Con movimenti spasmodici, strofinavo il mio viso contro la stoffa del mio cuscino, cercando di trarre conforto dal sonno che non arrivava mai.
Sollevai il capo e guardai l'orologio affisso alla parete proprio sopra le spalliere del letto: «Sono già le tre» Pensai tra me e me stupita da tutte le ore che avevo trascorso a contemplare il mio guanciale senza prender sonno.
Provai a socchiudere gli occhi e fui tempestata da tumultuose immagini di morte e disperazione. Come aghi appuntiti si frastagliavano nella mia mente facendomi corrucciare il viso.
Presa da un inspiegabile panico, spalancai gli occhi. Un fitto buio si palesò dinanzi alle mie pupille in tutta la sua possanza, non vedevo altro. Affondando le mani in quello che era il mio letto, toccai ciò che al tatto sembrò terriccio vischioso che, con grande fastidio, mi si attaccò alle punte delle dita.
Mi misi in piedi e, con le mani tese in avanti, cominciai a camminare con passi incerti in quell'immenso buio. Sentivo i miei piedi affondare in quel fangoso terriccio e un freddo ricoprì tutto il mio corpo.
Coperta di gelo, mi strinsi nelle spalle portando le mie braccia in posizione conserte, quasi a protezione dal vento che si infrangeva sul mio corpo.
Mi accorsi di non avere più i miei abiti e confusa e impaurita continuavo a camminare verso una meta sconosciuta.
Il mio meccanico passeggiare, fu interrotto da una presenza che, camminando dietro di me, si fermò alle mie spalle posando una mano su di esse.
Lentamente lasciai cadere le mani lungo i fianchi e fui presa per mano da quell'essere che potevo solo sentire, ma non vedere. La sua mano era grossa, almeno il doppio della mia, con una pesante stretta fasciava completamente le mie falangi. Quando decisi di portare il pollice sul dorso della sua mano, fui distratta da una folta peluria che accarezzai con la punta del mio dito.
Egli strinse ancor di più la mia mano e cominciò a trascinarmi con lui verso una precisa direzione. Ad ogni suo passo la fangosa melma che v'era sotto i miei piedi tremava, quasi come avesse paura di esser pestata da quell'essere. Vidi uno squarcio di luce; una fessura di luce soffusa dalla quale proveniva un tanfo di morte. Spaventata, arrestai il mio cammino puntando i piedi in terra. Quel raggio di luce ora colpiva me e il mio accompagnatore illuminandoci parte del viso. Lo guardai e quando si voltò sobbalzai. Il suo volto, completamente ricoperto di fitta peluria, aveva le sembianze di un capro umanoide. Sollevando una delle sue grosse mani, fece schiudere quella fessura davanti ai nostri volti che si rivelò essere una gigantesca porta.
Mi trascino in avanti, fino a farmi entrare in quella sala che si schiuse ai nostri occhi. Le pareti erano ricoperte di quello che sembrava pulsante tessuto organico. Ai lati della porta, v'erano due figure maschili, dalle sembianze umane se pur alate, con corpi perfettamente scolpiti e, pur essendoci una particolare afa in quella sala, completamente asciutti.
Lasciandomi il gelo alle spalle, ciò che si palesò davanti ai miei occhi, quando ebbi focalizzato la bizzarra situazione nella quale mi ero ritrovata, era ben peggio dell'aspettative.
Rivolsi lo sguardo all'alto soffitto, v'erano corpi pendenti incatenati ad esso per i polsi. Donne e Uomini ridotti pelle e ossa, affissi come lamentosi trofei.
Chiusi gli occhi nella speranza che nel riaprirli quel cupo teatrino fosse terminato, non fu così.
Poste ai lati della stanza, c'erano due incavi nel terreno, a prima vista apparivano come torbide piscine fumanti ripiene di densi liquidi di colori differenti.
Guardai lo strano rituale con la quale, sulla sinistra, corpi emaciati e scarni, attendevano meticolosamente in fila per immergersi in quel liquido di colore rossastro per poi sparire nel nulla. Mentre, all'inverso, sul lato opposto, da un chiaro liquido di color arancio, simile a lava, fuoriuscivano vigorosi corpi nudi.
Al centro della sala, v'era quello che sembrava un grosso tappeto di velluto nero, e su di esso, più o meno umani, si intrecciavano in un'amabile orgia composta da strane figure dalle sembianze animalesche. Dinanzi a loro, posto ad osservare il lussurioso spettacolo, v'era un'essere che a prima vista sembrava del tutto umano. Dorati e folti boccoli gli calzavano le grosse spalle, e pur se le sue labbra avevano il colore della morte, erano carnose e rigonfie pronte a donare piacere.
Quando cominciammo ad avvicinarci al suo cospetto, notai che era seduto su quello che parea un trono fatto di ossa e epidermide; una sorta di gigantesca gabbia toracica aperta all'occasione, per far star comodo il corpo nudo di quello che, pur se sembrava un'uomo, ero più che sicura che non avesse niente di umano. Quello che ormai era divenuto il mio Caronte, si fermò di scatto, io voltandomi a guardarlo per un secondo, continuai a camminare verso quella figura che posava sul trono.
Quando fui più vicina, scorsi una donna posta a sedere sulla sua coscia. Pur essendo scossa e confusa, e non avendo piena coscienza, non ci misi molto a riconoscere quella donna. Era senz'altro la Succuba che da anni tormentava il mio sonno; che durante le notti dilaniava il mio sesso e martoriava la mia mente. Sollevò la testa verso di me intercettando i miei occhi. Guardai il suo sguardo vitreo e la sua bocca si piego in un ghigno beffardo.
Quando fui al cospetto di quell'ignobile Re, mi prostrai sotto al suo trono quasi spontaneamente. L'orgia che proseguiva poco dietro di me, completava, con dei forti gemiti, quel surreale scenario in cui ero stata brutalmente scaraventata.
Il Regnante mi fece un cenno con la mano e senza esitazione, sollevando il capo, mi diressi verso di lui. Quando fui a pochi centimetri da lui, mi accorsi che era grosso almeno il doppio, rispetto alle altre figure presenti in quella stanza. Egli, posò le sue mani sulle mie guance accarezzandole, io chinai la testa accompagnando il suo tocco caldo. Vidi la Succuba scendere dal trono e posarsi ai lati di esso. Egli, afferrando le mie piccole spalle, mi voltò di scatto mostrandomi a quella lussuriosa platea che, come incuriosita da qualcosa, aveva terminato l'amplesso.
Con le sue possenti mani afferrò il mio corpo esile per i fianchi e, con estrema facilità, mi sollevò a mostrarmi a quella che ora era una vera e propria platea, quasi come un trofeo.
Tutti i presenti chinarono il capo, io spaventata poggiai le mie mani sulle sue, quasi come se volessi inutilmente ribellarmi alla sua stretta. Chinai il capo e vidi il suo grosso ed eretto membro proprio sotto di me.
I presenti sollevarono la testa in trepida attesa, ed io rassegnata, lasciai cadere le braccia ai lati dei miei fianchi.
Egli, con siffatta violenza, mi posò sul suo pene. Il mio fiato si smorzò all'istante, tirai indietro il capo ricoprendo il suo impassibile volto con i miei capelli e, spalancando gli occhi, lasciai andare un'urlo sommesso, quasi strozzata dalla potenza sessuale dell'arcana figura.
Ci fu un emblematico silenzio, dopodiché tutti i presenti lanciarono un urlo di gioia seguito da fievoli risate. Egli, a fatica, cominciò a portarmi su e giù sul suo membro. Riportai la mia testa in posizione china e vidi la mia vulva allargarsi accompagnando il suo sesso. Sentivo il suo respiro sulla schiena e a tratti gemevo, mentre lui progressivamente aumentava i movimenti di bacino che erano quasi divenuti delle frustate. Guardai gli spettatori dinanzi a noi, erano tutti presi in una frenetica masturbazione. Un'atto quasi meccanico; una conseguenza di ciò che stava accadendo.
Quando ebbe finito con la mia vulva, passò al mio posteriore. Provai immenso dolore, tuttavia presto fu anestetizzato dai movimenti di quella Succuba che fino a quel momento si era fatta da parte.
Si avvicinò allo squallido altare, e fissandomi in viso, infilò due dita all'interno del mio sesso, dopo pochi secondi, chinando il capo, prese a leccare come solo lei sapeva fare.
Rassegnata al piacere, non mi opposi al vergognoso rituale. Con estrema facilità regali anima e corpo a l'essere che la bramava da anni.
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