Alba era a quattro zampe, totalmente nuda, vestita solo di un collare di cuoio, sotto l’arco della porta. Osservava il suo Padrone seduto a tavola insieme ad un uomo e una donna. Nessuno la guardava, erano impegnati a chiacchierare tra loro e a mangiare. Il padrone portò alle labbra una coscia di pollo da cui strappò la carne con i denti. Alba provò un brontolio nello stomaco, aveva un po’ di fame. Sapeva che non poteva parlare, non le era concesso, così abbaiò per attirare l’attenzione. I tre si voltarono a guardarla. Il Padrone le sorrise benevolo.
- Vi piace la mia cagna? - domandò rivolto ai suoi ospiti - È tanto ubbidiente, ma credo che ora abbia fame
Detto ciò abbassò sotto il tavolo l’osso di pollo con ancora un po’ di carne. Alba sapeva che doveva correre se voleva ricevere il premio. Rimanendo a quattro zampe iniziò a correre in direzione del tavolo, infilandocisi sotto. Le dolevano le ginocchia quando correva così, ma non voleva deludere il suo Padrone così buono con lei. Una volta giunta vicino al tavolo allungò una mano per afferrare l’osso di pollo. Il Padrone tirò indietro l’osso e la fulminò con lo sguardo. Ne fu mortificata, detestava deluderlo. Chinò per un attimo il capo, poi lui le offrì nuovamente l’osso e lei lo afferrò con la bocca, tra i denti. Per mangiare al meglio con solo la bocca dovette abbassare la testa fino al pavimento, lasciando il sedere in alto, in bella mostra.
- Brava cucciola - disse il suo Padrone carezzandole il sedere dolcemente, con amore.
- Come si chiama? - chiese la donna mentre si sporgeva sotto il tavolo per carezzarla.
Erano tutti elegantissimi. La donna in particolarmente indossava un abito porpora stupendo con un diadema sul capo che faceva risaltare ancora di più la sua nobile bellezza. Alba ne fu gelosa. Non si sentiva a suo agio, nuda sotto il tavolo, osservata da quelle persone ben vestite, ma non voleva deludere il suo Padrone. Voleva renderlo orgoglioso e felice.
- Si chiama Caramella - pronunciò il Padrone tornando poi a mangiare.
Ogni volta che sentiva quel nome era tanto felice. Era un nome così dolce, affettuoso, con un suono così delicato. Era così felice che il Padrone lo avesse scelto per lei. Iniziò ad agitare il sedere leggermente, per mostrare la propria felicità, come le aveva insegnato il Padrone. Mangiò la carne e poi rosicchiò l’osso, in attesa che il Padrone finisse la cena, pazientemente sotto il tavolo, accovacciandosi ai suoi piedi come una brava cagna.
- Caramella, vieni qui!
Appena sentì le parole del Padrone tornò a mettersi a quattro zampe. Lui le faceva segno di mette le mani sulle sue gambe e lei obbedì.
- Guardate che belle tette - pronunciò poi poggiandole una mano sul suo seno. Non era grande, anzi, ma era sodo e con una forma rotonda perfetta. Il capezzolo era appena accennato, ma al contatto della mano del suo Padrone iniziò ad indurirsi dimostrando quanto piacere provasse a quel contatto. L’uomo e la donna si avvicinarono e toccarono anche loro il suo seno, saggiandone la consistenza e la forma. Non le piaceva essere toccata da altri, ma non voleva disubbidire al suo Padrone. Non voleva fargli fare brutta figura coi suoi ospiti. La donna le afferrò un capezzolo e lo strinse per alcuni secondi tra indice e pollice. Alba strinse i denti e chiuse gli occhi. Le faceva tanto male, ma riuscì a non lamentarsi, sapeva che non doveva.
- Ma che brava che sei Caramella - disse la donna lasciandole finalmente il seno e carezzandole i capelli.
Il suo Padrone intanto le grattava dietro l’orecchio dolcemente. Sapeva che faceva così quando era soddisfatto di lei.
La serata finì. L’uomo si congedò e lasciò la donna e il suo Padrone soli. Alba era ancora accucciata a terra, nuda, ad osservarli chiacchierare. Improvvisamente i due si alzarono e si incamminarono lungo l’antico corridoio del castello. Il loro passo era rapido e Alba faticò non poco a seguirli camminando a quattro zampe. La pietra le faceva male alle ginocchia, ma non voleva perderli di vista. Arrivati davanti alla stanza da letto, il suo Padrone entrò con la donna e chiuse la porta alle sue spalle. Non le disse nulla. Le aveva semplicemente chiuso la porta in faccia. Sapeva cosa avrebbero fatto quei due là dentro. Era gelosa. Perché a quella sì e a lei no? Voleva anche lei essere oggetto del piacere per il suo Padrone. Voleva essere usata per compiacerlo fino alla fine. Si accovacciò davanti alla porta, attendendo pazientemente che il Padrone avesse bisogno di lui. Chiuse gli occhi.
Quando li riaprì era nel suo letto, accanto a quello di sua sorella gemella Giada, nella loro stanza, nella loro casa. Era stato tutto un sogno. Lo sapeva bene perché non era il primo che faceva. Si infilò la mano tra le cosce, trovando il suo sesso umido e bagnato. Faceva sogni del genere quasi ogni notte da quando i soldati dell’Imperatore avevano abusato di sua sorella. Lei era rimasta chiusa nel baule, ascoltando impotente ciò che le facevano. Inspiegabilmente ascoltare i gemiti della sorella e le offese oscene dei soldati che si soddisfacevano con lei, la avevano fatta eccitare. Si era bagnata in quel baule, ascoltando e immaginando cosa stesse accadendo fuori, ma non lo aveva confessato a nessuno. Anzi, si era punita per quell’eccitazione che non doveva provare. Non si addiceva ad una brava ragazza, lei doveva rimanere vergine. Eppure, da quel giorno, quasi ogni notte faceva quei sogni. Sognava di essere la cagna del suo Padrone e di assecondare ogni suo desiderio. Mai nei suoi sogni aveva un rapporto con lui, anche se nel sogno lo desiderava ardentemente. Desiderava prenderglielo in bocca e succhiarglielo fino a farlo venire, e poi ingoiare tutto. Desiderava prenderlo dentro, ovunque lui desiderasse, e sentirlo godere. Sentiva la voglia irresistibile di farlo, e più ci pensava e più si bagnava.
Senza una parola allungò una mano sotto il letto. Tra la paglia frugò alcuni secondi e trovò il cordino che aveva nascosto. Lo legò intorno alla sua coscia e strinse con un forte nodo a strozzo. Strinse con violenza e fece un altro nodo. Solo il dolore l’avrebbe purificata dei pensieri osceni che faceva. Lei doveva rimanere casta e pura. Non poteva concedersi nemmeno le fantasie.

- Non devi per forza scappare - l’accento straniero di Annette era ancora più marcato quando era in preda al panico come ora - Possiamo restare qu! L’Imperatore ti ha perdonato, basta che gli resti fedele.
Lorenzo stringeva i legacci che la tenevano imbrigliata alla sella del destriero. Non la ascoltava quasi. La mora era vestita di un lungo mantello che la avvolgeva completamente nascondendo tutte le corde e i nodi. Il mantello copriva anche i due cilindri di ferro che il Barone aveva introdotto in lei, uno nella vagina e uno nell’ano, come punizione. Li avrebbe dovuti tenere dentro per tutta la galoppata e chissà per ancora quanto tempo.
- Non mi ha ucciso solo perché crede che sia bastata la dimostrazione a farmi desistere dai miei piani. Uccidere un Lord è una bazzecola, soprattutto se accusato di tradimento. Ma un Barone! Porta ripercussioni. Lui ha voluto evitarlo. Ma io non posso evitarlo. Quindi io e te ce ne andiamo, perché di certo non ti lascerò qui a goderti il tuo titolo nobiliare nuovo guadagnato pugnalandomi alle spalle.
- Questo è un rapimento - si lamentò Annette - Tu non puoi farlo! Liberami! Restiamo qui. Rinuncia a voler far cadere l’Imperatore. Non stai bene nella tua villa? Con me al tuo fianco? Potrei divenire la tua amante. Mi hai sempre usata per ottenere ciò che volevi da altri uomini. Perché non mi hai mai usata per te? Io te lo concederei.
I legacci le facevano male, ma ciò che era più insopportabile erano quelle presenze di ferro dentro di lei. Sapeva che quando sarebbe iniziata la galoppata sarebbero state ancora più insopportabili e insostenibili.
- Annette. Tu non sai chi sono io. Non sai chi era mio padre - Lorenzo implacabile continuava a stringere i legacci che la tenevano stretta alla sella.
- Dimmelo allora. Chi sei? Perché lo fai?
- Mio padre era Re Franco Giulii, sovrano del Regno del Sud, ultimo regno assoggettato al volere dell’Imperatore - pronunciò Lorenzo mentre ormai aveva finito di assicurare Annette alla sella. Le carezzò una spalla mentre parlava - La mia gente non si piega facilmente alle oppressioni. Così hanno combattuto strenuamente finché i sicari dell’Imperatore non mi hanno rapito, ancora in fasce. Mio padre si arrese e con lui il suo regno solo per evitare che mi venisse fatto del male. Mi è stato dato il titolo di Barone e una ricca rendita il giorno in cui mio padre è morto. L’Imperatore non voleva che io tornassi al mio Regno, perché sapeva che avrei riacceso l’animo guerriero del mio popolo. Ma io non sono uno sciocco. So che il mio popolo perirebbe in una guerra. Quindi devo far cadere l’Imperatore, da solo, prima di tornare al mio trono
Lorenzo montò sul suo destriero, carico di viveri e bagagli come quello della sua collaboratrice. Il sole stava calando lungo l’orizzonte e sapeva che quello era il momento migliore per fuggire. Nessuno lo avrebbe potuto trattenere ufficialmente, e in quel momento c’era il primo cambio della guardia. Insomma, le porte della Capitale sarebbero in breve state chiuse alle sue spalle e la notizia della sua fuga sarebbe arrivata all’Imperatore solo a notte inoltrata. Avrebbe avuto un lungo vantaggio su eventuali seguitori.
- E tu mi hai tradito - proseguì Lorenzo agitando le redini del destriero che iniziò a muoversi. Seguendo il suo, anche quello di Annette si mosse, assicurato con una corda alla sella del Barone. Anche se gli animali si muovevano piano, la donna sentiva i cilindri dentro di lei, spinti dal cuoio della sella su cui sedeva nuda. Ogni volta che il suo corpo cercava di rigettarli fuori di sé, la sella li rispingeva dentro, torturandola lentamente.
- Ti prego! levameli - lo implorò sommessamente, quasi un sussurro nella sua voce straniera.
- Te li sei meritat! E ora che passiamo i cancelli, non aprire bocca
- Dirò a tutti che mi porti via con la forza.
- Purtroppo per te, la maggior parte delle persone pensa che tu sia mia schiava, quindi se vuoi prova pure.
Lorenzo spronò il suo cavallo ad un moto più rapido, costringendo anche quello di Annetta alla medesima velocità. Il movimento sussultorio di quel passo le provocava un certo dolore. Passarono in silenzio il posto di guardia dei cancelli, poco prima che li stessi fossero chiusi per la notte. Il tramonto passò e in breve si trovarono a viaggiare nella notte buia, su sentieri isolati e spettrali.
- Ti supplico! Non ne posso più! Basta - Annette continuava a piagnucolare contorcendosi sulla sella, cercando una postura comoda. I suoi bellissimi occhi azzurri chiedevano pietà, ma Lorenzo le dava le spalle ed era sordo alle sue suppliche.
- Questo viaggio è una follia - proseguiva la donna - Incontreremo briganti sulla strada, non sappiamo combattere o lanciare incantesimi. Siamo totalmente indifesi.
Lorenzo proseguiva impassibile, spronando il destriero lungo la strada di ciottoli. Quando furono abbastanza lontani per non essere uditi, spronò i cavalli al galoppo. Per Annette fu un supplizio insopportabile. Strinse le cosce attorno ai fianchi dell’animale per rimanere più aderente possibile alla sella ed evitare quanti più sobbalzi possibile. Questo le diede un po’ di sollievo, ma la delicata pelle nuda contro quella cuoiosa del cavallo le provocò non poco bruciore.
- Non puoi farmi questo! Sono una donna libera.
- Sei solo una puttana!
Lorenzo imboccò un sentiero poco battuto di un bosco, per sviare eventuali ricerche. Proseguirono così ancora diverse ore, mentre Annette continuava ad implorare pietà. Sapeva tuttavia che non potevano galoppare tutta la notte, ma l’importante era seguire strade improbabili. Quando ormai la luna era alta e illuminava il sentiero da diverso tempo, intravidero un casolare nel mezzo della campagna. Diverse lanterne ne illuminavano l’interno, segno che i suoi occupanti erano ancora svegli. Quando lo raggiunsero Lorenzo si distaccò da Annette scendendo da cavallo e bussò alla porta.
- Chi diamine è a quest’ora? - la voce burbera apparteneva ad un omone grosso e calvo. Una ispida barba gli cresceva sul mento.
- Sono un viandante pieno di danari che cerca per sé e la sua compagna di viaggio un posto per la notte - pronunciò Lorenzo sviando ogni informazione personale.
- Non ci servono danari. Io e i miei due figli viviamo in mezzo al bosco e non mercanteggiamo con nessuno - rispose l’omone mentre si apprestava a chiudere la porta.
- Un momento. Non ho solo denari - puntualizzò il Barone muovendosi verso il cavallo su cui era legata Annette. Con un rapido gesto le tolse il mantello rivelando la pelle d’ebano nuda, il corpo perfetto e imbrigliato alla sella, in postura però ben eretta. Era uno splendore come sempre.
- Da quanto tu e i tuoi figli non vedete una donna? Non vi interessa una notte con lei?
- Ti prego no - Annette piagnucolò, abbassando il capo, come se ciò bastasse a coprirla.
- Una donna da tanto tempo! Una così bella ma! Ghio, Doren venite qui! - urlò il bestione richiamando evidentemente i suoi figli - Che ne dite, li ospitiamo questi due?
I due figli erano grossi almeno quanto il padre, più alti almeno di una testa rispetto a Lorenzo e Annette. Braccia muscolose e petti spessi come tronchi d’albero. Senza troppi complimenti la slegarono dalla sella e la condussero dentro. La casa di quei contadini era composta solo da uno stanzone. In un angolo un largo cumulo di paglia coperto da lenzuola di lana. In un altro un caminetto con un pentolone vuoto. Ancora vi era un tavolo con giusto tre sedie. Ovunque sparse zappe, falci e falcetti.
Mentre i tre trascinavano Annette riluttante verso il cumulo di paglia, Lorenzo prese posto su una delle sedie, per godersi lo spettacolo. Il padre dei due le estrasse senza la minima delicatezza i cilindri di ferro da dentro la figa e l’ano e li buttò al suolo, alle sue spalle. I due figli avevano già tirato fuori i loro membri, possenti e turgidi come pochi. Ghio la mise subito carponi sul letto, di forza, e la penetrò nella vagina con un colpo secco. Annette urlò. Non era pronta, non era bagnata, eppure il cilindro in ferro l’aveva allargata abbastanza da renderla subito accessibile a quegli energumeni. L’omone le mise le mani sui fianchi, stringendoglieli per bene, per trovare una presa salda e sicura ai suoi ripetuti e rapidi colpi. Il suo membro iniziò presto a inumidirsi, segno che la donna stava iniziando a bagnarsi. Dall’altra parte Doren le afferrò la nuca e la direzionò al proprio cazzo. Annette inizialmente cercò di voltare il capo verso destra, poi sinistra, per evitare di succhiarglielo. Alla fine, cedette e prese tra le sue labbra la gonfia cappella del contadino. Quest’ultimo la afferrò saldamente per i capelli, con entrambe le mani, e iniziò a dare rapidi colpi di bacino, come se si stesse scopando la sua bocca. I gemiti di Annette erano soffocati da quell’ingombrante membro che le impediva di esprimersi. Lorenzo seduto sulla sua sedia sorrideva divertito alla scena. Si godeva da una perfetta angolazione la scopata che la donna stava subendo senza pietà e senza tregua. Doren, evidentemente troppo eccitato, venne dopo pochi minuti. Le strinse più forti le mani sulla nuca, tirando a se la testa di lei, come cercasse di infilarglielo fino in gola, tutto. Gemendo, il gigante le svuotò in bocca numerosi schizzi di seme. Annette sentì lo sperma arrivarle fino in gola.
- Prova a sputarlo e ti spacco il culo - la minacciò il padre dei due.
Annette riluttante chiuse la bocca quando il membro di Doren uscì e lentamente cercò di ingoiarlo. Aveva quasi finito quando, un colpo di cazzo troppo forte di Ghio che intanto la stava ancora penetrando, le fece risputare un po’ di sperma sul letto.
- Ti avevo avvisato puttana - disse il padre scostando Ghio. Quest’ultimo prese il posto del fratello appena venuto, afferrando Annette per i capelli e continuando a penetrarla in bocca con rapidi colpi di bacino. Il padre intanto mantenne la promessa. Estrasse il suo pene e appoggiò la cappella all’ano di Annette. Non era un pene molto lungo, ma il suo spessore era notevole. Con un colpo secco la penetrò nel culo. La donna avrebbe voluto urlare, ma lo strillo le morì bloccato dal glande di Ghio, che continuava imperterrito a scoparsela in bocca. Sentiva l’ano bruciarle da impazzire, allargato fino all’impossibile da quel cazzo così largo. Credette di non farcela. Poi Ghio a sua volta venne nella sua bocca. Le svuotò una notevole quantità di seme, anche se per fortuna minore di quella del fratello. Annette riuscì ad ingoiare nonostante il dolore che provava dietro. Quando anche il padre fu sull’orlo del piacere, le si parò davanti tenendola per i capelli. Annette d’istinto aprì la bocca, preparandosi a succhiare anche quel cazzo. Lui invece con una mano la manteneva e con l’altra si toccava. Mosse la propria mano su e giù un paio di volte lungo l’asta e, finalmente, si svuotò sulla faccia di lei. Annette sentì gli schizzi ricoprirle il volto, finendole anche in bocca. Ingoiò quel che poté e si leccò via dalla faccia quello che riuscì a raggiungere con la lingua. Era sfinita, stremata. Eppure tra le cosce sentì uno strano calore familiare. Era incredibilmente bagnata.
- Date una coperta a questa puttana - disse infine il padre rivolto ai figli - dormirà nella stalla
Lorenzo sorrise soddisfatto. Le aveva promesso che l’avrebbe pagata, e lui manteneva sempre le promesse.

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