Il vento si mostrava con cattiveria, infrangendosi su tutto il mio viso. Come una lama, s'abbatteva in diagonale su tutto il mio volto, rendendo le mie guance rosse e doloranti dal freddo. Cercai di ripararmi portando l'ombrello nella stessa direzione della fredda raffica.
L'aria divenne gelida e la corrente indomabile; la nebbia, fitta, mi copriva la visuale. Impossibilitata a proseguire per la mia strada, mi infilai nell'androne di un palazzo, cercando riparo dalla tempesta che impediva il mio ritorno.
Guardai, con interesse, quelle mura fatiscenti che sfoggiavano affreschi di una particolare sensibilità e bellezza; se pur scoloriti dal tempo, avevano rapito tutti i sentimenti di coloro che li avevano osservati, ed ora li trasmettevano in tutta la loro possanza. Proprio davanti a me, v'era una piccola tromba di scale, composta da blocchi di marmo decadenti e crepati.
Mentre, affogando in un sentimento puerile, riflettevo sul motivo per la quale, quel posto, fosse così abbandonato, sentii scendere giù dalla rampa delle scale una triste musica suonata al pianoforte.
Il mio cuore, quasi colpito dalle note di quella sonata, cominciò a rimbombare nel mio petto. Un senso di malinconia, piombò sulle mie spalle quando riconobbi le note di quella composizione. Era senz'altro Gimnopedia n°1 di Erik Satie, tuttavia era suonata con note più fredde e angoscianti sulla base di un piano scordato. Incuriosita e attratta da quel triste lamento, mi avvicinai alle scale cominciando a salire lentamente. Salendo la prima rampa di scale, mi accorsi che la seconda non era munita di ringhiera quindi, con estrema attenzione, mi accinsi a percorrerla. Con grande stupore, mi portò davanti ad una porta dall'estetica barocca, ma per metà scardinata.
Portai il capo all'interno di quella stanza e chiesi il permesso d'entrare, ma non ebbi risposta. Presa dalle note, che udivo meglio, mi feci spazio tra quelle porte cadenti e entrai guardandomi intorno.
Le mura erano tappezzate da grossi e decadenti dipinti d'epoca rinascimentale, le pareti avevano un colore giallastro ormai smorto col tempo; dei ghirigori, di qualche tonalità più scuri, ornavano quella che un tempo era una pittura di colore oro. Vedendo lo stato di quella casa, fui ancora più curiosa di sapere chi, celandosi tra le rovine, creava quella musica così malinconica.
Facendomi strada tra le macerie di quelle che apparivano come Veneri distrutte anch'esse dal tempo, arrivai davanti ad una porta scorrevole, ornata da una vetrata gotica. Da quei vetri traspariva, deformata, una figura seduta di spalle. Appoggiai l'orecchio sulla porta e, chiudendo gli occhi, cominciai a godermi a pieno quella sonata che andava avanti imperterrita, come fosse infinita.
Presi coraggio e trascinai la porta a lato, fino a spalancarla. Rimasi colpita dalla vitalità che possedeva quella stanza; mentre tutte le altre erano fatiscenti o sfregiate dal tempo, quella stanza era piena di vita e d'estetica. Era ornata con bellissime opere d'arte e il colore oro delle pareti era più vivido che mai. Il soffitto era contornato da un grosso lampadario di cristallo, e sotto di esso, v'era una ragazza di giovane età, completamente nuda, dai lunghi e sottili capelli dorati che, con estrema delicatezza, accarezzava le note di quel piano che ora appariva pieno di vita.
Mi feci avanti con passo molto lento, e quando fui vicino alla misteriosa pianista, quasi incoscientemente, mi inginocchiai vicino al suo sedile e poggiai testa e braccia tra il suo ventre e le sue cosce.
Chiusi gli occhi, mentre sentivo sotto le mie guance i muscoli delle sue gambe contorcersi ogni volta che premeva i pedali di quel pianoforte a coda.
Le note continuavano a scorrere, ma con molta più vitalità di quello che sembravano inizialmente; non c'era più malinconia. Ascoltai quella musica estremamente rilassante mentre, le sue mani si poggiarono sul mio viso cominciando ad accarezzarmi il volto e a scostarmi i capelli che erano piantati davanti alla mia faccia.
Presa da un'impeto incontrollabile, mi sollevai fino a rimettermi in piedi e, quando fui dietro di lei, cominciai a baciarle la nuca e la schiena.
Catturata da un'inspiegabile voglia, mi diressi verso una poltrona di colore rosso, anch'essa di stile barocco. Spogliatami dei miei abiti che, ormai, cominciavano a diventare troppo pesanti, mi stesi su quel divano mentre, accarezzavo delicatamente il mio corpo con la stessa leggerezza con la quale quel piano suonava. Mentre le note accompagnavano i miei movimenti, cominciai, incomprensibilmente, a masturbare il mio sesso. Con molta delicatezza e con gli occhi chiusi, accarezzavo il mio inguine con la punta delle dita.
Improvvisamente, sentii le sue piccole e dolci mani sfiorare il mio corpo e i miei seni, ma misteriosamente quel piano continuava a suonare. Ignorando del tutto la razionalità, tenni gli occhi chiusi mentre, potevo sentire il tocco della sua lingua sul mio ventre che, percorrendolo, stava per arrivare alla mia vulva.
Allargai piano le gambe, sospirando delicatamente quando, con grande piacere, percepii la sua lingua sul mio clitoride. Sommersa dal piacere delle note e accarezzata da quello della sua lingua, gemevo leggermente. Quando ebbe finito di allietarmi con la sua lingua, intrecciò le sue gambe alle mie e, tenendo uno dei miei polpacci sulla sua piccola spalla, cominciò a strofinarsi alla mia vulva con grande fervore.
Piegandosi in avanti, strusciava il suo sesso contro il mio, baciandomi con grande passione. Muovendosi sinuosamente tra le mie cosce, percepivo il grande piacere con la quale lei impattava il mio clitoride contro il suo. Presto, rapita dall'immenso piacere che mi regalava il connubio di musica e passione, mi lasciai andare venendo tra le sue cosce.
Quando, mossa dai sentimenti, mi sollevai per baciarla, fui scaraventata in una profonda malinconia. Aprendo gli occhi, mi accorsi che non v'era più niente di tutto quello che avevo visto poco prima. Ciò che si palesò dinanzi a me, erano solo pareti sbiadite e crepate. Il lampadario, in tanti pezzi, giaceva al suolo al centro della stanza.
Nuda, mi sollevai da quel divano dai colori morti e dai grossi buchi che arredavano la sua tappezzeria. Mi avvicinai a quel piano e, guardandolo, mi accorsi che alcuni dei suoi tasti erano saltati. Provai a suonare una nota e, oltre alla polvere, quello che uscì fu solo uno straziante lamento che, della nota soave, non aveva più niente.
Guardai la porta scorrevole, era macchiata dal tempo e quella brillante vetrata gotica, era solo un ricordo che, anch'essa in pezzi, si posava sul pavimento.
Dalla finestra caduta che v'era poco dopo il piano, scorsi l'indomabile tempesta che ancora si accaniva sugli umani che, impauriti si erano ritirati, come topi in cerca di pace.
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Aggiunto: 5 anni fa
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Lesbo
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