La prima volta che l’abbiamo fatto è stata quella sera che avevo deciso di andare a letto con D. Sai bene che non mi importava niente di lui, stavo soltanto cercando di riprendere la vita che avevo mollato quando inciampai in te, volevo riuscire nuovamente a divertirmi, a fare sesso in modo giocoso e senza impegno, a mente libera e a cuor leggero; mi pareva l’unico modo per tenere una certa distanza da te, per non annullarmi in te e in noi, in noi che non avevamo alcun futuro. D. era fondamentalmente un coglione, lo avevo catalogato così dalla prima volta che lo vidi, ma questo non aveva alcuna rilevanza, non avevo certo intenzione di passarci la vita, soltanto una serata in motel. Te lo dissi ovviamente, perché noi ci raccontavamo tutto, e passai a trovarti nel tuo studio poco prima di vedermi con lui; la consapevolezza che già mi spettasse una serata di sesso non placava affatto la mia voglia di fare l’amore con te. Quella sera fosti particolarmente brutale nel possedermi, percepivo un velo di gelosia e di rabbia in te, sensazioni che del resto non mi celavi. Non era certo la prima volta che mi sculacciavi o che mi mordevi le natiche, ma quella sera lo facevi più energicamente, facendomi anche un po’ male, tanto da farmi mormorare: “Ehi smettila! Fai piano!”. Ma tu non mi davi retta, anzi mi sculacciavi più forte.

“Ma che ti prende? Mi fai male ti ho detto!” – ti ammonii risentita

“Voglio lasciarti i segni, voglio che ti presenti da lui con la mia impronta dei denti e le mie cinque dita sul culo, così capisce che sei appena stata da me, che prima di tutto sei mia!” – mi rispondesti piazzandomi un’altra forte pacca sul sedere

“Tu sei matto! Smettila subito! Il marchio vai a metterlo sul culo di tua moglie, è lei che è tua veramente, io non sono tua!” – dissi sempre più innervosita

“Non dire stronzate, troia” – e mi avvolgesti tra le tue braccia da dietro, baciandomi il collo mentre mi penetravi, spingendoti sempre più in avanti col viso per incontrare la mia bocca con la tua.

Mi facevi impazzire. Ti avrei preso a calci nei coglioni ma non ne ero capace, mi annientavi. Non volevo ammetterlo, non volevo accettarlo, mi incazzavo al solo pensiero, ma di fatto era vero: ero tua. Tutti i miei sforzi per non appartenerti erano vani, il mio orgoglio squarciato dal doverti condividere con tua moglie non era sufficiente a tenermi lontana da te.

Ad ogni modo non ce l’avevi fatta, il mio corpo non riportava alcun segno, solo qualche arrossamento che sarebbe svanito alquanto prima che D. passasse a prendermi. Ti lamentasti di questo, eri deluso, pensavi di essere riuscito a marchiarmi a dovere.

“Non provarci mai più – ti rimproverai mentre ci scambiavamo gli ultimi baci voraci – Non mi va di essere timbrata come una scartoffia postale”

“Vuoi dire che non ti va di fargli sapere che frequenti un altro oltre a lui?”

“Voglio dire che non devo rendere conto a nessuno dei due, che non sono sua ma nemmeno tua” – chiusi il discorso ostentando una sicurezza che non avevo, e tu forse lo percepisti, per questo evitasti di ribattere e di mettermi ulteriormente in difficoltà.

Quando D. mi spogliò il mio corpo era intonso, il rossore era scomparso. Gli unici marchi che avevo erano nella mia testa e nel mio cuore, lì la tua impronta era indelebile. Ero tua, cazzo, ero tua, dovevo riconoscerlo, ormai ero giunta al punto da non voler più annusare un odore che non fosse il tuo, sentire un calore diverso, vedere un altro corpo unito al mio. Tra le lenzuola D. era irreprensibile, ci sapeva fare, molto, era quasi un peccato non riuscire ad apprezzarlo appieno, ma io non ci potevo fare niente: volevo te e basta, mi muovevo in modo meccanico sopra di lui mentre la mia mente era insieme a te e si torturava nel saperti con tua moglie. Desideravo soltanto farmi una doccia, pulirmi, togliere le tracce di lui; mentre mi figurerei di non lavarmi per giorni e giorni ogni volta che faccio l’amore con te. Non rinuncerei mai alla sensazione di percepire i tuoi umori su di me, se fosse possibile mi laverei soltanto con quelli, lascerei che la mia pelle li assorba fino all’ultima goccia per poi chiederti di inondarmi nuovamente.

Ero lì con D. in modo del tutto consenziente eppure mi sentivo violata, lui era di troppo, era un intralcio, un intruso tra noi, quasi al pari di tua moglie. Fu in quel momento che mi pentii di aver tentato di frenarti, fu lì che per la prima volta desiderai di essere marchiata, di avere qualcosa che mi facesse sentire tua anche mentre ero con un altro.

Ci furono da allora tanti altri D., tanti altri tentativi che si rivelarono del tutto inutili, nessuno di loro riuscì nemmeno vagamente a distrarmi da te e dalla nostra storia senza uscita che mi procurava sempre più dolore. Forse fu anche quello, il dolore, oltre ad un’innata perversione, a portarmi ad avere una sorta di visione distorta delle cose e a provare rabbia nei confronti del D. di turno. Nel mio mondo, questo D. di turno era il soggetto che meritava la punizione. Tu giorno per giorno mi demolivi scegliendo di restare con tua moglie, io giorno per giorno facevo una stronzata dietro l’altra lanciandomi in relazioni con questi D. che sapevo non avrebbero portato alcun beneficio; eppure non me la prendevo né con me stessa né men che meno con te, la “colpa”, se così vogliamo chiamarla, era di questi D. che non erano alla tua altezza, che non riuscivano a coinvolgermi quanto te, che erano del tutto inutili e non erano in grado di farmi stare bene, di farmi staccare da te. Da qui scaturiva una certa voglia di punirli, di fare loro una sorta di dispetto.

Diventò la regola: ogni volta che dovevo uscire con qualcuno tu facevi il possibile per vedermi poco prima che uscissi, per venire a marcare il territorio. Mi scopavi e poi io, senza lavarmi, andavo a gettarmi tra le braccia di un altro. Trovavamo eccitante questa pratica: correre a baciare un ragazzo ignaro del fatto che stesse roteando la lingua in una bocca che aveva appena accolto il tuo sperma; offrire il mio corpo alle labbra di chi non poteva immaginare che mi avessi appena spalmato sulle tette, sulla pancia, oppure sulla schiena il tuo caldo liquido, la migliore crema idratante e rigenerante che possa esistere; spalancare le mie gambe davanti a chi sta per immergersi tra di esse, leccando le mie parti intime, senza sapere che il sapore che sta gustando è per metà il mio e per metà quello del tuo cazzo che mi ha appena penetrata.

Noi siamo sempre stati maestri nell’inventarci un modo originale, talvolta malsano, per stare insieme anche da lontano, per sentirci uniti anche quando siamo separati: questa pratica di farmi sbattere dal D. di turno facendo in modo di fargli trovare tracce di te sul mio corpo era un ennesimo modo per essere tua, per sentirmi solo tua, per ripetere a me stessa, a te e al mondo che nessun altro poteva veramente avermi solo per sé, che tu in una maniera o nell’altra ci saresti sempre e comunque stato.
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