Due occhi penetranti brillano, nella penombra.
Un altro giro.
Quell’uomo mi fissa!
Ha uno sguardo magnetico, mi entra dentro l’anima e la rimesta tutta: mai provato niente di simile!
Con espressione dolce ma strafottente, come se si chiedesse che ci facevamo tra tutta quella gente, mi sorrideva in modo tanto lieve da lasciarmi perplessa.
Una domanda si formulò nella mente senza che io potessi farci niente:
- Che cosa vuole da me? –
Continuammo a girare, seguendo la musica e io, frastornata, cercai rifugio tra le braccia forti del mio ragazzo, abbandonandomi a lui.
Ma non bastò.
Anche con gli occhi chiusi, rivedevo lo sguardo di quell’uomo.
Uno sguardo ferino, che non ammetteva equivoci, inutile prendersi in giro: quello sguardo era inequivocabile come una dichiarazione di guerra.
La belva aveva posato gli occhi sulla sua preda… inutile chiedersi
“Cosa vuole da me?”. Quell’uomo voleva tutto, quell’uomo voleva me!
E io provavo i brividi a sentirmi tanto impotente davanti al suo evidente strapotere.
Cercai la forza nell’amore infinito, che da oltre tre mesi, mi legava a Gianfilippo ma mi sentivo ancora molto debole, ero in pericolo.
Quando le luci si riaccesero cercai di riprendermi. Presi una coca dal buffet, poi rintracciai Marianna, la ragazza più pettegola della scuola, lei di certo avrebbe potuto illuminarmi.
Intanto quell’uomo, andava e veniva dalla sala attigua, partecipava ad un'altra festa, forse. Era adulto: di certo aveva più di trent’anni, anche se i suoi occhi erano freddi, profondi come il tempo...
Marianna, che amava bere alcoolici, era poco lucida in quel casino. Prima non capì un cazzo, poi, quando l’uomo tornò nella nostra sala, glielo indicai e lei ebbe un sussulto:
- Quello, lo conosco di vista, non so come si chiama, però si chiama “il Falco”. –
- Il Falco? – chiesi io, innocente.
- Si… gira per feste e locali, approfitta del buffet a sbafo e pare si scopi le ragazze più belle, così, all’improvviso… ha un potere forse, chissà? – poi qualcuno la chiamò e lei sparì nella ressa, stringendo tra le mani due flute di spumante.
Passarono alcuni minuti; mi davo un tono, chiacchieravo con qualche amica, sorseggiavo dal mio bicchiere… insomma cercavo di non pensare al Falco, anche perché sembrava sparito nel nulla.
Meglio.
No, peggio: non riuscivo a togliermelo dalla testa.
Era un uomo basso, abbronzato, il suo viso sembrava intagliato nel legno antico. Le sopracciglia spesse, scure, nascondevano la forma degli occhi, di cui si vedevano perfettamente le pupille, nere come la pece, infuocate, come sprizzassero dei piccoli barlumi rossi… ma sperai che fosse solo un riflesso delle luci.
Ad aggiungere ulteriore mistero al suo sguardo già sconcertante, contribuiva l’evidente strabismo, che rendeva enigmatico ogni suo pensiero.
Nell’insieme era un po’ ridicolo ma, si sa, il cuore di una donna si conquista col sorriso.
Il Falco, sotto la camicia bianca, aveva un fisico che non passa inosservato. Grosso, il petto un po’ villoso, con un la pancetta da ragioniere stupenda, lasciva: una pancia da capobranco.
Le gambe erano robuste e corte, davano un’impressione di solidità, di sicurezza, esprimeva saggezza e libidine, entrambe, contemporaneamente.
Come sfuggire alla morsa d’acciaio di un maschiò così?
Un attimo dopo me lo trovai di fronte. Saldo e sicuro mi era comparso praticamente davanti.
Non disse una sola parola. Mi fissò, in maniera ancora più implacabile, per alcuni istanti senza che io riuscissi a distogliere lo sguardo; soprattutto perchè cercavo di capire se fissava me o una lampada Swarovsky, sulla destra.
Un lieve impercettibile movimento della testa.
Il Falco voleva che lo seguissi ma io, con tutte le mie forze residue, dissi dentro di me: No!
E fu il “No” più deciso e potente della mia vita!
Il Falco mi voltò le spalle e, incurante del mio diniego, si allontanò senza voltarsi con una sicurezza tale che mi dava i brividi.
Inciampò solo due volte nei pantaloni troppo lunghi e senza piega, la secondo fu la più rovinosa.
Ma si rialzava, sempre con un certo stile: si infilò nel vano delle scale che portavano ai bagni. Lo sentii rotolare una terza volta, mi parve di captare una bestemmia biascicata tra i denti... poi nulla più.
La musica riprese, incalzante e ritmata, al top.
Avevano messo “My name is Stain”: mitico!
Troppe emozioni, troppa coca, troppo… Falco!
Lo stomaco brontolò ed io... non ebbi dubbi: dovevo correre al bagno!
Certo era il fascino magnetico di quell’uomo ad attrarmi ma anche il bisogno di liberarmi rapidamente. Si sa, noi ragazze abbiamo il metabolismo veloce, e poi nell’eccitazione dei preparativi per la festa, non avevo avuto il tempo per evacuare a casa mia.
Avevo bisogno di un momento intimo, solamente mio, per riprendere in mano le fila della mia vita e anche per fare i bisognini.
Il bagno porta consiglio!
Feci un cenno al Gianfi: strinsi i pugni agitandomeli davanti al petto e strinsi anche le labbra, rendendole sottili.
Lui dovette capire al volo e mi rispose con un: “OK!”
Non gli sarei mancata, al porco, stava facendo lo stronzo con Clarissa, la più troia del quinto anno.
Me l’avrebbe pagata, ma dopo! Ora un’attrazione fatale mi reclamava altrove…
Scesi le scale con attenzione e, finalmente, raggiunsi il bagno delle donne.
La musica arrivava ovattata. Trovai un posticino tranquillo nell’ultimo gabinetto e mi sedetti su un w. c., abbassando il tanga appena in tempo.
Ci volle poco… dopo sono stata subito meglio.
La mia mente tornò al Falco. “Chissà dove sarà adesso, quel mattacchione!” pensai mentre cercavo la carta igienica che, naturalmente, era finita.
Mi sentivo disperata, avevo lasciato anche la pochette al guardaroba.
Poi, lentamente, la porta del cesso si aprì!
Come mi avesse letto nella mente, me lo trovai di fronte in tutto il suo tenebroso splendore.
Mi fissò (o almeno credo che intendesse fissarmi) ormai ci avevo fatto l’abitudine a quel suo sguardo strano: “vedo non vedo”.
- Sei disperata, vero? – disse il Falco con una vocetta querula che aggiungeva drammaticità a quei difficili momenti.
Volevo spiegargli di no, anzi volevo pregarlo di procurarmi della carta o, almeno, dei fazzolettini ma lui fu implacabile.
Forse era anche un po’ arrapato, perché in realtà io dovevo essere uno spettacolo eccitante: avevo la mini tirata sopra e avvolta su se stessa, che mi lasciava completamente nuda dalla cintola in giù. Le mutandine, ovviamente erano sotto le ginocchia.
Insomma lui vedeva perfettamente il mio culo, grande e candido, e anche la fica, che avevo depilata completamente per una promessa fatta a Gianfilippo.
Poco dopo la pelle nuda delle cosce veniva schermata dalle mie francesine nere, bellissime e semplici, arricchite da un solo fiocchetto di nastro bianco, di dietro.
- Piscia per terra! – disse il Falco, lasciandomi perplessa – Sai che ridere quando entreranno gli altri? –
Non trovavo divertente lasciare la pipì per terra ma forse erano cose che non potevo capire.
- L’ho appena fatta, la pipì... – dissi, cercando una giustificazione.
Era contrariato ma incalzò:
- Allora fai la cacca! – disse perentorio.
- Nemmeno, ho appena fatto pure quella… -
Mi interruppe, infuriato. Ero sempre più a disagio ma quello non mi faceva esprimere: era troppo uno volitivo.
- Ma che cazz’ !? – Imprecò il Falco – Allora ti strappo le mutande! –
Quella frase era troppo cruda per resistere ancora.
A parte l’irrefrenabile eccitazione mi ricordai che il mio perizoma costava una cifra e mi affrettai a togliermelo, consegnadoglielo anche piegato alla meno peggio.
- Ma cosa gli faccio alle donne? – borbottava il Falco fra se e se, mentre i suoi occhi roteavano liberamente nelle orbite; non lo volli contraddire, avevo fretta, ero sporca, impacciata. Il Falco non demordeva:
- Ora ti strappo le scarpe. – poi, dopo un momento di perplessità aggiunse (per fortuna) - No, te le tolgo, senza strapparle. –
Il terrore mi aveva percorso la schiena ma mi ripresi: le scarpette erano salve!
Gliele consegnai con delicatezza e lui si mise a odorarle come un setter irlandese.
- Ah, ahhh … - e sniffava nelle scarpe poi, non contento, si esibì in un numero che mi fece capire quanto ancora avessi da imparare riguardo ai misteri dell’eros estremo.
Strofinò il mio slippino usato nelle scarpe, prima nell’una e poi nell’altra… e riprese a sniffarci dentro, tirando su col naso fino a sbandare lievemente.
Credo cominciasse a girargli la testa.
Per un attimo ho temuto che inciampasse ancora una volta ma lui si ristabilì.
- Ti puzzano i piedi, piccola! –
Arrossii.
“Cazzo” pensai “ ho scordato di metterci il Timodore.”
Sorrise col sorriso di chi la sa lunga:
- E ti puzzano anche le mutandine... di piedi! – questa invece non me l’aspettavo, stavo per chiedere se l’avesse notato prima o dopo aver passato il mio perizoma nelle scarpe.
- Dai adesso, non farmi incazzare, fa una pisciatina da adolescente stordita. –
“Come sei strano, Falco!” pensai in cuor mio: non riuscivo a immaginare a che tipo di piscio facesse riferimento.
Mi premetti un po’ la vescica per lui e aprendo bene le gambe riuscii comunque a lasciar andare, qualche piccolo scroscio di orina sul pavimento.
- E’ poca! – disse lui – Comunque non perdiamo altro tempo, stasera ne devo punire ancora un paio! Ho fretta. – Quell’uomo era oppressivo.
- Non ne ho più ti dico... non è che ti trovi un fazzoletto di carta, per caso? –
- Taci, puttanella! – mi zittì il Falco – Fammi controllare. -
Mi prese per i capelli, mi fece voltare verso lo sciacquone e poi giù, giù, fino a farmi mettere ad angolo retto.
Avevo il viso proprio sulla tazza; per fortuna avevo tirato l’acqua.
Pregai con tutte le mie forze che quella storia strana terminasse. In qui momenti eccitanti e pregni di lussuria pensavo al bidet di casa mia... avrei voluto abbracciarmelo.
Il Falco intanto, si era inginocchiato dietro il mio sedere e mi studiava, mi scrutava, poi iniziò a esplorarmi la figa gocciolante con la lingua, mentre di sopra, con le dita affondò nel culo, senza troppi complimenti.
Non ero pulita e arrossii come un peperone, per non essere fraintesa ancora una volta, preferii sopportare aspettando gli eventi.
- Oh cazzo – esclamò il Falco – ma anche qui c’è puzza! –
Me l’aspettavo ma ci rimasi male lo stesso:
- Te lo sto ripetendo da... -
- Zitta, bambina; ci può stare... non crederai che il Falco si lasci intimidire dalla tua scarsa igiene personale? – sorrise – Conosco il trucchetto, ragazza! Chi te lo ha suggerito: mammina? –
Non lo capii e preferii non sforzarmi di capire. Preferii addirittura ignorarlo, quando incurante di ogni ostacolo, il Falco iniziò a leccare a tutta birra anche l’ano.
Feci una smorfia di disgusto ma non mi opposi... dopotutto, pochi istanti prima, non avevo forse sognato di fare il bidet?
Forse era solo la mano santa della provvidenza.
Dopo aver gozzovigliato nelle mie interiora il Falco disse:
- Sei buona. Adesso alza il piede! –
- Quale? - gli chiesi, remissiva.
- Non fare la furba con me, uno qualunque, basta che puzza! –
Non potevo sapere quale puzzava dei miei piedi, sperando fosse una caratteristica comune alle due estremità, alzai il sinistro e, per mantenere l’equilibrio, poggiai le mani sulla tazza di ceramica.
Mentre gli porgevo il mio piedino da principessa cercai di avvertirlo:
- Ma, ho le calze... –
- Meglio, puzza di più, non ci pensare e sta zitta, bambola. –
Il maschione, già col muso imbrattato dai lavorii precedenti, si lasciò andare, enfatico sotto i miei piedi. Odorava e leccava le calze sporchissime; ero senza scarpe, in un cesso pubblico, per oltre dieci minuti...
Ma poco dopo l’idillio terminò: il Falco reclamava la colomba e io, ero pronta a cedere: soprattutto perchè volevo recuperare le scarpe.
Quando si alzò in piedi, pago, ne approfittati per rialzarmi e guardarlo in faccia.
Non era uno spettacolo edificante, comunque... promisi a me stessa che, se avesse provato a baciarmi in bocca, dopo tutte le schifezze che aveva combinato, lo avrei steso con un calcio nelle palle.
Ma non lo fece: lento, studiato, inesorabile, la sua mano iniziò a fare quel gesto che noi ragazze temiamo e amiamo, contemporaneamente: slacciò la cintura e si abbassò i pantaloni, fino alle ginocchia.
Che spettacolo.
Il Falco non terminava mai di stupirmi: aveva delle mutande mai viste se non nel cartoon di Spoonge Bob.
Slipponi bianchi, anni trenta, con la cucitura al centro e uno spacco laterale a V capovolta: forse serviva a passarci il pisello, come una cannola.
Il Falco allora, per rompere il ghiaccio, si stava avvicinando per baciarmi ma io gli gridai:
- Fermati, Falco... ho l’herpes sulla lingua! –
Arretrò inorridito:
- Hai l’herpes anche al culo? – chiese con un certo stile e io, irresponsabilmente dissi di no ma poi me ne dovetti pentire.
Il Falco, allupato come una iena, prendendosi un po’ di tempo fece passare il suo uccello attraverso lo sfiatatoio del mutandone.
- Non hai le palle? – dissi scioccamente, lui la prese come un’offesa e riprese ad armeggiare: soffriva ma non demordeva.
Alla fine riuscì a far passare anche i due coglioni attraverso la stretta asola.
Tutto l’apparato genitale, onestamente, era ben poco “ingombrante”.
- Ora te lo metto in culo! – disse a effetto quel maschio imprevedibile.
Valutai il suo cazzo; mi resi conto che, adesso che era barzotto, aveva uno spessore simile a quello di certi wurstel di pollo che avevo provato a infilarmi nel sedere, giusto per vedere che cosa si provava.
Insomma, decisi tra me e me: non temevo il Falco né la penetrazione del suo uccelletto, l’importante era sbrigarsi e recuperare le scarpette. Quindi mi voltai senza fare storie.
Il Falco era impreparato a tanta sottomissione.
Più tempo passavo col Falco e più mi ispirava un sentimento di pena. Stupendo... non avevo mai sentito una cosa del genere per un ragazzo.
- Ok, l’hai voluto tu, aspetta che mi monto il preservativo, mia madre... – si corresse tossendo. - Niente, niente... – aggiunse mentre arrossiva – dicevo che devo mettere il preservativo perche voi ragazze siete tutte zoccole! –
- E chi te lo ha suggerito, mammina? – dissi, abbastanza sull’offeso.
- Niente mamma! Quale mamma? Io sono il Falco... non ho famiglia! –
Lo trovai patetico, anche perchè avendo un cazzo decisamente piccolo, il preservativo gli andava largo dando, della sua virilità, uno spettacolo grinzoso e squallido.
Ma il Falco non perdonava, mi si mise dietro e si sollevò sulle punte annaspando per raggiungere il mio culo. Provò anche a centrarmi saltellando ma niente, proprio non ci arrivava.
Per tagliarla a corto, decisi di abbassarmi io.
Per fortuna il cazzo del giovane si irrigidì abbastanza, certo la visione del mio culo chiaro e remissivo doveva essere eccitante.
Sentivo il suo bastoncino piegarsi sotto le sue pressioni senza infilzare il buchetto del piacere. Sperai che lo mettesse in figa per provare qualche stimolo al più presto... mi stavo annoiando.
Alla fine me lo sentii.
Mi aveva divaricato l’ano ma viste le dimensioni era un gioco piacevole, una specie di solletico godereccio: non gridai, anzi mi scappava da ridere.
Lo lasciai accanirsi, trionfante, sul mio sedere.
Non aveva più come spingerlo dentro pur di guadagnare qualche millimetro ma, purtroppo, la sua natura quella era!
Dopo una ventina di stantuffate si abbracciò al mio corpo e, dopo averlo spinto dentro al massimo, iniziò a vibrare.
Ora era appeso su di me, con gli anfibi a mezz’aria, che ballonzolavano. Pesava e mi si piegarono le ginocchia sul cesso. Non ebbi tempo per lamentarmi, il Falco, scalciando e fremendo, se ne venne nel suo preservativo.
Sgusciò subito fuori dal culetto perché perse all’istante la sua breve erezione.
Il profilattico con la sua acquiccia opalescente gli cadde sulle scarpe, sporcandole.
- Porca vacca - disse lui – e adesso? Chi glielo dice a mammà? –
- Lo sapevo – dissi subito additandolo – avevo capito, sai? Sarai pure un Falco ma ancora non hai lasciato il nido... ah ah – gli risi in faccia, e li sbagliai!
La vendetta di quel maledetto fu tremenda, recuperando il cazzetto incastrato nello slip, il porco corse verso l’uscita dai bagni, portando con sé le scarpette e le mutandine. Una risata satanica riecheggiò per i cessi.
Ero perduta!
Cominciai a piangere su me stessa e, lentamente, risalii le scale e tornai nel locale.
Ritrovai, tra la folla che si diradava, il mio Gianfilippo che si accorse che qualcosa non andava.
- Amore – disse - e le scarpette... dove sono andate a finire? –
Presa alla sprovvista non sapevo cosa rispondere ma poi mi ripresi e gli dissi:
- Perdute, tesoro: e questa è una brutta notizia ma... – attirai la sua attenzione con quella strana affermazione. – Ma ho perso anche le mutandine e... –
- E questa è una bella notizia? – disse lui mentre il suo “tubero” cominciava a reagire nelle mutande.
- Credo di si, almeno lo spero. Anche perchè sarei pronta a darti il mio “regalo”, adesso. –
- Ma, Ciccia, il regalo me lo hai già fatto, ricordi? –
- No, Giangino mio, quello era “un regalo” e basta... adesso voglio donarti qualcosa di mio e gli presi la mano, portandomela sulla natica nuda sotto la veste, attenta che nessuno vedesse.
Gianfilippo iniziò a sudare freddo e gli occhi gli brillarono.
Io lo lasciai nella sala mezza vuota e imboccai di nuovo la strada dei bagni, dopotutto erano confortevoli eormai mi ci ero acclimatata.
Mentre scendevo le scale, sentii Gianfilippo che gridava al papy:
- Babbo, lasciami le chiavi dell’Hammer e prendi tu la cinquecento, per stasera! –
Il mio cuore batteva forte.
Poco dopo, in un tripudio di sensi, cedetti alla pressione del cazzo significativo del mio ragazzo e me lo lasciai infilare nel culetto, fino alla radice.
Non mi fece male; il lavorio del Falco mi aveva preparata e bendisposta, anzi, mi vergogno a confessarlo, persino vogliosa di prenderne ancora, e bene.
Gianfilippo mi venne dietro gongolante di piacere: anche per lui era la prima volta.
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Aggiunto: 5 anni fa
Utente:
«Eh lino, bella storia veramente moooolto porcella eppure divertente.»