Il commendatore, nudo, sedeva alla sponda del letto ed io, inginocchiata davanti al suo idolo, lo smanettavo, lo leccavo, lo succhiavo per farlo inturgidire al massimo. “Basta” - disse ad un tratto. Lo lasciai ben insalivato, mi alzai, mi girai e mi piegai in avanti a cosce divaricate, poggiando le mani sulle ginocchia, con il culo davanti alla sua faccia. In precedenza, mi aveva fatto una peretta di lubrificante e aveva otturato il buchetto con un plug. Lo estrasse lentamente e mi attrasse sul suo obelisco. Passai una mano fra le cosce, lo guidai verso il buchetto e lentamente scesi. Avvertii un insolito fastidio, come un crampo, l’irrigidirsi di qualcosa. A metà discesa risalii. Mi sistemai meglio e ridiscesi. Ora era un dolore sordo, inspiegabile visto il traffico che da anni interessava il mio ano. Risalii ancora con un gemito. “Cosa hai?” - mi chiese. Non attese risposta, mi afferrò per i fianchi e mi tirò giù fimo ai coglioni. Urlai e tentai di risalire. Questa volta fu lui ad urlare. Urlò ancora quando tentai una seconda risalita. “Cazzo!” - esclamò - “sono rimasto incastrato!”.
Mi passarono alla mente episodi letti da qualche parte: amanti incastrati caricati in ambulanza. Sconcerto e ilarità al pronto soccorso. File alle ricevitorie del Lotto per giocare 16, il culo; 29, il cazzo; 60, l’incastro. Scoppia a piangere. Ma perché non si ammoscia e esce da solo? Non avevamo risposta. Lui riuscì a raggiungere il cellulare sul comodino. Compose un numero. Quando ebbe risposta ansimò: “Pronto, dottore… La prego, venga subito a casa… Stavo inculando una signora e sono rimasto incastrato!...”. Non seppi mai quale fu la risposta. Nell’attesa, ogni tentativo di disincastro risultò vano, ottenendo soltanto gemiti di dolore. Quando bussarono alla porta, il commendatore compose ancora il numero del medico: “Dottore è lei alla porta?... Attenda, cerchiamo di venire ad aprire!...”. Barcollammo verso l’ingresso a quattro gambe, nudi come vermi, attaccati e doloranti, con lui che mi stringeva per non farsi strappare. Aprimmo. Il ritorno verso la camera da letto fu ancora più penoso, seguiti dal dottore.
Con qualche difficoltà, ci fece sdraiare su un fianco. Dalla vergogna mi coprivo il viso con le mani, tuttavia sbirciai fra le dita e lo guardai. Era un quarantenne e mi ispirò fiducia. “Si tratta di una contrazione involontaria del muscolo elevatore dell’ano che crea una sorta di ‘strangolamento’ del pene” - disse in tono professionale - “Si potrebbe mettere del ghiaccio sul pene per creare un effetto vasocostrittore e farne diminuire il volume… Ma non mi pare ci sia lo spazio sufficiente” - aggiunse scostando una mia natica per osservare l’evento - “e sì: qui rimangono fuori solo i coglioni, mente l’ano trattiene tutto il pene… In alternativa, bisogna far rilassare la signora con un massaggio adeguato” - concluse. Si tolse la giacca, salì sul letto dalla mia parte e mi divaricò le cosce. Mi vergognavo da morire, avevo sempre le mani sul viso e singhiozzavo. Sentii un dito, che immaginai fosse l’indice, frugare nel boschetto di peli fino a trovare la fessura e entrare. Poi un altro, che doveva essere il pollice, roteare sul clitoride. Mi accorsi che mi stavo bagnando. Anche lo scienziato in medicina se ne accorse e infilò un secondo dito, che doveva essere il medio. Non piangevo più: ansimavo, prima piano, poi sempre più forte. Ad un tratto la testa del dottore si fece spazio fra le mie cosce. Il posto del pollice sul clitoride fu preso dalla sua bocca. Lo leccava, lo succhiava facendogli inturgidire la capocchietta. A tratti la lingua si intrufolava raggiungendo le dita che si piegavano e distendevano ritmicamente, roteavano e a volte quasi uscivano per poi rientrare. Non so se mi stimolavano il punto G o l’F o il K, so solo che era una pratica estremamente goduriosa. Avevo le dita dei piedi rattrappite, quelle delle mani che stringevano lembi di lenzuola, i capezzoli inturgiditi, la schiena tesa. Poi sentii l’orgasmo partire e galoppare verso il cervello e venni, venni, venni. Fu la quiete dopo la tempesta: dita e schiena si rilassarono, i capezzoli si acquietarono, il muscolo elevatore dell’anno si decontrasse e, con uno schiocco come di tappo di spumante, il commendatore fu libero e si rotolò supino con un guaito. Anch’io mi rotolai rimanendo a cosce aperte, rilassata e felice, soltanto con un leggero bruciore alla rosellina posteriore.
Ma la cura che tanto mi aveva giovato aveva avuto l’effetto opposto sul dottore, che sfoderò un membro teso allo spasimo. Era un cazzo né grosso né piccolo, né lungo né corto: nella media, che come mi aveva insegnato l’esperienza sono i migliori per far godere la femminucce. Lo portò all’altezza del mio viso. Lo presi in bocca. Aveva la capocchia setosa e morbida come un fragolone. La contenevo bene fra lingua e palato e potevo rotearci intorno gustandone il sapore. A tratti scendevo lungo l’asta, per poi risalire e imboccarlo di nuovo, slimguettando e succhiando. Nel corso di una delle discese lungo il tronco lo sentii irrigidirsi. Recuperai subito il fragolone e attesi smanettandolo. Sborrò. Si trattava di una cremina densa e vellutata, dolce e solo in retrogusto leggermente salata, a dimostrazione che il dottore fosse un salutista, non come il commendatore che fumava e mangiava schifezze per cui la sborra era acida e un po’ puzzolente. Leccai e ingoiai tutto e quando lo lasciai era pulito e tirato a lucido. Rinfoderò l’attrezzo e mentre indossava la giacca si accostò al commendatore. Il poveretto aveva l’obelisco visibilmente danneggiato: era paonazzo in cima, gonfio e come piegato nel mezzo. “Ci metta del ghiaccio” - disse il luminare - “e lo affidi alle coccole della signora, che saprà come rianimarlo e riportarlo in tiro”. “Grazie, dottore” - disse il commendatore - “mi faccia avere la parcella per il suo disturbo”.
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