcune barche, era di quelli che le amiche avrebbero classificato “dieci e lode” tanto era stato l’amore e l’impegno che aveva posto nel mungere quel bastone notevolissimo che le era apparso da sotto al pantaloncino. Io avevo subito capito che non si trattava della ragazza sprovveduta, nonostante la giovanissima età; e mi ero dato immediatamente da fare per prendere tutto il meglio che potevo ottenere da quella brunetta tutta pepe, armoniosamente ben dotata in quanto a tette e fianchi, ma soprattutto calda al massimo e senza riserve quando si trattava di prendere il cazzo.
E gliene avevo dato tanto, di cazzo, in tutti i buchi, in tutte le occasioni e in tutti i modi possibili e impossibili. Per cinque anni, avevamo cercato luoghi appartati, più o meno sicuri, dove spogliarci al massimo per godere il corpo tutto intero, passarci cazzo e figa su tutta l’epidermide raggiungibile e poi infilarlo, nella vagina, nel retto, nella gola, fra le tette e dovunque stimolasse goduria. Nunzia partecipava con amore e dedizione, massaggiando, carezzando, leccando, succhiando, impalandosi a viva forza, penetrandosi con lentezza e dolcezza. L’unica regola era evitare maternità improponibili, considerato il precario stato sociale di ambedue. Un paio di volte ci eravamo trovati ad “imboscarci” in case private, per una festa, e di trovarci in camera con un’altra coppia: ci era scappato anche un piccolo scambio di effusioni, per involontario errore o per scelta di alternativa; ma non ce ne eravamo fatti un problema e, anzi, successivamente, ci avremmo pensato seriamente.
Quando giunse finalmente l’ora di “metter su famiglia” perché ambedue avevamo trovato la giusta occupazione, decidemmo di accontentare i vecchi genitori e ci sposammo, ma solo civilmente. Cominciò allora la nuova fase di ricerca del piacere fatta di frequenti e lunghe scopate, finalmente in un letto ampio a nostra completa disposizione, e percorrendo tutti gli anfratti che per caso fossero rimasti trascurati. Io mi feci quasi una cultura su internet e cominciai a scoparla da tutte le posizioni, in tutti i buchi accessibili e con tutte le eiaculazioni più elaborate, non escludendo piccoli episodi di bondage che però non riscossero molto entusiasmo. Maggiore soddisfazione trovavamo a invitare a casa coppie di amici, a provocarle e alla fine a creare ammucchiate interessantissime.
L’anima di tutto era Nunzia, ovviamente. Sceglieva con cura le coppie tra gli amici più fedeli e sicuri che non avrebbero sparso pettegolezzi; poi cominciava a lavorarsi le femmine delle coppie, inducendole delicatamente all’intimità e a sciogliersi in incontri, apparentemente casuali. Normalmente, una volta stabilita la serata della cena, invitava le signore qualche giorno prima per concertare il menù, l’abbigliamento, i particolari della serata insomma: al momento di parlare di intimo, scattava la sua trappola; esibendo il suo armadio di tanga, perizoma, minislip e reggiseni inesistenti, faceva in modo da invitare l’altra a provare almeno uno dei capi e, normalmente, a quel punto le mani scattavano sui seni, sui fianchi e sugli inguini; inevitabilmente, le signore si lasciavano prima accarezzare, poi cominciavano ad essere loro a carezzare con sempre più accesa sensualità, finché finivano sul letto in un 69 da cui districarle era quasi un’avventura.
Quando la sera stabilita si finiva di cenare, le signore, complice anche un po’ di alcool che inevitabilmente si faceva scorrere, si lanciavano in affettuosità sempre più spinte che, in breve, travolgevano i mariti, tutt’altro che annoiati della piega presa dagli eventi. In un paio d’anni, Nunzia assaporò con enorme gusto i cazzi ben piantati di almeno una decina di colleghi, miei o suoi, ed io ebbi il piacere di assaporare altrettante fighe nuove, oltre a culi spesso semivergini e a bocche più o meno vogliose. Quasi sempre, gli eventi non lasciavano strascichi: il lunedì seguente tutto tornava alla routine e la serata veniva dimenticata; solo in un paio di casi, l’amicizia si interruppe per il ravvedimento dei protagonisti; ma in molti altri, fu abbastanza evidente che non sarebbe dispiaciuto un replay.
Altre occasioni particolari, erano quelle in cui si organizzavano autentiche feste per più invitati, in casa di alcuni con ville più capienti. In quelle occasioni, però, toccava andare all’avventura e sperare in qualcosa di casuale. Una volta, per esempio, Nunzia fu tampinata assai a lungo da un dirigente della mia azienda e si trovò in difficoltà a doversi difendere da un attacco frontale; io credetti di risolvere invitando la moglie del mio superiore a conoscere mia moglie. Con mia sorpresa, mi rispose che già suo marito stava cercando di convincerla ad appartarci tutti e quattro dopo la festa e che mi sarebbe stata grata se avessi aiutato a sciogliere la situazione. Feci cenno a Nunzia di abbozzare e riuscì, d’istinto, a cogliere i termini della proposta. Poco dopo, abbandonavamo in quattro la festa, diretti alla villa del dirigente, dove dovemmo dare fondo a tutte le nostre qualità e a tutta la nostra esperienza per scaricare l’enorme carica sessuale che i due dovevano avere accumulato in anni di routine.
Sdraiati su preziosi tappeti del salotto, Nunzia dovette farlo sborrare prima con la bocca, con uno dei suoi irresistibili pompini; quando lo vide, con somma meraviglia, ricaricarsi nel giro di alcuni minuti, avviò la più bella scopata che l’altro avesse sognato nella sua vita e lo portò ad un orgasmo tanto violento che le urla si sentirono per la campagna circostante. Quando sembrava che dovesse tirare le cuoia (e davvero appariva al limite di un infarto!) si riprese con nonchalance e le chiese se aveva problemi a prenderlo nel culo. Nunzia sorridendo gli rispose che era la sua pratica preferita. Il grigio dirigente, a quel punto, tirò di nuovo fuori un cazzo autorevole e cominciò a preparare il culo di mia moglie con la massima cautela: con creme pregiatissime, sicuramente anestetizzanti oltre che lubrificanti, le lavorò l’ano per una buona mezz’ora, finché tre dita della sua mano grassoccia si mossero liberamente in giro per lo sfintere; a quel punto, la penetrò lentamente e delicatamente facendola uggiolare di piacere. Quando fu tutto dentro, cominciò la monta vera e propria che fece durare una ventina di minuti; poi esplose ancora con un urlo bestiale e si scaricò nel ventre, crollando di netto sul tappeto, stavolta veramente a corto di fiato. La moglie, da sotto a me che la stavo scopando per la terza volta, disse serafica “Non ci fate caso; succede così ogni volta che ci dà dentro col Viagra; tra poco starà bene.”
Mentre Nunzia affrontava il suo tour de force, io mi ero dedicato alla signora che era una tardona, ma non da scartare: strutturalmente ben messa, tonica per un esercizio continuo, bella di natura, era comunque una figa non disprezzabile e non provai nessun fastidio ad abbracciarla, appena fummo nel salone, ed a baciarla con intensità. Sembrò gradire ed apprezzare la partecipazione autentica che ci mettevo. “Temevo che avessi concesso a mio marito di scoparsi tua moglie solo per fare carriera; ma pare che lei si diverta e che a te non dispiaccia scopare con me!” “Non solo non mi dispiace, ma mi fa anche molto piacere … e te ne accorgerai … “ Cominciai a spogliarla leccandole il viso, la gola e il seno; mi accanii sui capezzoli, grossi, carnosi, rossi, saporiti, e scivolai a mano a mano sul ventre mentre facevo scendere il vestito; quando ebbi davanti agli occhi la figa nascosta in una foresta di peli decolorati, mi ci buttai a capofitto e la succhiai tutta, dalle grandi labbra alle piccole, dalla vagina al clitoride che tormentai a lungo con le labbra, con la lingua e coi denti: urlò una decina di orgasmi in un tempo così breve che dovette fermarmi con la forza. ”Io all’infarto non ci tengo. Fammi ancora sborrare, visto che ci sai fare; ma, per favore, fallo con calma … e soprattutto …. scopami … tanto ….”
Obbediente, frenai l’entusiasmo e ripresi a leccarla dappertutto, dalla figa all’ano, insinuandomi nei fori e nelle fessure, stimolando pieghe, anelli e canali; ad ogni orgasmo che avvertivo, mi fermavo per un poco e con la lingua accarezzavo la figa finché l’orgasmo veniva assorbito. Quando la sentii pronta, mi distesi su di lei, tirai fuori il cazzo e la penetrai di colpo. Urlò come violentata. “Cazzo, non me lo aspettavo così grosso: non ci sono più abituata!” Accennai a tirarmi indietro; mi schiacciò sul suo ventre. “Dove credi di andare, tu? Qui: devi completare l’opera!” La scopai a lungo, con metodo, e la sentii sborrare un paio di volte, prima di scatenarle il grande orgasmo che squarciò la notte. Subito dopo, si girò e si poggiò a quattro zampe sul tappeto: “Fammi il culo!” Disse semplicemente. Ed io mi preparai ad eseguire. Il suo culo mi piaceva, tra l’altro: solido e ben piantato, alto, senza un filo di grasso, morbido e ben spanato, come si deduceva dal colorito dell’ano e dalla facilità con cui tre dita vi penetravano, dava la sensazione di una carezza assai lussuriosa al ventre, nell’inculata, specialmente se lo ruotava opportunamente durante la penetrazione.
E così fu: abile nell’uso, lussuriosa e sempre alla ricerca del piacere, sfondata ed esperta, trasformò quell’inculata in un capolavoro di sesso e non riuscii, stavolta, a trattenere la sborrata come mi ero ripromesso. Attese solo pochi minuti, per darmi tempo di recuperare dall’alluvione che le avevo scaricato nell’intestino; poi mi si presentò di nuovo supina, a cosce oscenamente spalancate, con la figa tenuta aperta dalle dita che tenevano le grandi labbra e si fece infilare fino in fondo, fino a che la cappella urtò dolorosamente la cervice dell’utero e il suo primo orgasmo (primo della nuova serie) esplose violento. Allora si scatenò a scuotermi in tutti i modi per cercare il piacere dovunque fosse: strusciava tutto il ventre sul mio, spingeva il pube fino ad illividirmi il ventre, mi faceva addirittura male per la rabbia con cui picchiava; ma godeva ed urlava, urlava e godeva; gli orgasmi ormai non li contava più; affannava come al limite del soffocamento; e a me, che temevo, diceva di non preoccuparmi. Poi suo marito crollò e questo spezzò l’incantesimo.
Nunzia si trovò liberata da lui che la scopava, io riuscii a sganciarmi dalla moglie che si occupava del marito e noi ci rivestimmo. “Sciocchi, dove credete di andare? La vostra macchina è nell’altra villa. Aspettate e non abbiate né fretta né timori.” Ci fermammo, mentre il dirigente si riprendeva con la faccia più beata del mondo. “Che serata! Che serata, ragazzi! Siete stati superlativi. Domani aspettati grandi e importanti novità: e non per il tuo cazzo o per la sua ineguagliabile figa; ma per essere stati disponibili al di là di quel che poteva aspettarvi. Spero proprio di rivederci ancora!” “Ah, questo lo spero tanto anch’io … mi sono proprio divertita!” Gli fece eco la moglie, mentre ci indicava i bagni per sciacquarci.
Ma le cose, negli ultimi tempi, non andavano proprio benissimo, tra me e Nunzia: me ne accorgevo dal viso stanco e annoiato di lei dopo ogni scopata, privata o collettiva che fosse. Poiché avevamo stabilito di porre la chiarezza a fondamento del rapporto, non ebbi nessuna esitazione ad affrontare con serenità la cosa e a chiederle conto del suo evidente disagio. Altrettanto serenamente e lapidariamente mi rispose “La noia.” Poiché non mi davo ragione della risposta, mi precisò che quello che stava facendo perdere mordente ai nostri rapporti era l’abitudine a fare le cose tra di noi e sempre tra di noi: ormai il mio cazzo quasi non le procurava emozioni e quelli degli altri, per conseguenza, si svilivano. Le chiesi cosa proponesse e mi accennò all’ipotesi che qualche incontro fosse “diverso”, vale a dire solo lei e uno o più sconosciuti. In linea di massima, non potevo non essere d’accordo; ma mi venne spontaneo chiedere “Varrebbe solo per te?” “No, è chiaro. Vale per tutti e due.” “Hai già qualche idea?” “Se ne avessi, non te la direi per non sciupare tutto!” “Ma ti rendi conto che stai proponendo un tradimento classico?” “Si. E che ci sarebbe di male?” “Che qualcuno ci potrebbe rimettere le ossa.” “Ma dai, che vuoi rimetterci ossa: è solo un esperimento; se non andasse, si potrebbe sempre tornare indietro.” “Attenzione: SI POTREBBE. Perché, se si verificassero certe condizioni (tipo, un diverso innamoramento) questa potenzialità salterebbe e nessuno può essere chiamato a garantirla.” “Va beh, dici che non lo vuoi fare e non cercare scuse.” “Non sto cercando scuse. Ti sto avvisando. Partiamo adesso stesso. Poi, sarà quel che sarà.” Sapevo dove erano puntati gli occhi di Nunzia e mi dispiaceva per l’equivoco in cui cadeva, ma non potevo faci niente-
L’uomo a cui mirava lei era il marito di una mia collega, uno che conoscevamo poco e male per averlo incontrato solo un paio di volte a feste ufficiali dall’azienda dove, stranamente, al posto della moglie, dipendente come noi, veniva puntualmente questo marito non si sa in quale veste: secondo lui, come delegato quasi fosse obbligatoria la presenza. Intorno a quei personaggi erano fiorite nel tempo un’infinità di leggende metropolitane: si diceva che fosse un bigotto, quasi un talebano cristiano; quindi, che scopava una volta al mese, quando ci fosse la massima garanzia di fertilità: pertanto, non avevano figli; pare fosse ipergeloso: per questo lei non partecipava a quelle feste e lui “la rappresentava”; con lei, Francesca, non era possibile neppure accennare al sesso; insomma, anche rivolgerle solo la parola era avventura. Io, per la verità, qualche volta ci avevo parlato, anche perché ero il diretto superiore, e mi era sembrata una brava ragazza normale in tutto. Di lui, invece, non sapevo niente; ma mi riservavo di parlarne con Francesca alla prima occasione.
Nunzia intanto doveva aver avviato la sua opera di seduzione, anche se niente dava la sensazione che lo facesse. Per poter controllare le nostre attività “clandestine” avevamo installato una app che consentiva ad ambedue di tenerci in contatto ma anche di leggere il cellulare dell’altro: lo feci rafforzare e chiesi che non emergesse la presenza dell’app. Comprai un’attrezzatura da spionaggio per riprendere immagini e controllare colloqui; installai in salotto e in camera una web camera da manovrare anche a distanza col cellulare. Se deve essere guerra, pensai, che guerra sia. La prima occasione utile per questa nuova “battaglia” fu la riunione in sede per festeggiare dei pensionandi: naturalmente Francesca fu “rappresentata” dal marito. E su lui si fiondò come un avvoltoio Nunzia appena ci trovammo nella sala. Usai la mia tecnologia per registrare ogni momento, ogni gesto. Dopo un approccio generico e insulso, Nunzia passò subito all’attacco e chiese della moglie; lui glissò adducendo un malessere; lei incalzò accennando alla gelosia; lui si difese ma ammise che in certi ambienti gesti e linguaggi non sono consoni. “Per esempio, come se tu mi mettessi una mano sul culo?” Attaccò Nunzia e portò la mano di lui profondamente dentro la fessura tra le natiche; lui reagì spaventato ed io registrai; poi Nunzia andò oltre. “Oppure come se tu mi mettessi una mano tra le tette.” E la mano di lui era nello spacco tra i seni, immortalata dal mio aggeggio. Poi l’assalto finale. “E se io volessi baciarti?” E lo baciò con molta passione; non avevano neppure una colonna di protezione ed io li ripresi in piena luce. Il poveretto scappò; ma il mio video era fatto.
Nunzia era stata bravissima ed aveva giocato alla perfezione le sue carte; il poveretto non avrebbe avuto più pace, come sapevano bene tutti quelli che avevano avuto la sorte di mettere la mano fra le tette o sul culo di Nunzia o di riceverne un bacio profondo. Ma in realtà le cose erano andate assai meglio a me che adesso avevo in mano le carte per aprire il gioco con Francesca e forse scoparmi una semivergine. Tornati a casa, parlammo di tutto fuorché dell’episodio ed io ne approfittai per mettere in ordine le mie riprese e modificare quelle che era meglio modificare. Quando andammo a letto, mi accostai a Nunzia con l’intenzione di scopare ma, per la prima volta in assoluto, mi vidi opporre un rifiuto. “Perché?” “Non mi va.” “E’ successo qualcosa?” “No, non mi va e basta!” Mi sparai una enorme sega davanti a lei che neppure faceva finta di dormire e sparsi la sborra su tutto il letto. Poi mi addormentai.
Nei giorni successivi non successe niente di particolare, tranne che Nunzia si rifiutò continuamente e metodicamente di scopare. Le chiedevo spiegazioni e non sapeva fornirmene. “Non mi va più di scopare con te.” Si limitò a dirmi. “Decidiamo che è finita?” “Si, per me è finita.” “Domani stesso vado in Comune a cancellare il matrimonio; è solo civile e non sarà un problema.” “Per me va bene.” “Devo cercarmi un’altra, allora?” “Fa’ pure. Non mi interessa.” “Ma, per scopare, come si fa?” “Io continuo a scopare qui perché non saprei dove andare.” “E io?” “Tu ti prendi la camera degli ospiti e, se ti capita qualche scopatina, cerchi di non disturbare.” “Per la verità, chi urla mentre sborra, sei solo tu. Inoltre, la casa è mia e tu non potresti accampare nessun diritto, figuriamoci poi dettare leggi o condizioni. Comunque, per il momento non ho voglia di litigare; affare fatto: separati in casa e chi ha cartucce, spari.” Cominciai a fare qualche telefonata in giro cercando di evitare le impiegate dell’Azienda, che pure sapevo che avrebbero fatto carte false per una notte con me: il mio obiettivo primario rimaneva infatti la casta Francesca e non volevo che voci di corridoio turbassero la mia lenta conquista; ma di questo parlerò in altra sede.
Cominciai a bazzicare tutti i vecchi e nuovi amori, andai spesso a cena fuori e trascorsi fuori casa innumerevoli notti. Finalmente un giorno l’app che avevo installato sul telefonino mi diede l’indizio che cercavo; Romualdo aveva ceduto alle pressioni di Nunzia e, dopo aver ricevuto il numero di lei con molte sollecitazioni a farsi vivo, finalmente proponeva di dialogare sul sesso libero e sui suoi pericoli. Lo scambio di messaggi, che puntualmente e puntigliosamente trascrissi, avrebbe riempito un trattato di filosofia sull’amore e si concludeva col desiderio espresso da lui di provare a fare l’amore con Nunzia per sperimentare il gusto del peccato. L’occasione migliore che si profilava, era uno stage di lavoro che avrebbe impegnato sua moglie il week end della settimana successiva a Roma: saltai fino al soffitto, perché era lo stage che avevo creato io, che dovevo pilotare io e a cui avevo fatto l’impossibile per far partecipare anche Francesca con lo scopo nient’affatto segreto di potermela finalmente scopare.
La sera a letto trovai Nunzia particolarmente disponibile e allegra. “Sei contenta, mi pare!” “Si, sono felice.” “Come mai?” “Ho trovato finalmente il percorso che cercavo. Guarda sono così contenta che ti faccio anche un pompino!” “Grazie, a un bel pompino non si dice mai no, chiunque te lo proponga.” C’ero andato molto pesante, ma neppure se ne accorse, presa com’era dal suo entusiasmo per il nuovo amante. E quella sera, forse per l’ultima volta, assaporai ancora il piacere infinito della sua calda bocca che mi leccava minuziosamente e languidamente tutto l’apparato sessuale, dalle palle alla cappella, per arrivare ad infilarsi fino alle tonsille un’asta divenuta per l’occasione ancora più grossa, ancora più dura. Mi deliziò il cazzo per oltre mezz’ora; poiché, secondo me, stava operando un transfert sul cazzo che l’attendeva per l’altro fine settimana, trattò il mio come un gioiello prezioso, dedicandogli una cura mai registrata prima in anni di pompini. La sborrata che mi sgorgò spontanea fu uno tsunami di crema che le inondò di colpo la gola e la bocca; con un pizzico di sadismo, le tenni forzata la testa sulla cappella per non consentirle di estrarre il cazzo dalla bocca e mi accertai che assorbisse fino all’ultima goccia, fino all’ultimo sussulto la mia sborrata decisiva, Quando ebbe finito, quasi a sfidarmi, aprì la bocca e me la mostrò completamente pulita, per dimostrarmi di avere ingoiato tutto. “Sai sempre di buono.” Commentò, mentre io mi giravo su un fianco e mi addormentavo.
Fin da quando decisi di fidanzarmi con lei, sapevo che Nunzia era la ragazza più troia che potessi scegliere. Aveva cominciato alla scuola media dove era già famosa come pompinara e segaiola inarrivabile; tutti i maschietti della scuola erano passati per le sue mani e per la sua bocca. Alle superiori, era notissimo che se l’erano passata tutti, studenti, professori e bidelli. Quando passò all’Università, ebbe forse un momento di resipiscenza: o le si raffreddarono gli istinti; o la imbarazzò l’ambiente nuovo: o chissà perché, insomma, diventò una persona diversa e rientrò nella norma delle ragazze che la davano, ma non tanto facilmente, e che insomma, a insisterci, qualcosa si ricavava.
Io la conobbi al mare, in una località dove di tanto in tanto trasferivo la mia noia, in cerca di nuove conquiste. Me la presentarono una sera, mentre passeggiavo sul corso; e capii subito, dallo sguardo, da come si muoveva, da come gesticolava mentre parlava, che doveva essere una di quelle troione che a me piacevano tanto, già a quel tempo: neanche dieci minuti di cazzeggio e già mi abbassava i pantaloncini e si prendeva completamente in bocca il mio arnese da più di 21 centimetri, con un’abilità che poche volte avevo incontrato anche in pompinare professioniste. Come si usava, ci fidanzammo e per qualche anno andammo a caccia di fratte e anfratti, di buchi e di automobili, di letti e di stanze dove poter scaricare alla meno peggio la voglia di sborrare che ci caratterizzava. Eravamo due animali da sesso e lo sapevamo; non ci nascondevamo niente e cercavamo tutti i percorsi utili.
Il fatto che fosse sfondata in tutti i buchi e aperta a qualunque esperienza era quasi un vantaggio, perché bastava poco tempo, uno spazio limitato e tanta voglia per farmi sborrare: alla nostra età era quello che contava; il resto era solo retorica. Quando una serie di fortunate combinazioni ci consentì di assicurarci un reddito dignitoso, decidemmo di andare a convivere e, per fare contenti i suoi che ci tenevano, facemmo anche la cerimonia civile del matrimonio. Da allora il sesso ci aprì l’immensa prateria delle possibilità: disporre della nostra casa dove gettarci sul nostro letto e scopare come, quando e finché volevamo noi, era una condizione di vita a dir poco ideale; l’unica attenzione era a non sborrare dentro, per non causare maternità improponibili.
Ma casa nostra era anche utile per invitare amici, di tanto in tanto; e quasi sempre le cenette finivano nell’intimo del letto dove le varie Valeria, Franca, Giovanna e chi altri si voglia assaggiavano la dolcezza e la bellezza del mio infaticabile cazzo; d’altro canto, gli amici invitati trovavano Nunzia con due cosce aperte tali da invitare anche un santo a scoparla. In quei casi, poi, il piacere era accentuato dal rivedersi in azione, anche dopo, attraverso i filmini che degli incontri ad alto tasso di libidine realizzavamo per la nostra privata visione. In quegli anni di bengodi, è difficile contare quante fighe, anche fresche e seminuove, quanti culi, qualcuno ancora vergine, quante bocche, alcune favolose, siano passate dal mio cazzo e quanti cazzi belli duri, fino a nerchie di ventidue/ventitre centimetri abbiano percorso il canale vaginale, il canale rettale, la gola profonda, le mani abili di Nunzia che in quelle situazioni non si risparmiava e mirava quasi sempre a prosciugare l’altro.
Di quel periodo, l’episodio che mi è rimasto più impresso è quella volta che invitammo a cena i nuovi vicini di casa, due giovanissimi appena sposati ed abbastanza inesperti, che si affidarono completamente e si lasciarono guidare per tutto il percorso (di dannazione, dovrei dire; ma sarebbe ingeneroso). Quando Elvira chiese alla vicina di casa alcuni consigli di vita quotidiana assai banali e legati alla vita condominiale, Nunzia intuì immediatamente di aver trovato la sua bambolina pregiata e si preparò a plasmarla: la invitò in casa, la rese partecipe della sua intimità, sfoggiando il suo repertorio provocante di tanga e perizoma, e a mano a mano la dirozzò sull’uso di mutande monacali, di reggiseni al cemento armato, di gonne al ginocchio e di maglioni nascondi - tutto. In una mattinata, Elvira si trovò strafiga, con stivali, autoreggenti, minigonna, magliettina senza reggiseno, minitanga ed un trucco leggero ma efficace che la rendeva superbellissima. Fu la mise con cui venne la sera a cena, tra la meraviglia estatica mia, del marito e di Nunzia stessa che non prevedeva tanta trasformazione.
La cena, alla fine, fu la cosa meno importante perché tutti mangiammo senza neanche renderci conto di cosa ci fosse nel piatto, perduti a guardarci ammirati: Elvira era evidentemente l’oggetto del desiderio, ma Nunzia faceva sbavare il maritino che non le toglieva gli occhi da dosso, cosa che peraltro io facevo con altrettanta lussuria verso Elvira. Quando Nunzia si alzò per sparecchiare, il maritino, compitissimo, si precipitò ad aiutarla e le finì letteralmente tra le braccia. Nunzia non perse un attimo e lo attirò sulla sua bocca in un bacio al fulmicotone; con la destra aveva già artigliato la patta; mi guardò sorpresa e accennò, con il pollice e l’indice ruotati, che non c’era niente. Non capivo; lei allora trascinò il ragazzo in camera e, dai rumori, si capì che finivano a letto; Elvira arrossì, io mi avvicinai e le accarezzai il viso, le sollevai il mento e la baciai delicatamente sulle labbra, forzandole ad aprirsi: avevo la sensazione di baciare un bambina casta e pura, alla quale fossero del tutto ignoti i percorsi non solo del sesso ma anche dell’amore.
Mentre la limonavo col massimo gusto, la trasportai delicatamente verso il letto e ci stendemmo a fianco ai nostri coniugi che già erano impegnati largamente in attività sessuali. Una volta sul letto, mi resi conto delle perplessità a cui aveva accennato Nunzia quando vidi che il cazzetto e le palline del maritino superavano di poco quelli di un ragazzetto. Ci guardammo perplessi, tentati quasi di porre fino ad una evidente violenza, se non su minori, almeno su uno che sembrava avere la dotazione di un minore. Che fare? Con calma, il ragazzo ci spiegò che il suo problema era comparso dalla nascita e che da sempre erano assillati dal dubbio: si amavano alla follia ma avevano paura che questo limite avesse conseguenze: erano emigrati per nascondere il problema; ma cercavano ancora una soluzione perché comunque Elvira aveva voglia di fare sesso e, per di più, volevano almeno un figlio tutto loro e non sapevano come fare. La prima domanda fu a Nunzia. “Riesce a sborrare?” “Si, normalmente.” “E allora non c’è problema: in un clinica qui vicino, si fa prelevare lo sperma necessario e con un’inseminazione artificiale nasce il figlio tutto loro.” “Ma io ho voglia di fare sesso - Insisteva Elvira - puoi farmelo fare tu?” ”Se siete d’accordo tutti e due, noi non abbiamo problemi: ovviamente, ci sarà da stare attenti alla perdita di verginità ed all’eventuale inseminazione, che dovrà essere fatta dopo, a imene rotto, per via artificiale. Comunque, io ti faccio fare tutto l’amore che vuoi, per tutto il tempo che vorrai.”
Detto fatto ci trovammo disposti al nuovo rito del “sacrificio della verginità” con il marito che si adoperava al massimo per montare Nunzia e che con molta buona volontà riusciva a farla godere in figa, aiutandosi molto con le mani e con gli strusciamenti; con Nunzia che cercava di gustarsi al meglio il giovane marito ipodotato aiutandosi con tutta l’esperienza che possedeva; con Elvira che se ne stava a gambe spalancate in attesa di essere penetrata, come forse la mamma le aveva suggerito al paesello; infine, c’ero io che vivevo peggio di tutti la situazione dovendo adattarmi ad un ruolo che non avevo mai recitato (nessuna donna si era fatta sverginare da me e non sapevo neanche da dove cominciare). Nunzia, come al solito, intervenne e cominciò a masturbare Elvira strappandole urla di piacere quando le manipolò il clitoride con estrema abilità. Quando sentì che era decisamente pronta, mi fece inginocchiare tra le sue cosce, accostò la cappella alla vulva e spinse le mie natiche contro il ventre di lei che si trovò deflorata quasi senza accorgersene, mentre ancora stava godendo degli orgasmi clitoridei procuratigli da Nunzia. L’urlo di piacere misto a dolore fu soffocato nella bocca del marito che si era precipitato a baciarla mentre la penetravo. Ebbi la sensazione di essere uno strumento del loro amore; riuscii a ritirarmi al momento di sborrare e le scaricai lo sperma sul ventre, tra i soffici peli del pube.
Alla fine, ci trovammo tutti e quattro arcifelici della conclusione: Elvira aveva avuto la sua deflorazione con una scopata soddisfacente; suo marito era riuscito ad amarla mentre veniva violata e, intanto, si era preso anche un po’ di piacere da Nunzia in veste di nave scuola, che a sua volta era totalmente soddisfatta di aver guidato i due ragazzi al sesso; io ero il più felice per essermi scopata una figa intatta, completamente vergine, ed averla deflorata con somma gioia. La cosa piacque così tanto che si ripeté spessissimo nei mesi successivi. Elvira ogni volta che ne aveva voglia, veniva a farsi scopare con somma gioia; poi, con la figa ancora piena della mia sborra,si precipitava da suo marito che la coccolava con grande amore e le faceva smaltire l’orgasmo ancora vivo con le sue carezze e le sue coccole; Nunzia non perdeva occasione per essere presente e guidare le operazioni: dopo avere insegnato ad Elvira come manipolare un cazzo con le mani masturbandolo fino all’orgasmo più intenso (tanto a me quanto a suo marito che così partecipava a pieno diritto all’attività sessuale); le insegnò come prendere in bocca un cazzo anche apparentemente impossibile e come prosciugarlo con labbra e lingua fino a svuotare completamente i coglioni: anche di questo, beneficiò anche il marito che avvertiva sempre meno il peso della sua difficoltà. Fu un periodo di grandi gioie culminato con l’inseminazione artificiale che consentì ai due di diventare genitori di una bella bambina. Successivamente, si trasferirono al paesello, in una casa dove già abitava il fratello di lui che, a quanto si diceva, prese il mio posto come surrogato.
Io e Nunzia, intanto, continuavamo la nostra vita disinvolta e da gaudenti frequentando gli ambienti più idonei a dare sfogo alla nostra inesauribile verve scopereccia. Tra i tanti, gli episodi narrati nel capitolo per Nunzia: sia quello col dirigente che mi valse una grossa promozione e che si ripeté un paio di volte; sia soprattutto quello che riguardava il marito di Francesca, la mia dipendente, sul quale si era appuntata l’attenzione morbosa di mia moglie che ci portò velocemente a decidere la separazione. Mentre lei si dava da fare col marito, io cominciai a guardare con sommo interesse alla moglie, che immediatamente promossi a segretaria particolare, per averla quotidianamente al mio fianco e a mia disposizione. Gli inizi furono decisamente ostici: Francesca era veramente una suora laica, totalmente immersa in un fideismo religioso, assoluto e difficile da scardinare, che si esprimeva soprattutto verso tutto ciò che lei riteneva “mondanità”. In un paio di occasioni fece cenno a suo marito che le insegnava certi principi e glieli inculcava quasi a forza. Capii che era l’anello debole.
Una mattina che ancora si discuteva e lei citava i principi inderogabili di suo marito, aprii il telefonino, selezionai le immagini che avevo catturato alla festa e chiesi se era lui quello con le mani sul culo e tra le tette di una donna e se era ancora lui che la baciava appassionatamente. Rimase di sasso e cercò di giustificarlo dicendo che non era vero, che era tuta una montatura ordita da chissà chi. “Allora sarei un bugiardo che vuole ingannarti?” “Che c’entri tu?” “Ho scattato io la foto e so perfettamente chi è la signora.” Mi guardò stupefatta. Zoomai sul viso di Nunzia e le chiesi, per favore, di far vedere quel volto alle colleghe, senza lasciar trapelare altro. Uscì dall’ufficio e rientrò poco dopo con gli occhi pieni di lacrime. Le passai un fazzolettino. Mi guardò con pena “Tua moglie e mio marito ….?” “Già!!!! Hai bisogno di piangere?” “E tu?” “Ho voglia di abbracciarti. “Anch’io … “ La presi in vita e la strinsi a me:sentii che sotto il fagotto degli abiti dozzinali si celava un corpo giovane, tonico, forte,con due tette prorompenti, un ventre asciutto e due gambe statuarie. Ebbi un raptus sessuale che a stento riuscii a controllare: non mi sembrava ancora il momento di farle sentire il sesso;ma fu lei a spingere contro di me il bacino fino a che il pube urtò il mio e a quel punto non c’era scampo: la bestia si svegliò di colpo e la urtò sul ventre. “Oddio, che hai là?” “Quello che hanno tutti gli uomini.” “Non mio marito … “ “Come????” Fece cenno con un dito. “Forse un poco di più; non questa bestia, però.”
Per poco le coronarie non mi saltavano: Nunzia aveva distrutto il nostro matrimonio per dare la caccia a un cazzetto come quello del maritino ipodotato che non poteva aver dimenticato! Cose da non credere e certamente tutte da ridere! Accarezzai Francesca sul viso e lei appoggiò la testa sulla spalla. “Sai … non ho detto mai niente perché lui mi accusava di peccare; ma io da sempre sono affascinata da te e, in qualche modo, anche attratta in quel senso, sai in quella direzione, si insomma sessualmente e spesso, quando lo facevo con lui, sognavo di farlo con te; ma mai avrei pensato a qualcosa di così … tanto!” “E, adesso che sai, cosa penseresti, se ti chiedessi di farlo sul serio?” “Non lo so, fammici pensare; troppe botte in una sola volta!”Le cose si erano messe assai meglio di quanto potessi sperare. Da un lato, la furbata di usare le riprese non per incastrare i due ma solo per ottenere la fiducia di Francesca mi metteva in una posizione favorevole per una bella storia; dall’altro lato, la scoperta di una Francesca non solo più aperta di quanto si pensava ma addirittura affascinata (per non dire innamorata) di me, mi ringalluzziva molto. Infine, l’ipotesi di un week end (che ormai si avvicinava) da dedicare tutto alla conquista di Francesca era una sorta di torta con ciliegina di cui abbuffarsi. Solo una cosa rimaneva da fare. Feci chiamare l’altra segretaria una tipa peperina.
“Senti, Carla, la nostra Francesca è sicuramente elemento prezioso nel lavoro; ma tu stessa vedi che lascia un poco a desiderare per come si propone agli altri. In un ufficio come il nostro, anche sapersi proporre come immagine ha una sua importanza.” Le due si limitavano a fare di si con la testa, coscienti peraltro che dicevo cose scontate ma vere. “A me non interessa come ciascuna di voi si comporta a casa sua e in base a quali principi. Qui in ufficio è il caso di definire un certo standard, al quale mi pare che un po’ tutte corrispondiate e tu sembri in qualche modo esempio prototipo. Vorrei allora che tu accompagnassi Francesca nei negozi giusti e le acquistassi quello che può servire per corrispondere ad un certo look che ti invito a individuare. Il discorso vale solo per l’ufficio, naturalmente: uscendo, ciascuna può assumere i toni che vuole e non ci riguarda più; ma almeno nello stipetto dello spogliatoio di ciascuna ci deve essere il necessario per vestirsi adeguatamente durante le ore di lavoro o in quelle di rappresentanza anche all’esterno.”
“A cosa ti riferisci? Agli abiti, che so, gonne, pantaloni, camicette ecc.? O pensi più seriamente anche ad accessori come scarpe, calze, borse, intimo ecc.?” “Tu cosa suggerisci?” “Beh, se vengo con te fuori e devo dare dell’agenzia una buona impressione, allora devo essere impeccabile in tutto; e questo vale anche se devo accogliere ospiti in ufficio.” “Perfetto: vedo che ci siamo capiti. Cara Francesca, ti renderai conto che per te questa esigenza è primaria, come prima segretaria del dirigente. Quindi, adesso, tu e Carla farete un serio e severo shopping: non avere paura delle spese; se l’economato non accetta di caricarle sulle spese di rappresentanza, c’è sempre il mio badget privato per le emergenze sul quale nessuno può mettere lingua. Quindi, andate e fate un buon lavoro.” “Capo, ma se mi rendessi conto di avere anch’io bisogno di qualche rifinitura?” “Carla, da questo momento hai la mia piena fiducia e carta bianca.” “Capo, è vero che sei in rotta di collisione con tua moglie?” “Chi lo ha detto?” “Si parla di una caccia aperta alla successione … Ricordati che sono in lista e molto disponibile.” “Lo sai che, davanti a Francesca, parlare anche velatamente di certe cose è non solo peccato ma anche reato?” “Mi spiace per la sensibilità di Francesca; ma io ci dovevo provare e l’ho fatto. Tu comunque ricorda … “
Uscirono per alcune ore e, al rientro, Carla accompagnava una Francesca trasfigurata: dal brutto anatroccolo era emerso un cigno di straordinaria bellezza che non aveva più niente della persona che era uscita. “Che te ne pare?” Si pavoneggiò Carla obbligando Francesca a una piroetta per farsi ammirare: nel giro, la minigonna si sollevò e mi lasciò ammirare per un attimo le autoreggenti e il perizoma in tinta col reggiseno che si intuiva sotto la camicetta. Dovetti fare una faccia ben buffa perché Francesca mi svegliò con un buffetto sotto al metto e ironizzò. “Ti sei saziato la vista?” “Mai abbastanza, amore mio!” “Come?!” l’esclamazione fu unanime e contemporanea. “Che diamine, ho detto amore mio come direi cara mia o amica mia a chiunque. ”Va bene, facciamo finta di crederci. Peccato, però, perché con Francesca non c’è gara: e tutta troppa.” Mentre Carla bofonchiava, Francesca mi guardava con aria interrogativa. “Scusami, non mi sono trattenuto!” “Lo pensi davvero?” “Si, con tutto il cuore. Non me ne pento e non rinnego niente.” “Stai davvero per separarti da tua moglie?” “Tu che ne pensi, dopo quello che hai visto?” “Ma il divorzio è peccato; ed è un percorso difficile.” “Per il peccato, prova a fare il confronto adulterio - divorzio e poi fammi sapere. Per i tempi, noi siamo sposati solo civilmente; annullare quel certificato sarà una breve pratica amministrativa.” “Ed io?” “Amore, ormai è meglio uscire dalle ambiguità; amore, non ti chiedo niente che la tua coscienza non ti suggerisca. Fai esattamente quello che senti.” “Non posso.” “Perché?” “Ho vissuto una vita a dipendere da un uomo, prima mio padre poi mio marito; non so muovere nemmeno un passo, da sola. Io posso solo decidere di dipendere da te, come per questo abbigliamento. Se te la senti di essere il mio compagno, vero, convinto, deciso, io mando tutto al diavolo. Altrimenti, mi resta solo da continuare la vita fatta finora.” “Ti spiace se ne parliamo fra qualche giorno?” “Non mi dispiace … però …” Nel dirlo, mi si avvicinò muovendosi con eleganza sugli alti tacchi, mi abbracciò e mi baciò sulla bocca con enorme trasporto.
Gli ultimi giorni furono densi di agitazione per i vari cambiamenti e per l’imminente stage a Roma. L’esempio di Francesca aveva contagiato l’ufficio e tutti avevano preso sul serio l’impegno a presentarsi al lavoro in abbigliamento consono all’eleganza del prodotto che fornivamo. Francesca e poche altre ragazze, per motivi familiari, arrivavano in sede vestite con gli abiti “monacali” che le famiglie imponevano: negli spogliatoi, cambiavano l’abbigliamento che quelli che conservavano negli stipetti e si presentavano agli uffici - sportelli, casse, gabbiotti di lavoro o scrivanie - come modelli in attesa di sfilare. Qualche accenno di borbottio dalle alte sfere fu tacitato dall’impressione generale, che veniva riferita dalla stampa, ed innescò un’autentica promozione dell’idea per essere sempre più alla moda. Carla si sentiva al settimo cielo e si vantava di aver avviato la trasformazione; ed era sempre lei ad occuparsi quasi con ansia dei preparativi per il viaggio a Roma. In particolare, mi sottolineava che c’erano almeno tre ipotesi di percorso: partire il venerdì pomeriggio con il mezzo che si preferiva, per avere una serata romana in più; partire col treno il venerdì sera per essere sabato mattina a destinazione; partire in aereo il sabato mattina, all’alba, ed essere a Roma per le dieci.
“Quante persone partecipano?” “Dieci, con te e con Francesca.” “Dove e a che ora è il punto di ritrovo?” “Reception dell’hotel Hilton alle dieci e mezza di sabato.” “A che ora parte l’ultimo aereo utile?” “Alle sei di mattina.” “Perfetto. Ognuno per se e dio per tutti. Ciascuno si organizzi come vuole: aereo, treno, autobus, macchina, anche a piedi; tutto è valido; la ditta rimborsa ogni spesa di viaggio e paga anche il pernottamento del venerdì a chi voglia stare un giorno in più a Roma. Andate, divertitevi, se ci riuscite; ma soprattutto lavorate e producete.” “Grazie, capo, sei uno zucchero!” “Attenta al diabete, cara!” Uscita Carla, mi rivolsi a Francesca. “Cosa pensi di dire a tuo marito?” Mi guardò titubante. Insistei. “Amore, noi viaggiamo insieme, questo è certo. Come vuoi che ci organizziamo?” “Io voglio stare con te più tempo possibile!” “Quindi, da venerdì mattina a lunedì mattina! Cosa dirai a tuo marito?” “Che partirò venerdì mattina e tornerò lunedì pomeriggio, dopo l’orario di lavoro.” “Bravissima amore mio. Adesso ascolta cosa possiamo fare. Possiamo partire venerdì in aereo, stare un giorno a Roma da turisti, passare due gironi a lavorare e il lunedì mattino tornare in aereo.”
“Elio, diciamo prima un’altra cosa. Io questo fine settimana lo voglio passare a fare l’amore con te; anzi, voglio che in questo fine settimana mi insegni tutto quello che puoi sull’amore. Detto questo, organizza quello che ritieni giusto. Tu da ora sei il mio faro, il mio pilastro, il mio grande amore. Ti è tutto chiaro?” “Così chiaro che se non fosse aperta la porta dell’ufficio ti avrei già baciata; sta’ ferma e ascolta. Venerdì mattina veniamo in ufficio, ti cambi d’abito e scappiamo in macchina nella località che tu ritieni più bella e degna di due innamorati nell’ambito di, diciamo, cento chilometri; lì facciamo i fidanzatini di Peynet ammirando tutti i paesaggi e baciandoci ad ogni albero che troviamo. A mezzogiorno ti porto a pranzo nel locale più carino e intimo del posto, quello per soli innamorati; nel pomeriggio riprendiamo l’itinerario d’amore tra natura e baci. A sera ti porto a cena nel posto più suggestivo che sceglierai, poi finalmente andremo a celebrare il nostro amore.” “In un albergo?” “No, io pensavo di andare a casa mia.” “Casa tua?!? Ma non c’è tua moglie?” “Abbiamo stabilito zone separate, entrate separate e non interferenza. Io la prima volta vorrei amarti nel letto che prima o poi sarà nostro, nella casa che prima o poi andremo ad abitare. Ma se la cosa ti preoccupa, possiamo anche andare in un albergo.” “No, scusami, sono sconvolta.”
“Francesca, se non vuoi essere sconvolta, noi venerdì prendiamo un aereo sulle dieci, andiamo a Roma e occupiamo la camera al’Hilton; passiamo la giornata in giro per Roma che è comunque una città meravigliosa; andiamo a pranzo in un locale tipico, passeggiamo anche nel pomeriggio, ceniamo in hotel e andiamo a letto, pronti per la giornata lavorativa. Cambia solo la suggestione dei ragazzini che girano per un posto sconosciuto e fare l’amore nel letto nostro, almeno prossimamente. Decidi tu.” “Tra Roma e il nostro letto, scelgo senza esitazioni il nostro letto.” “Allora, comunica a tuo marito che sarai assente da venerdì mattina a lunedì sera e lascia fare al tempo.” Per tutta la giornata, vidi Francesca molto tesa; ma neanche io dovevo essere molto sereno, se Carla più volte mi chiese come stavo. Mentre manovravo per uscire dal parcheggio assegnatomi, mi si parò davanti e, senza profferir verbo, entrò in macchina dalla parte del passeggero. “Dove mi porti?” “Benedetta ragazza, cosa vuoi fare?” “Elio, non ci prendiamo per i fondelli. Finora eri intoccabile per Nunzia, ora ti stai vistosamente innamorando di Francesca; sarà un casino, sicuro, ma tu l’avrai perché anche lei ti vuole. Io voglio assaggiarti, almeno una volta. Non ti chiedo passione eterna, ma un poco d’amore, quello sufficiente per una bella serata di sesso e di coccole. Dove mi porti?” “A casa mia?” “Nella camera a fianco a quella dove sta scopando tua moglie? Siiiiiiiii: questa è vita. E mi farai urlare fino a che lei non si precipiti preoccupata che mi stai sgozzando?” “Questo non lo garantisco, ma mi impegno a darti tanto amore quanto ne cerchi.”
Prima di andare a casa, è opportuno però fermarsi a mangiare qualcosa: una trattoria simpatica sta proprio lì nei pressi; ci andammo e consumammo in fretta lei un’insalata e io una bistecca; poi ci precipitammo verso casa, quasi con una fregola irresistibile di scopare. “Perbacco, mi fai tornare in mente il tempo in cui per una scopata avrei capovolto il mondo!” “E tu cosa credi che possa provare io dopo che per anni ti ho ammirato e desiderato senza avere il coraggio di farmi avanti? Sono al settimo cielo e non vedo l’ora di farmi sbudellare con amore da te!” “Carla, non esagerare, l’amore non è mai violenza, se è fatto bene.” “E’ per questo che stravedo per te.” Fortunatamente eravamo arrivati, parcheggiai al posto riservato e salimmo insieme dalla porta di servizio. “Ingressi separati, eh?” “Si, tutto separato, ormai.” Entrammo nel salone e ci liberammo dei soprabiti; presi una bottiglia di cognac con due bicchieri e ci avviammo alla camera degli ospiti: il letto, naturalmente era disfatto, perché le disposizioni alla donna dei lavori le dava la mia ex moglie e naturalmente tendevano a danneggiarmi. Ne approfittai per telefonare alla signora e dirle a chiare lettere che se non avesse tenuto in ordine anche la mia parte di casa, il contratto lo strappavo; chiese scusa e promise che non avrebbe tenuto più conto delle malevolenze della signora. Carla sorrise e si sdraiò a bella posta sulle coperte arruffate.
Mi fiondai su di lei e la brincai con tanta voglia: dopo tanti anni trascorsi a contatto di gomito, per la prima volta mi resi conto della sua quinta di seno che sembrava esplodere ma si teneva compatta e soda, del suo culo alto e morbido, disegnato col compasso, del ventre asciutto e nervoso con un monte di venere assai pronunciato. Mi chinai a succhiarle i capezzoli, mentre goffamente cercavo di liberarla di maglietta e reggiseno: fortunatamente provvide lei e mi trovai libero di pascermi del suo corpo che mi apparve meraviglioso. Con un po’ di acrobazie, feci scivolare giù il pantalone e la liberai dei collant; presi poi le mutandine dal bordo superiore e le feci scendere lentamente verso il basso scoprendo a piccoli tratti la figa depilata, tranne per un piccolo tratto in cima, le grandi labbra superbamente esposte e le piccole racchiuse come un fiore: in mezzo vidi sbucare il clitoride gonfio e mi precipitai a succhiarlo e morderlo con foga inusitata. Sfilai via del tutto le mutandine e mi precipitai a leccare figa e culo in una sola passata; presa dal piacere della leccata, si girò sul letto e si pose gattoni innalzandomi verso il viso le natiche perfette, la fessura tra esse e lo spacco di culo e figa. Succhiai, leccai, morsi, accarezzai e penetrai con le dita in ogni dove.. “Mettilo dentro … per favore … mettilo dentro … chiavami, ti prego … chiavami.”Mi sollevai sulle ginocchia, puntai la cappella alla vulva e spinsi.
Per un attimo ebbi un dubbio. “Posso venire dentro?” “Si, non preoccuparti, prendo la pillola, ma scopami, con forza, scopami.” Cominciai a pomparla con forza e sentivo che l’utero soffriva ogni volta che la cappella colpiva il collo. “Sei certa che non ti faccio male?” “Picchia senza problema, non sai quanto mi stai facendo godere!” Invece lo sapevo, e me lo confermava l’abbondanza di umori che dalla vagina si scatenavano sulla mia asta. In un raptus di violenza, spinsi il ventre contro le natiche e sentii gli ilei che mi penetravano fino alla vescica mentre la cappella martirizzava letteralmente l’utero. “Siiiiiii … ecccooooooo … cosiiiiiiiiii …. Sto sborrando … vengo …. Vengo …. Amore, tieni, questo è tutto per te, goooooddoooooooooo.” Ero quasi spaventato dalla violenza dell’orgasmo. La scena era stata così violenta che non m’ero accorto dell’entrata di Nunzia che mi apparve all’improvviso alle spalle. “Cazzo, che grande scopata! Sei ancora in gamba. Eh? E chi è questa ragazzina, la tua ultima fiamma?” Carla si stava appena riprendendo dall’entusiasmo della sborrata. “Ehi, Nunzia, invecchi: neanche più riconosci le vecchie amiche!” “Carla? Tu qui? Proprio tu?!?!” “E perché? Chi ti aspettavi? La regina Elisabetta?” “No, scusa, non volevo offenderti; solo che non pensavo che una nullità come il mio ex marito avesse una donna così bella.” “Ti consiglio di armarti di pazienza, perché ne vedrai delle belle!” “Più belle di te?” “Più belle, più nuove, forse perfino più fresche!”
Guardai Carla con occhio torvo e finalmente capì che doveva stare zitta. Nunzia tentò di tornare ancora sull’argomento. “Perché esistono ancora le vergini?” Intervenni seccato. “Si; se esistono mariti impotenti, anche le mogli possono essere vergini. O hai dimenticato aaammmmooooorrrreeeee mio?” “Touchè” ammise e si ritirò. Io e Carla ci sedemmo tutti nudi al tavolino ed io versai del cognac nei due bicchieri. A quel punto si presentò ancora Nunzia tutta nuda e con un bicchiere in mano. “C’è del cognac anche per me?” Gliene versai. “E una scopatina?” Provocò. “Carla, cosa mi hai chiesto prima di venire qui?” “Amore, anche solo per una serata.” “Ti è bastato quello che hai avuto?” “Oddio, ce n’era; ma se ce ne fosse ancora un poco, ho ancora una bocca e un culo da offrire al tuo amore.” “Ok. Allora diciamo che le funzioni possono essere anche diversificate: chi vuole scopare, si accomodi: il mio cazzo non si rifiuta. Però, quello che io do è amore: Carla, prenditi l’amore che preferisci; lascia le scopate a chi ne ha bisogno.”
“Leccami!” mi impose Carla, mentre mi stendeva supino e si piazzava con la figa sul mio viso; presi a leccarla con devozione, come un cagnolino affamato, in tutte le pieghe del culo, su tutte le superfici delle grandi labbra, nel canale vaginale e su tutto insieme, dall’ano al clitoride sul quale mi fermavo insistendo a succhiare. Intanto Nunzia era salita a cavallo del mio cazzo e si era impalata col viso rivolto ai miei piedi: conosceva benissimo il mio cazzo, e l’aveva frequentato fino a pochi giorni prima, per cui cercava il contatto con gli anelli e coi tessuti interni del canale vaginale, con le superfici delle piccole labbra e soprattutto con il clitoride, quasi non le bastasse mai. Carla nel suo movimento per farsi succhiare mi strofinò sul mento il clitoride così a lungo che esplose in un nuovo irrefrenabile orgasmo accompagnato da un urlo disumano che quasi spaventò Nunzia. “Ma cosa cazzo le fai a questa qui, che urla come la scannassero; e perché io non riesco a sborrare?” “Non lo so, forse hai perso l’abitudine a scopare con un arnese decente.” “Dai, fammi almeno sborrare una volta, per favore!” Carla la guardò impietrita. “Dai, visto che sembra proprio averne bisogno, tanto da chiedertelo per favore, dalle una botta bella giusta così ci lascia liberi di amarci.”
Ribaltai Nunzia e la scopai per qualche minuto finché scaricò un immenso orgasmo chissà da quanto rinviato. Poi lei si allontanò e ci lasciò in pace; continuai a fare l’amore con Carla quasi fino all’alba e lei volle passare in rassegna tutte le sue abilità, dalla sega al pompino, dalla spagnola all’inculata selvaggia. Quando ci accorgemmo che ci restavano poche ore per recuperare un minimo di sonno, decisi che non era possibile dormire in due nel lettino degli ospiti in cui mi ero ridotto e l’accompagnai a casa. Nel viaggio di ritorno, Carla mi fece notare che, da varie confidenze, risultava vero che Francesca era praticamente vergine e che avrei avuto un bel da fare per svezzarla da quello stato: l’unica raccomandazione che mi fece mi apparve dolce, perfino patetica. “E’ una donna fragile e delicata; tu, in confronto, sei una bestia; ma posso testimoniare che sai essere di una dolcezza infinita. Usala tutta, con lei, non la sciupare. Fa’ che cresca mantenendo l’integrità che ne fa una persona rara.” La ringraziai baciandola sugli occhi mentre scendeva dalla macchina. Tornato a casa, riuscii finalmente a riposarmi qualche ora, dopo aver tenacemente evitato nuovi accesi assalti di Nunzia evidentemente in crisi di astinenza da sesso vero.
L’indomani mattina ebbi la conferma che il gioco era fatto, quando lessi il messaggio di Romualdo che avvertiva Nunzia che Francesca sarebbe partita il venerdì mattina e tornata il lunedì sera, per cui avevano quattro giorni tutti per loro. Immediatamente avvertii Francesca che era confermata l’ipotesi di casa mia e che si preoccupasse delle prenotazioni per tutto e, se voleva, anche per pranzo e cena, a mio nome, nella località che aveva deciso. Quando Carla venne a chiedermi conto delle prenotazioni, mi limitai a guardarla con un sorriso di gioia, quello di un gatto che ha mangiato un grosso topo. Mi studiò per un poco; era troppo intelligente per non arrivarci. ”Perdio, anziché partire venerdì per Roma, te ne vai sul lago con Francesca e ci passi tutta la giornata da innamorati; la mattina seguente prendete l’aereo e alle dieci puntuali come un orologio sei sul posto di lavoro! Questo si chiama essere un genio. Scusa, ma manca la prenotazione dell’hotel per venerdì notte; dove la porti?” Io continuavo a guardarla con lo stesso sorriso ebete. “No!!!!! Non ci credo!!!!!! Non è possibile!!!!!!!! Non ci si può credere!!!!! A casa tua? Te la porti a casa tua, nella camera accanto a quella di tua moglie?” Il mio sorriso diventò ancora più ebete. “Dio mio, che altro ancora? Lei sarà con un altro, è chiaro! No, aspetta, lei sarà col mezzo impotente che non la soddisfa …. Dio, Dio, Noooooooooooooo lei starà col marito di Francesca!!!!!” “Shhhhhh non dire certe cose!!!!!” “Ti odio! … o forse ti amo … chissà!”
Carla non è una che si ferma; poco dopo Francesca si lamenta con me di alcune domande strane che Carla le ha rivolto. “Per esempio?” “Per esempio, ha voluto sapere come stava a dotazione Romualdo.” “E tu?” “Le ho detto la verità. Ho fatto male?” “Beh, se avesse chiesto di me e tu le avessi detto quello che sai (ma in realtà non sai niente), non mi avrebbe fatto piacere. Comunque, forse voleva solo sapere se merita interesse quando tu lo lascerai.” “Ma è tanto importante la dimensione del sesso nei rapporti umani?” “Vogliamo riparlarne tra qualche tempo, quando avrai maggiore dimestichezza con questi problemi?” “Va bene, però volevo anche avvertirti che Carla, per competenza d’ufficio, sta spulciando tutte le voci di spesa e quindi sa tutto di noi.” “Lo so; e Carla è anche una che per giustificare la nostra vacanza si inventa un incontro di lavoro al lago; e ricordati che, nonostante le apparenze, merita fiducia e ti vuole bene, anzi forse ci vuole bene. Stai serena.”
Avendo ormai deciso che Francesca sarebbe venuta a vivere con me, di ritorno da Roma, le consigliai di fare un fagotto delle poche cose veramente importanti che aveva a casa del marito e di portarsele in ufficio, dove io disponevo di una cassaforte personale. Mi sembrò alquanto esitante, poi ne parlò con Carla che la incitò a farlo immediatamente, perché cominciava per lei una nuova vita; si fidò, alla fine, e portò un pacchetto nella cassaforte del mio ufficio. E venne finalmente il venerdì mattina. Francesca si presentò in ufficio regolarmente e si recò negli spogliatoi per cambiarsi; lì trovò Carla che la fermò e le indicò alcuni pacchi, dai quali sbucarono un fresco abito primaverile di seta con un elegante scialle e un soprabito leggero, autoreggenti e stivaletti, un minitanga e un reggiseno coordinato: Francesca capì che avevo chiesto a Carla di dotarla di vestiti adatti ad una giornata d’amore, ringraziò e abbracciò l’amica, che le fece tanti auguri e si terse una lacrima. “Sei una persona bellissima e meriti tanta felicità: io spero che la tua cominci da qui.” “Anche solo un inizio così, con un’amica che scopro dopo averla sfiorata per anni, è già felicità.” Si abbracciarono tra la meraviglia di tutte. Appena pronta, mi raggiunse alla macchina e, insalutati ospiti, scappammo via. Prima di uscire dalla città, volli soddisfare una mia curiosità e passai da casa mia; immediatamente Francesca riconobbe l’auto di suo marito parcheggiata nel mio box.
“Come vedi, non siamo i soli ad aver deciso una vacanza d’amore!” “Posso dirti una cosa senza rischiare un incidente?” “Di’ pure!” “Ti amo.” Inchiodai l’auto, mi girai, l’abbracciai e la baciai a lungo, incurante del traffico. “Ti amo, ti adoro, ti voglio, voglio vivere con te, devi essere mia, spaccherò il mondo per averti, mi riduco in miseria, mi scontro con tutti i tribunali del mondo; tu devi essere la mia compagna. TI AMOOOOOOOOOOOOOO” “Matto, adesso pensa a guidare. Oggi sarò tua, completamente, profondamente tua. Ma adesso andiamo a viverci il nostro breve ed intenso amore ragazzino.” Il ristorante era una edifico a strapiombo sul lago, circondato da un bosco fresco e tenero, ricco di sentieri che si perdevano nel verde; lo percorremmo a lungo, fermandoci a baciarci ad ogni piccola radura; ed ogni bacio era un passo verso la conoscenza reciproca: la baciavo in fronte, lungo il viso, sulle guance, sugli occhi, sul naso sul mento e scoprivo il piacere sensuale della sua pelle, del suo odore, del suo sapore; quando giunsi sulle labbra e le forzai delicatamente, la sentii aprirsi come un fiore timido e impacciato, ma in un attimo le scattò il desiderio di combattere con la lingua battaglie di saliva per succhiarci e berci continuamente; quando affondai il viso nell’apertura del vestito, nel varco tra i seni, la sentii rabbrividire e ritrarsi per un attimo; poi si offrì spontaneamente e quando le succhiai un capezzolo diventò improvvisamente languida, le ginocchia le si piegarono e dovetti sostenerla nel suo primo, intenso, piccolo orgasmo. Di colpo parve cedere del tutto e mi lasciò fare. Ma mi fermai.
Feci scivolare una mano lungo il fianco ad accarezzarle la coscia e presi la mano che teneva abbandonata in grembo; la portai delicatamente sulla patta e le feci accarezzare la verga in tutta la sua lunghezza; sentii che tendeva a stringerla di tanto in tanto e la lasciai fare. “Sai, mi piace infinitamente sentirmi accarezzato. Ti va se lo faccio anch’io?” Abbassò gli occhi ed io accostai la mano all’inguine: vibrò come per una scossa elettrica; gemette, mi guardo e sussurrò.”Mi da piacere, tanto piacere. Ti amo” “Ti amo anch’io.” La strinsi a me con forza e sentivo che aderiva con ogni fibra del corpo. “Quando faremo l’amore sarà tutto così?” “Di più, molto, molto, molto di più; qui stiamo amandoci da ragazzini; poi ci ameremo da adulti e sarà tutto molto più grande, molto più bello, molto più importante.” “Non vedo l’ora di fare l’amore con te.” Pranzammo senza renderci conto di quel che contenevano i piatti, che erano deliziosi; passammo il pomeriggio a girovagare tra gli alberi baciandoci in continuazione e continuando a scoprire i nostri corpi (Francesca, soprattutto, che ignorava moltissimo) finché decisi che potevamo anche andare a casa direttamente. Parcheggiai al mio box perché l’altra macchina si era allontanata.
Entrammo dal retro, presi dal salone la solita bottiglia di cognac e due bicchieri e ci andammo ad imboscare nella stanza degli ospiti, stavolta chiudendo accuratamente la porta alle nostre spalle. La stanza ora era perfettamente in ordine e il letto appariva anche più comodo, Per la seconda volta mi trovavo di fronte ad una semivergine ed ero alquanto emozionato, perché per di più c’era di mezzo il grande amore che provavo. Spogliai delicatamente Francesca e lei, dapprima imbarazzata, poi prese coraggio e decise di fare altrettanto con me. Mentre facevamo scivolare via i vestiti, ci fermavamo a baciare, a leccare, a succhiare, a mordere tutto quello che emergeva e che ci appariva come nuovo, dai tratti del viso alla pienezza dei seni, dalla pelle tesa e candida del ventre all’ombelico strano e profondo fino al monte di venere; percorsi il suo corpo con un’infinità di baci e godevo a sentirla vibrare, eccitarsi ed avere piccoli e continui orgasmi. Quando le sfilai insieme il minitanga e le calze, mi apparve la figa ricoperta di un morbido pelo: mi ci lanciai golosamente con la bocca e cominciai a succhiarla come fosse l’ultima speranza della mia vita e la mia lingua la penetrò in ogni angolo, in ogni anfratto. Ogni tanto la sentivo ritrarsi, quando la lingua toccava punti “sporchi” come il foro uretrale e l’interno dell’ano; quando però vedeva la mia decisa insistenza, si lasciava andare e si spalancava naturalmente. Non so quante volte le sentii gemere per i piccoli orgasmi che soffocava.
Quando le succhiai quasi con ferocia il clitoride, si abbandonò ad un urlo immenso, che si sentì probabilmente dalla piazza. Mentre le tenevo la figa a mano piena quasi per rallentare il consumo dell’orgasmo, le sussurrai. “Finalmente ti ho sentito godere!” “Non è vergognoso?” “E’ vergognoso nascondere le emozioni, i sentimenti; non lo è invece lasciarsi andare e comunicarli al mondo!” Mi baciò con affetto. “Cosa posso fare, io, per darti piacere come hai fatto tu?” “Solo quello che ti dettano il cuore, la testa e la figa!” Mi spinse giù definitivamente pantaloni e boxer e si fermò incantata a guardare il cazzo ancora appoggiato sul ventre; lo toccò con esitante delicatezza e lo senti vibrare mentre si inastava ancora di più. “Guarda che non morde!” Scherzai. “Ma mi fa quasi paura.” “Perché ancora non sai di quanto piacere è capace!” Sembrò farsi ardita e appoggiò delicatamente le labbra alla cappella; istintivamente mi mossi e spinsi dentro la bocca. “Se ti va, puoi leccarlo, baciarlo, succhiarlo, fartelo entrare in bocca, insomma giocarci come un meraviglioso strumento d’amore.” Capì al volo e dopo pochi attimi la sua lingua caracollava intorno alla mia bestia con amore evidente; una sua mano era scesa fra le cosce a cercare la figa da masturbare e dalla bocca piena emergevano continuamente mugugni e gemiti che segnalavano piacere e piccoli orgasmi. La aiutai spingendo su e giù l’asta lungo la gola fino al limite possibile e in breve mi stava facendo il pompino più celestiale che avessi mai ricevuto.
La fermai, spiegandole che, mentre lei poteva godere spesso ed avere molti orgasmi, le mie eiaculazioni potevano essere al massimo una o due, per cui era meglio che mi frenassi, se volevo fare tanto amore prima di concludere; si fermò e si stese sopra di me; manovrando con agilità, la ribaltai e la stesi supina sul letto, mi sistemai fra le sue ginocchia e le allargai le gambe. Le chiesi se prendeva precauzioni, ma ovviamente rispose di no, perché era considerato peccato; le chiesi se il marito le veniva dentro, abitualmente, e mi disse che si, cercava di farlo ma molto andava perduto (per un problema di dimensione, a
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